Alte gerarchie coinvolte nella polemica su celibato
Ci sarà davvero la scisma della Chiesa se e quando papa Francesco, rispondendo alla forte istanza avanzata nel Sinodo sull’Amazzonia, introdurrà delle attenuazioni (sulla cui ampiezza non si possono fare previsioni) alla regola del celibato dei presbiteri? La domanda aleggia da tempo ed è diventata più pressante dopo le vicende che hanno visto il pontefice emerito Benedetto XVI coinvolto nella pubblicazione di un libro del card. Sarah, fortemente ostile all’ipotesi di una innovazione in questa materia.
Tanto più che Ratzinger, pur facendo una decisa marcia indietro quanto alla responsabilità di co-firmatario del testo, non ha mai negato di aver comunque scritto alcune pagine, in cui l’ipotesi di abolire il celibato è fortemente criticata. E già qualche settimana prima il card. Camillo Ruini, in una intervista a ci è stato dato grande risalto, aveva rivolto a papa Francesco la supplica di non accogliere la richiesta del Sinodo in questo senso.
Le certezze del card. Müller
Queste autorevoli prese di posizione sono solo la punta dell’iceberg di un rifiuto radicale che proviene da una parte consistente della comunità ecclesiale.
L’argomento che viene portato come decisivo è che, come ha detto tempo fa in un’intervista il card. Müller, ex prefetto della Congregazione della fede ed esponente di punta di questo fronte, «nessun Papa può cambiare dogmi della fede». E quello del celibato, secondo il cardinale, rientra in questa categoria di verità: «Noi abbiamo il sacerdozio sacramentale, non come i protestanti che vedono questo ministero soltanto come una funzione, seppur importante. Il sacerdote è un rappresentante di Gesù e tutta la sua vita ha a che vedere con la sua missione, con il suo potere spirituale».
Personalmente, ho sentito il cardinale Müller affermare in una trasmissione televisiva che, essendo il presbitero un «alter Christus», ed essendo stato Cristo celibe, la scelta celibataria rientra nell’essenza del sacerdozio ministeriale. La base del celibato sarebbe insomma il vangelo, e non una convenzione umana modificabile a piacimento.
Devo dire francamente che la decisione del tono, l’assolutezza dei termini, lo stesso piglio risoluto che le immagini televisive rendevano assai più efficacemente della carta stampata, devono aver convinto la stragrande maggioranza dei telespettatori, e per poco non convincevano anche me, che il celibato dei preti è una verità di fede immodificabile, da difendere contro le lusinghe del mondo e le mode del nostro tempo. E che, se papa Francesco si azzardasse a cambiare qualcosa su questo punto, sarebbe evidentemente in contesto col vangelo e con la tradizione della Chiesa, dunque chiaramente eretico.
In contrario, i preti cattolici sposati
A impedirmi di condividere questa convinzione è stato il fatto che, per una coincidenza, proprio l’indomani mattina avevo preso l’impegno di tenere una conversazione di aggiornamento al clero dell’Eparchia di Piana degli Albanesi, una piccola ma dinamica diocesi nei pressi di Palermo, di cui fanno parte alcuni presbiteri sposati (il termine tecnico è “uxorati”).
Come anche la diocesi calabra di Lungro e come moltissime comunità ecclesiali sparse in tutto il mondo – dall’Europa dell’Est agli Stati Uniti – quella di Piana degli Albanesi è una Chiesa rigorosamente cattolica, e perfettamente cattolici sono i suoi presbiteri, compresi quelli uxorati.
Mi è dispiaciuto dar loro, l’indomani, la cattiva notizia che secondo il card. Müller alcuni di loro – gli sposati – non erano immagine di Cristo e quindi neppure veri presbiteri. Salvo a dover prendere atto insieme a loro che il card. Müller ha detto – in buona o cattiva fede (non spetta a me giudicare la sua coscienza) – una cosa totalmente falsa.
Il vangelo e la Chiesa primitiva prevedono preti sposati
È falso, infatti, che nel vangelo Gesù abbia affidato la missione di presbiteri solo a persone che condividevano il suo celibato. Nel vangelo di Matteo (cap.8, vv. 14-15) si dice che, a Cafarnao, «entrato nella casa di Pietro, Gesù vide la suocera di lui che era a letto con la febbre. Le toccò la mano e la febbre la lasciò; poi ella si alzò e lo serviva».
Se Pietro aveva una suocera, è presumibile che avesse anche una moglie. Non tutti gli apostoli erano sposati: Giovanni, per esempio, sembra che non lo fosse. Ma il compito di «pascere le pecore» della Chiesa nascente fu affidato da Gesù non al discepolo vergine che egli amava, bensì a quello sposato (cfr. Gv 21, 15-17). È tutta la tradizione della Chiesa a ritenere che Pietro sia stato il primo papa. E, a meno di sostenere che non fosse sacerdote, è anche da riconoscere che il primo presbitero sia stato un uomo sposato.
