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Divo Barsotti: La santa Messa – Realizzare la comunione nella Liturgia Eucaristica

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L’Eucarestia, centro della vita spirituale cristiana

Un aspetto fondamentale della spiritualità di don Barsotti, fonte e culmine di tutta la sua esperienza di uomo, di sacerdote, di padre spirituale e dunque tratto significativo e caratteristico della spiritualità nella Comunità dei figli di Dio è proprio il rapporto con l’Eucarestia.

Molte sue omelie e meditazioni, pur avendo come punto di partenza altro oggetto, pure vi approdano, necessariamente, ed egli non si stanca mai di meditare sugli aspetti di questo mistero (la presenza reale, il sacrificio, la comunione), che insieme costituiscono la ricchezza inesauribile del sacramento eucaristico, veramente “fonte e culmine” di tutta la realtà e di tutta la vita religiosa.

Partecipare alla vita del Figlio

In don Divo, la consapevolezza della scelta religiosa, scelta che precede quella del ministero sacerdotale, nasce precisamente dal desiderio di incontrare Dio e dalla fiducia di poterlo incontrare sul serio: ad un certo punto della sua vita avrà la certezza che ciò può avvenire realmente e pienamente nell’Eucarestia.

Per lui infatti questa ricerca si riassume nelle parole di una sorta di locuzione interiore che sentì fin dai primi anni di sacerdozio e che rimarrà sempre a fondamento della sua vita di rapporto con l’Assoluto: «Guardami nell’Eucarestia!».

Non si tratta di una contemplazione statica o oggettiva, che renderebbe una “cosa” il sacramento, ma di una immedesimazione col Dio dato “per noi”, di un inserimento nel Figlio, in un processo vertiginoso di adorazione del Padre nel Figlio, il quale assume tutta la realtà. L’Eucarestia sarà sempre per lui questo essere figlio nel Figlio Unigenito che si dà e che partecipa la sua vita a tutti gli uomini, a tutto l’universo.

La via verso una condizione “più gloriosa”

In altre parole, quel rapporto uomo-Dio, che si stabilisce già mediante la creazione, nel sacrificio eucaristico raggiunge il suo culmine, perché nell’incontro con Cristo l’uomo e Dio diventano uno.

Ricorrendo alle parole del padre don Divo ne “La Santa Messa”: «la Messa sarà la morte e resurrezione del Cristo che è la morte e resurrezione di tutta la creazione, il morire cioè di tutta la creazione alla condizione creaturale e il risorgere di tutta la creazione in una condizione nuova, nella condizione della vita di Dio, nella condizione della vita gloriosa».

Più volte il padre insiste sul fatto che non vi è discontinuità tra la rivelazione cosmica e la rivelazione cristiana, il Cristianesimo supera l’economia primitiva, ma non la distrugge. La rivelazione divina non inizia con la chiamata di Abramo, ma con la creazione stessa. Fin d’allora tutta l’umanità è in cammino e si protende verso Cristo.

Vivere questa unità nella liturgia

La Messa cui prendiamo parte non ripete la Morte di Croce, tuttavia la fa presente, non la continua ma la fa presente; d’altronde se la ripetesse non sarebbe più unico il sacrificio di Cristo e se la continuasse il Sacrificio non sarebbe perfetto, perché dunque la necessità della Messa nel tempo – e cosa aggiunge una nostra partecipazione?

Partecipiamo misteriosamente sì, ma realmente, per “prendere tutti” il dono di sé che Dio ci fa, perché la Presenza di Gesù nel sacrificio opera realmente l’unione nuziale di noi uomini con Cristo, diveniamo Chiesa Suo mistico corpo e facciamo unità con tutti i fedeli, mentre rimane per noi cristiani l’impegno di vivere questa unità, di realizzarla sempre più pienamente vivendo non più per noi stessi, ma per gli altri, mettendoci ognuno a servizio di tutti. A questo può prepararci soltanto una nostra progressiva assimilazione a Cristo e ciò avviene facendo comunione con Lui nell’Eucarestia.

Naturalmente questo processo di assimilazione è vissuto in maniera eminente dal celebrante che agisce
“in persona Christi”.

