di Sabrina Corsello
“Perché gli amanti amano trascorrere tanto tempo insieme?” si domanda Platone nel Simposio. La risposta del filosofo greco è che, ben al di là dell’interesse sessuale, gli amanti hanno bisogno di tanto tempo per poter dire cose che altrimenti non riuscirebbero a dire. Se poi ci si domanda perché mai non le riescano a dire, la risposta è che le cose dell’amore, in quanto sfuggono alle regole della ragione, sono cose indicibili. Chi ha conosciuto il sentimento dell’amore, ha certamente fatto esperienza di quello stato di grazia, che porta a dire cose che, prima di quell’incontro, non avrebbe mai osato dire nemmeno a se stesso. Quando si ama, infatti, emergono parole nuove, sconosciute persino a chi le pronuncia e in quanto tali, mai espresse prima di quel momento. Non a caso il linguaggio degli amanti spesso ci appare come un linguaggio folle, privo di senso. Espressioni come ”Mi fai perdere la testa”, “Mi fai impazzire” sono proprie di chi è nell’amore è caduto e si trova dunque a vivere una situazione irripetibile nella sua unicità.
De Le cose dell’amore ce ne ha parlato Umberto Galimberti, che recentemente abbiamo incontrato a Palermo, nell’ambito del master formativo “Educare oggi. Famiglia, scuola e società”. Attraverso un’analisi dei punti salienti del pensiero greco, lo scrittore colloca la dimensione propria dell’amore nella follia che, in quanto dimensione propria degli dei, è antecedente alla ragione. Com’è noto, sull’amore sono stati scritti fiumi d’inchiostro, ma per il nostro scrittore è Platone colui che, più di ogni altro, ha saputo coglierne l’essenza. Per il filosofo greco Amore è ermeneuta, in quanto è il solo capace di riempire quel vuoto immenso che è fra gli uomini e gli dei, essendo il solo in grado di interpretare le parole degli dei per farle intendere agli uomini e, al tempo stesso, di tradurre le parole degli uomini per farle intendere agli dei.
Amore è anche epistéme. Lo riconosceva lo stesso Socrate, il filosofo che più di ogni altro sa di non sapere e che della sua dotta ignoranza ha saputo fare il cardine del principio di ogni ricerca filosofica. L’unica cosa di cui ho conoscenza, dirà Socrate, riguarda tà erotikà, cui tuttavia non è attraverso la ragione che è possibile giungere. Egli dichiara di avere appreso delle cose dell’amore grazie ad una donna di nome Diotima. Alla donna infatti e non all’uomo, è dato accedere al grande oceano dell’irrazionale, di cui la ragione non è che una piccola isola. Diòtima racconta a Socrate della nascita di Eros, in seguito ad un incontro avvenuto ad un banchetto in onore di Afrodite, dove un uomo ricco di nome Poros si unisce a una donna povera di nome Penia, alla quale del pranzo giungono solo briciole. Poros è in cerca di una via d’uscita da se stesso e la trova nell’incontro con la povertà, ossia con quello stato di carenza che farà di lui un desiderante. Amore e desiderio hanno infatti la stessa natura, condividendo entrambi, come loro dato costitutivo, la mancanza. Persino l’intensità stessa dell’amore è misurata dalla mancanza e in questo dato risiede la tragicità della visione greca: noi esseri umani siamo capaci di amare solo se e fino a quando l’altro ci sfugge, ossia non è in nostro possesso. Ecco perché non è affatto vero che in amore bisogna dirsi tutto, ecco perché in amore vince chi fugge.
Tuttavia il lungo e difficile percorso che porta ogni uomo a procedere verso l’ascesi razionale e a lottare contro la sua parte irrazionale, determina l’affermazione di quella ragione che mira a definire e a controllare ogni cosa. Compito proprio della ragione sarà dunque quello di fissare l’identità delle cose, per affermare che una cosa è se stessa e non un’altra, sulla base del principio di non contraddizione e a spiegare i fenomeni secondo il principio di causalità. Eppure, al di là di questi principi certi e razionali, l’uomo, nel corso della sua vita si trova più volte costretto a fare i conti, in un modo o in un altro, con quella follia che segna la compresenza della dimensione irrazionale. Certamente l’incontro con l’amore costituisce una, se non la più significativa di queste esperienze.
