Il testo del Vangelo
1Entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, 2quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, 3cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. 4Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. 5Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». 6Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. 7Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». 8Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». 9Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. 10Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».
Una frequentazione “ambigua”
Il Vangelo di questa domenica racconta dell’incontro tra Gesù e Zaccheo: questo episodio è descritto in modo vivido, è consolante nel suo messaggio, ma conserva la capacità di metterci in crisi, come ogni frequentazione “ambigua” del Signore. Questi incontri non casuali ma, come in questo caso, voluti e ricercati da Gesù, restano impressi, al punto che Egli viene definito “mangione e beone, amico dei pubblicani e delle prostitute” (Mt 11, 19)
Chi è Zaccheo?
Ci viene presentato un uomo, Zaccheo, “capo dei pubblicani e ricco”: l’immagine è quella di una persona losca, di un collaborazionista dell’oppressore romano, di un ladro che per conto dell’impero riscuoteva le tasse, caricandone il peso al fine di arricchirsi impunemente, un “impuro” per eccellenza, emarginato, da evitare. Questa è la risposta che un uomo del tempo e ognuno di noi avrebbe dato alla domanda: chi è Zaccheo? E da qui lo sdegno verso la scelta del Maestro di essere suo ospite, stante il culto del pasto comune come importante momento di unione. Il Vangelo di oggi ci scuote perché ci mostra che la risposta di Cristo sull’uomo Zaccheo è ben altra dalla nostra.
Disponibilità interiore (ed esteriore)
Avviene un evento strano, un po’ fuori schema, difficile da comprendere: questa “brutta persona” è mossa da curiosità e interesse verso il profeta di cui tanto si sentiva parlare, al punto da salire su un albero pur di vederlo, poiché la sua bassa statura era di impedimento. Prima ancora di vederLo, Zaccheo è visto da Gesù: questa sua aspirazione, che lo ha portato ad arrampicarsi su un sicomoro in attesa del Signore che passa, è un segno di disponibilità interiore – e di molto altro che non conosciamo – che Cristo intercetta come una porta per entrare nel cuore di quest’uomo.
Figlio di Abramo
La considerazione che costui riceve da parte di Gesù lo riempiono di gioia: nessuno tra le “personalità” in senso spirituale voleva entrare in casa sua, né lo riteneva degno. La sua risposta è un cambio di rotta, una giustizia generosa, l’eccesso di restituire quattro volte tanto.
L’essere interpellato e riconosciuto da Gesù restituisce a Zaccheo, ai suoi stesso occhi, la dignità che credeva perduta. Infatti Cristo non vede in lui l’errore, la povertà umana, la cupidigia, la sete di potere, ma l’uomo, il nucleo originario di bene di cui è creato, dicendo “anche egli è figlio di Abramo”.
Zaccheo incontra in Gesù una verità nuova su se stesso, gli è restituita la sua umanità. In questo senso Cristo rivela l’uomo all’uomo. La liturgia, nella prima lettura, ci prepara a questa notizia definendo Dio “amante della vita”, paziente e indulgente verso tutte le cose (Sap 11).
L’ultima parola sull’uomo
Gesù viene per salvare ciò che era perduto, come medico per i malati (Mt 9, 12), per chiamare non i giusti ma i peccatori. La sua prossimità con gli emarginati e gli ultimi non è volta a ritenerli più validi e preziosi in quanto tali, né ha nulla di decadente: rivela, invece, la libertà e il potere di rivolgersi a tutti come uomini.
Egli sa che il peccato non è l’ultima parola sul nostro conto, è venuto (e si è consegnato all’uccisione) per cercare quello che di buono abbiamo.
“Ciò che era perduto” è l’uomo stesso, rappresentato dal pubblicano Zaccheo, che paradossalmente in ebraico significa puro, giusto. L’uomo è perduto, è nel peccato, è fragile: questa è la sua “stoffa”, a prescindere da tutte le distinzioni umane che formuliamo per vivere. Il (sedicente) “giusto”, negando questa verità, dimentica Dio, crede di non averne bisogno, è chiuso al suo messaggio e per questo non è da Lui chiamato; Gesù non è venuto per lui.
La curiosità di Zaccheo, che non è fermo e stanco della vita, ma in movimento e in ricerca, diventa un modello: sarà il desiderio di incontrare Cristo, sarà l’intraprendenza nell’appostarsi laddove potrebbe passare, sarà l’insistenza con cui di desidera vederlo a qualificare ogni uomo più di quanto lo qualifichi il peccato, anche nel fondo buio della sua negatività. Incontrare Gesù, saperci guardati e amati da lui come uomini, sarà la fonte liberante della conversione.
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