Partecipare al Mistero nella Messa

Don Divo scriveva il 4 settembre del 1958: «Alla Messa di stamani è veramente stata una crocifissione. Dio mi chiedeva che facessi l’atto totale di dedizione a Lui proprio nell’istante in cui consacravo, e ne provavo ripugnanza estrema. Donarmi voleva dire essere crocifisso come Gesù». E ancora: «Mentre alzavo l’Ostia pensavo (…): il mio atto, il mio rapporto personale con Cristo nella celebrazione eucaristica era e doveva risolvere per me ogni cosa, doveva essere per me tutta la storia, tutta la vita, tutta la creazione, tutta la divinità». Diceva anche «oggettivamente parlando, la partecipazione alla liturgia è molto più di tutte le estasi dei santi. L’estasi non implica una partecipazione al Mistero. Ma nell’atto liturgico il Mistero oggettivamente si fa presente».

Don Divo sentiva che la partecipazione alla Messa era per lui, e doveva essere per tutti, un entrare in quell’Atto (morte e resurrezione di Cristo) che stabilisce un eterno “oggi” nel quale l’uomo è chiamato a sprofondare. Diceva: «Tu devi identificare la tua vita a quell’atto. L’atto del Cristo. Non ripetizione o imitazione: tu devi far presente il Cristo, non quasi Egli non fosse, ma perché in Lui devi immergerti, a Lui identificarti, devi essere da Lui preso, posseduto. E tu non sei più che in Lui, che Lui stesso. E la presenza non è per te l’immensità della Natura divina, ma Cristo, Cristo nella sua morte, nella sua resurrezione».

«Durante la Messa, come Dio era vicino, come si imponeva al mio spirito, la sua Realtà unica, vera! Non era Dio, era il Padre, tutta la gioia, la vita. Non era la Immensità divina nella quale naufragavo, era il Padre. Non una mistica dell’unità, un puro perdermi nel Tutto, ma un essere a Lui, un essere per Lui come il Figlio. Se il Figlio non fosse non sarebbe il Padre. E Dio mi chiedeva, voleva Se stesso».

Messa, servizio, vita quotidiana

Così, in un continuo rispondere a Dio, la Messa non rimaneva staccata dalla sua giornata, ma continuava a vivere in lui, lo sollecitava in ogni istante nel suo intimo, nel rapporto con Cristo e in quello con i fratelli. Infatti, per lui «(…) attraverso la Santa Messa dovrebbe saldarsi la fraternità dei cristiani. La santa Messa li educherà a questo, in modo che la loro vita che si svolge fuori dal tempio, nella famiglia, nella scuola, nell’officina, nei campi, sia vissuta come servizio: il lavoro dovrebbe così trasformarsi per ogni cristiano in un sacrificio personale, non solo in preghiera e non solo in atto sociale, ma come nel proprio sacrificio personale, in unione e somiglianza del sacrificio di Gesù».

Questa trasformazione non è certamente opera nostra, è opera del Cristo, Presenza reale nell’Eucarestia, ma presente in modo escatologico.

Don Divo: «Non è il Cristo che entra ora nel mondo (…), è ogni uomo che, mediante la fede nella comunione al suo Corpo, entra nella Presenza (…). La Presenza cancella ogni condizionamento di tempo e di spazio che divide e allontana (…). Gli uomini nell’Atto del Cristo già sono introdotti nell’eternità».

L’uomo dunque, in forza dell’amore totale del Cristo che si dona a lui nella comunione eucaristica vince quei condizionamenti, frutto del peccato, che lo tengono lontano da se stesso, dagli altri uomini e dalle cose create.

Don Divo: «…e noi si vive l’unità: l’unità con Dio, perché siamo un solo Cristo, un solo Figlio unigenito, l’unità con gli uomini, perché siamo tutti un solo corpo; l’unità con la creazione, perché l’intera creazione diviene veramente il regno dell’uomo». Certo l’uomo liberamente può rifiutarsi di accogliere il Cristo ed entrare nella sua Presenza, tuttavia questa rimane la sublime manifestazione dell’amore infinito di Dio che vuole redimere l’umanità.

Adorazione Eucaristica: la «preghiera del Cristo che diviene la nostra preghiera»

Di seguito alcuni pensieri del padre don Divo in merito all’adorazione eucaristica, che aiutano ad entrare
in questa visione così chiara e particolare frutto di una consapevolezza sicuramente ispirata.

«Ora noi possiamo capire e riprendere uno degli elementi essenziali della pietà cristiana: l’adorazione cosiddetta dell’Eucaristia, che non è più adorare noi l’Eucarestia, ma è l’adorazione del Cristo che diviene la nostra adorazione, che non è più la preghiera dell’uomo a Gesù, ma è la preghiera del Cristo che diviene la nostra preghiera, la contemplazione del Verbo che diviene la contemplazione nostra».