Da dove nasce questo stretto legame tra amore e follia? Perché abbandonarsi all’amore è così difficile? L’esperienza ci porta a dire che l’uomo ha, al tempo stesso, paura e desiderio dell’amore. A ben vedere, ciò di cui abbiamo paura non è l’amore; ciò che ci spaventa veramente è la perdita del controllo determinata dall’incontro inaspettato con quella follia che pure ci abita e ci caratterizza e che porta, ben oltre la ragione, a distinguerci gli uni dagli altri. Tuttavia l’incontro con la nostra follia solo l’amore potrà renderlo possibile. Solo gli amanti, infatti, sono capaci di accompagnarsi reciprocamente verso l’ignoto, di procedere insieme verso quella dimensione, certamente temibile e inquietante ma, al tempo stesso, viva, potente e creativa. Perché solo l’amore, che guida e accompagna, può vincere la paura di chi è chiamato a perdersi per ritrovarsi, a uscire da sé per trovare l’estasi, a morire nel proprio ego per trovare la vera vita. Così come Dante ebbe bisogno di Virgilio per scendere agli inferi, allo stesso modo ogni amante ha bisogno dell’incontro fiducioso per entrare nella sua follia. Ecco perché non può esserci alcun rapporto tra la ragione e la follia, se non attraverso la necessaria mediazione erotica dell’altro.
Ma attenzione, avverte Galimberti, l’incontro con la follia è estremamente pericoloso e pertanto la paura è legittima. Non a caso ho bisogno che l’altro mi accompagni e che questo non sia un altro qualsiasi, ma l’altro di cui posso fidarmi e al quale posso abbandonarmi completamente. Se poi ci poniamo la domanda in cosa debba potersi riporre questa fiducia, la risposta sarà che per amare si ha bisogno di credere che l’altro non sia soltanto colui che saputo farmi incontrare con la mia follia, si ha soprattutto bisogno di credere che l’altro sia, al tempo stesso, colui che da questa follia sarà capace di tirarmi fuori, per ritrovare il nuovo me stesso. Dopo l’amore, infatti, niente è più come prima e coloro che avranno saputo attraversarlo saranno, inevitabilmente, persone nuove. L’amore, dunque, è maieutico, in quanto segna l’incontro con la parte più vera e autentica di noi stessi, svelandoci la dimensione più potente e creativa. Come la levatrice, l’amante porta sempre alla luce qualcosa di inedito dell’amato e, così facendo, apre e rigenera a una nuova visione del mondo.
A questo proposito, ci piace concludere facendo riferimento ad un tema cui, sia pur brevemente, durante la conferenza, è stato fatto cenno: l’erotica dell’insegnamento. Se oggi si parla tanto di questo temaè perché anche l’incontro con gli insegnanti è, o almeno è auspicabile che sia, un incontro d’amore. Come è noto, infatti, i processi di apprendimento non avvengono su basi razionali, ma su base erotica. Perché l’erotismo non è soltanto una faccenda sessuale, esso è anche la procedura della paideia, in quanto l’educazione stessa avviene per processi erotici. Pertanto, aggiunge Galimberti, non ha senso che un insegnante dica ad un genitore che suo figlio non ha volontà, in quanto questa è essa stessa mossa dall’interesse il quale, a sua volta, è prodotto dalla fascinazione. A tal fine è necessario che i professori sappiano essere carismatici, perché solo gli insegnanti che “fanno innamorare” e che dunque sanno infondere fiducia nei loro discenti, aprono a nuove visioni del mondo e sono capaci di rigenerare in senso maieutico.
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