Di questo avviso sembra sia stata la Chiesa primitiva. Nella prima lettera a Timoteo, si elencano i requisiti del buon vescovo: che «sia irreprensibile, marito di una sola donna, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare» (3,2). A Tito è rivolta una raccomandazione simile: ogni presbitero, che lui dovrà stabilire nelle varie città dell’isola di Creta, «sia irreprensibile, marito di una sola donna e abbia figli credenti, non accusabili di vita dissoluta o indisciplinati» (cf Tt 1,5-6).
La tradizione della Chiesa
Anche in seguito, per tutto il primo millennio un divieto formale di matrimonio per i preti non ci fu, anche se progressivamente si fece strada l’idea che pur se sposato, chi celebrava i sacri riti dovesse astenersi da rapporti sessuali.
Solo all’inizio del secondo millennio, dalla riforma di Gregorio VII al pontificato di Innocenzo III si sviluppa una continua e progressiva riaffermazione dell’ obbligo del celibato per il clero. La contrapposizione con la visione protestante porterà, da parte del Concilio di Trento, un’ulteriore radicalizzazione della norma cattolica latina.
Ma all’interno dell’unica Chiesa cattolica hanno continuato a convivere – sotto questo come sotto altri aspetti – almeno due tradizioni diverse, quella latina e quella greca. Quest’ultima condivide con le Chiese ortodosse una disciplina del celibato che lo riserva ai vescovi. Possono essere ordinati presbiteri uomini sposati, anche se non vale il reciproco (il presbitero non può sposarsi dopo aver ricevuto l’ordinazione).
Questa prassi è stata peraltro adottata anche dalla Chiesa latina in alcuni casi particolari, quando per esempio presbiteri sposati della Chiesa anglicana (il cui sacramento dell’ordine è riconosciuto da quella cattolica) hanno chiesto e ottenuto di essere accolti senza rinunziare né al loro presbiterato né al loro matrimonio. Lo stesso Benedetto XVI, quando era pontefice in carica, ha adottato in più occasioni questa linea. Se fosse vero che il presbitero è «essenzialmente celibe», non avrebbe potuto farlo.
Il celibato dei preti non è un dogma, dunque
Un regime del genere corrisponderebbe a ciò che il Sinodo per l’Amazzonia chiede, quando propone che possano essere ordinati i cosiddetti “viri probati”, uomini sposati di provata maturità cristiana.
Non posso decidere se il card. Müller abbia misconosciuto tutto ciò perché non lo conosceva o perché troppo preso dalla propria idea per ricordarsene. Ma sono addolorato perché molti sinceri credenti che l’hanno ascoltato, come me, affermare con tanta sicurezza il contrario, sono stati indotti in errore senza loro colpa.
Ma neppure la sua abolizione sarebbe la soluzione di tutti i problemi
Che non sia un dogma, come sostengono i “conservatori”, non significa affatto che il celibato dei preti sia un assurdo anacronismo, come vanno ripetendo a gran voce molti “progressisti”.
Tanto meno può essere ritenuto la causa dei problemi attuali del clero, dalla crisi delle vocazioni al fenomeno della pedofilia. A smentire queste facili affermazioni di moda è, per quanto riguarda il primo punto, l’esperienza delle Chiese orientali e di quelle cattoliche di rito greco, per non parlare del mondo protestante; per quanto riguarda il secondo la semplice constatazione che gli abusi sui minori sono soprattutto frequenti all’interno delle famiglie da parte di adulti sposati.
Alcuni rischi da non sottovalutare
E chi sottolinea, a ragione, che un prete sposato può capire meglio i problemi della gente e condividerli, deve però anche tener conto che questo avvicinamento comporta, per contro, il rischio – per presbiteri che a volte danno l’impressine di svolgere un mestiere, senza un dono totale di sé –, di un imborghesimento ancora maggiore di quello che spesso si riscontra oggi.
Senza dire dei doveri coniugali e genitoriali che costringerebbero il presbitero a lavorare per mantenere dignitosamente la sua famiglia (una vita di sacrifici si può chiedere alla moglie, non a figli che non hanno fatto questa scelta) e, ancora di più, a modellare i tempi del proprio ministero sulle esigenze familiari (pena il rischio di imitare quei professionisti che trascurano il dislogo con moglie e figli perché assorbiti totalmente dal lavoro).
Per una logica pluralista
Insomma, ci sono i pro e i contro. Intanto però, senza la pretesa di risolvere con un colpo di bacchetta magica i problemi del clero a livello mondiale, l’ordinazione di persone sposate potrebbe essere prevista per territori come l’Amazzonia, dove davvero la mancanza di preti è talmente grave da creare un’emergenza.
La Chiesa non è e non deve essere una organizzazione monolitica. Dio ama le differenze e la comunità dei credenti deve adeguarsi a questa logica pluralistica. Contro tutti coloro che su un fronte o quello opposto, vorrebbero imporre univocamene verità assolute in un senso o nell’altro.
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