«Si è detto tante volte: non si tratta per noi di adorare Gesù; (…) si tratta di entrare nell’adorazione che è propria della sua umanità. Se io veramente vivo una mia comunione col Cristo, l’adorazione dell’umanità sacrosanta del Verbo dinanzi alla faccia del Padre, diviene il mio atto, io contemplo il Padre con gli occhi del Cristo, io adoro il Padre col cuore di Gesù, entro nella Presenza. (…) Vivere l’Eucarestia è l’entrare precisamente nell’anima stessa di Gesù, entrare nel cuore stesso di Gesù, entrare nei sentimenti stessi di Gesù (…)».

Alcuni fraintendimenti della devozione: al centro è il cuore dell’uomo

E, per evitare quello che vedeva come il pericolo della “tabernacolatria” precisava: «Una certa devozione eucaristica rischia di compromettere quello che è il vero valore del Mistero eucaristico, perché fa sì che noi ci ordiniamo al sacramento, e questo è contro la teologia, perché i sacramenti sono per gli uomini, non gli uomini per i sacramenti. Fine dell’Eucarestia è il cristiano, perché l’Eucarestia si dona a noi per trasformarci precisamente nel Corpo di Cristo, per far sì che in noi si renda visibile Gesù benedetto».

E ancora: «Più sacro di ogni tabernacolo è il cuore dell’uomo! Perché nel tabernacolo è presente il Signore, ma per comunicarsi a noi e non per stare lì. È sotto le specie del pane per comunicarsi. Il termine ultimo del Cristo è il mio medesimo cuore, è l’intimo dell’essere mio. Egli vive in me. (…) Noi siamo il paradiso di Dio, il luogo di Dio!».

«Tante volte noi, nei riguardi dell’Eucarestia, abbiamo come il sentimento (non dico la fede) di una presenza “cosica”: è presente come è presente, per esempio questo libro. Veramente è qualche cosa di incredibilmente stupido da pensare questo, perché la presenza di una persona non è nemmeno nel corpo; la presenza di una persona è soltanto nella misura che la persona si dona, perché voi potete essere anche qui, ma se non mi pensate, se non c’è un rapporto vero di amore, siete assenti ed io sono assente a voi. Basta che chiuda gli occhi, e voi mi siete già lontani se io non vi penso, se io non vi amo. La presenza del Cristo non è una presenza “cosica”, è la presenza di una Persona vivente la quale tutta si dà a voi, perché voi non viviate che la sua medesima vita, perché voi siate trasformati in Lui stesso. Vivere questo è tutto! Lasciare che Cristo operi in voi questa trasformazione, questa vostra unione con Lui, perché voi possiate entrare nel seno del Padre».

Nel 1983, ne “La vita in Cristo” afferma : «la comunione eucaristica sembra essere il mezzo escogitato da Dio per il mantenimento della vita e per il suo progresso, com’è il cibo nella vita naturale dell’uomo».

Ciò che l’Eucarestia compie

A proposito di quanto opera la comunione eucaristica, don Divo precisava che se il sacrificio eucaristico è il modo in cui si manifesta la Presenza reale, nella comunione eucaristica finalmente questa Presenza si realizza nell’anima del fedele.

Cristo entra in comunione con lui e, donandosi totalmente, vive con lui una comunione di amore e di vita. E solo Dio, che è puro spirito, si dona totalmente, in Cristo, divenendo intimo all’uomo più di se stesso. «Dio veramente si comunica a me. E tu vivi ora non più l’alienazione, ma vivi, nella presenza di Dio, la presenza anche a te stesso. Nella presenza si realizza anche la comunione con gli altri. Tu divieni un solo corpo con tutti».

È per questo che l’Eucarestia realizza la Chiesa, ma anche la comunione con gli uomini di tutti i tempi e luoghi, con la creazione, e con Maria SS., gli angeli, i santi e con i defunti, perché l’uomo, ricevendo Cristo, vince le conseguenze del peccato: alienazione da Dio, incomunicabilità nei confronti degli uomini e rottura con la creazione.

L’immanenza di Cristo nella nostra unione con tutti

Don Divo teneva anche a sottolineare che, nella Comunione eucaristica, non solo Cristo vive in noi nella fede, ma anche noi viviamo in Lui: è l’ immanenza reciproca. «È un’immanenza che dipende da un atto sacramentale: si comanda all’uomo di rimanervi, non si potrebbe chiedere all’uomo di realizzarla».

