Il tema della ricchezza della scorsa domenica, viene ripreso dalla liturgia della Parola odierna.
L’oracolo profetico (Am 6,1a.4-7) è un accusa forte contro la classe dirigente di Samaria che invece di agire a favore di chi è nel bisogno, si preoccupa solamente di accumulare ricchezze a scapito degli indigenti. Il profeta condanna quindi duramente l’opulenza dei ricchi che ignorano la sofferenza dei poveri.
Il tema dell’indifferenza verso il povero da parte del ricco ritorna anche nella parabola narrata da Gesù nella pericope odierna.
La condizione del ricco chiude l’uomo all’esigenza di Dio; in questo senso la parabola di Lazzaro è l’antitesi della parabola dell’amministratore astuto della scorsa domenica (Lc 16,1-9).
Gesù viene deriso dai farisei per avere affermato l’impossibilità di servire Dio e il denaro (Lc 16,13); essi rigettano non solo il suo insegnamento, perché attaccati al denaro (Lc16,14) ma la persona stessa di Cristo; Gesù li accusa quindi di non agire secondo le logiche di Dio (Lc 16,15) e da qui il racconto della parabola.
Il testo è strutturato in due parti: nella prima parte (Lc 16,19-25) viene raccontato il rovesciamento nell’al di là di quanto vissuto sulla terra dai protagonisti, in continuità con quanto narrato nel Magnificat (Lc 1,53) e nelle Beatitudini (Lc 6,20-26); nella seconda parte (Lc 16,27-31) è posta l’attenzione non tanto su Lazzaro, ma su i cinque fratelli del ricco che rappresentano la continuità con il ricco deceduto.
Se non sono capaci di cambiare vita ascoltando la Legge e i Profeti, nessun segno, neanche la resurrezione, potrà servirgli.
Il racconto viene presentato da Gesù utilizzando un linguaggio vicino alla mentalità popolare per favorirne la comprensione. Il ricco ci viene presentato come impegnato a vivere e godere del proprio lusso: non occorre conoscerne il nome, perché sono le sue azioni che lo caratterizzano. Del povero invece ci viene riportato il nome, Lazzaro, da Eleazero, ciò “Dio soccorre il povero”, nome che se in vita sembra irridere la sua sorte, troverà conferma alla sua morte.
Lazzaro vive mendico, pieno di piaghe, fuori dalla porta della casa del ricco sperando invano di potersi cibare delle briciole della sua tavola. Isolato da ogni pietà umana è avvicinato solo dai cani che, leccandogli le ferite insanabili della denutrizione, gli e le medicano. Alla morte di Lazzaro esso viene portato nel regno di Abramo, mentre il ricco, alla sua morte, è condotto nell’inferno eterno. Nei tormenti, il ricco evoca la pietà che si credeva spettasse ai figli di Abramo, quella stessa pietà che egli non ha mostrato in vita nei confronti di Lazzaro.
Abramo risponde alle richieste del ricco ricordandogli tutti i benefici ricevuti in vita, mentre Lazzaro riceveva solo sofferenze; adesso la situazione è invertita, ma la distanza con Lazzaro che il ricco avrebbe potuto facilmente colmare in vita ora è incolmabile.
Il ricco non si rassegna e chiede che Lazzaro venga inviato ai suoi cinque fratelli, perché vedendolo essi possano ravvedersi, ma la ricchezza diventa ostacolo che rende ciechi davanti al povero e di fronte alle Scritture. Chi infatti ha la coscienza offuscata dall’egoismo non riesce ad ascoltare la voce del maestro che parla nell’interiorità e nel silenzio.
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