«Questa immanenza del Cristo nell’uomo e dell’uomo in Cristo ripete in qualche modo l’immanenza del Padre nel Figlio e del Figlio nel Padre nell’unità dello Spirito (…)»

Così il mistero eucaristico ripete il mistero della Trinità, in cui le tre Persone divine, uguali e distinte, sussistono in una sola natura. Per il mistero eucaristico, nell’unità del Cristo, siamo distinti da Lui, ma siamo anche trasformati in Lui, per partecipazione d’amore diveniamo ciò che riceviamo. «Nella Comunione io divengo davvero il Figlio di Dio (…). Io e Cristo siamo “uno” nella verità, un’unica vita. Come una favilla in un incendio, come una stella che si tuffi nel sole: non è più che una luce infinita”. Ed è sempre Cristo che realizza questa unità; noi siamo chiamati a viverla, entrando sempre più nel mistero della Comunione eucaristica. Ma come questo è possibile? Volete unirvi a Gesù? Non crediate che la Comunione sia un atto privato (…) non è un atto di intimità con Gesù. Non c’è intimità con lui se non realizzi questa unione con tutti. Tu sarai uno con tutti se tu, uomo, sarai tutta la Chiesa; se in te vivrà la pena di tutti i malati, l’angoscia di tutti i peccatori, la beatitudine di tutti i santi”.

La presenza di tutti e di tutto

Se viviamo veramente la comunione con Cristo, abbracciamo in unione d’amore tutti i santi, ma anche Maria, gli angeli e i defunti. “Nella Messa i nostri morti sono vivi, più presenti di quando vivevano quaggiù sulla terra; i santi sono più presenti a noi di quanto non fossero presenti ai loro contemporanei».

E unendoci a Cristo superiamo anche la divisione col creato, perché «in Cristo ritrovi davvero ogni cosa, non abbandoni più nulla. Comunichi con l’universo che s’è riconciliato con te e al quale tu ti sei riconciliato perché hai trovato Dio. Questo vive l’anima nella Messa».

Il sacramento della perfezione

Don Divo ci parlava dell’Eucarestia come il sacramento della perfezione, per lui le ragioni sono due: l’Eucarestia è l’alimento spirituale per eccellenza; l’Eucarestia realizza l’unione nuziale con Cristo.

Infatti, «la Comunione, in quanto alimento per la nostra vita, si accompagna al cammino dell’anima verso la perfezione. Perciò possiamo fare la Comunione anche prima della Confermazione e continuiamo a farla, anche se non siamo perfetti, proprio per raggiungere la perfezione».

«(…) Per il sacramento eucaristico è Dio stesso che diviene il desiderio dell’uomo e la fame dell’uomo diviene così inestinguibile, perché ha la misura stessa di Dio». L’Eucarestia «è un’unione nuziale, nella quale Gesù dona tutto se stesso: non solo la sua umanità, ma anche la sua divinità».

Unità nella distinzione

È il sacramento dell’amore, perché realizza la trasformazione dell’amante nell’Amato e la loro unità, senza che venga meno la loro distinzione. «La nostra santificazione ultima si realizza in una unione nuziale col Verbo. La comunione è la consumazione di questa unione. (…) Basterebbe una Comunione a farci santi. Di fatto basta: quando saremo in Paradiso vivremo una comunione sola, ed è l’eternità, l’atto di una comunione che si trasferisce totalmente in Dio e ci dona Dio per sempre (…)».

Ma, don Divo fa notare, anche Lui ha fame dell’uomo e questa sottolineatura è per noi importantissima e bellissima. Poter credere a questo! Al pari di tutti quelli che amano Dio desidera ardentemente l’amato, desidera di possederlo! È vero, è un linguaggio umano, quasi carnale, quello che don Divo usa per esprimere questo desiderio, questo amore di Dio per ciascuna anima: linguaggio comune a molti mistici che, come don Divo, vivono veramente e pienamente questa unione nuziale con Gesù. «Il sacramento eucaristico come realizza l’unione, così porta a compimento l’adozione nuziale, dando all’uomo di vivere come figlio di Dio il rapporto del Figlio unigenito».

E, nel mistero eucaristico, l’anima che riceve lo Sposo, s’identifica non solo col Cristo, non solo con la Chiesa, ma con tutta l’umanità e tutta la creazione, perché si dilata in una dimensione d’amore che tutto abbraccia. Per questo il padre don Divo teneva a farci comprendere che «(…) il fine di tutta la vita della Chiesa sono i cristiani, i quali debbono essere l’ultima presenza, la presenza definitiva di Cristo, perché i sacramenti cesseranno, e alla fine del mondo non si celebrerà più la Messa sotto le specie del pane e del vino, ma rimarremo eternamente noi se saremo in Paradiso, e il Cristo vivrà in noi e noi vivremo in Lui…».

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