di Sabrina Corsello
Al nuovo Papa piace il ballo, ma non un ballo qualunque. A Papa Francesco piace il tango!
Si tratta solo di una tra le tante note di sorprendente e disarmante umanità di questo Pontefice o il tango davvero contiene qualcosa che può intrecciarsi con la spiritualità, altrettanto intimamente di quanto faccia con la sensualità?
Di parole sul tango ne sono state dette tante per tentare di racchiuderlo in un aforisma o in una definizione, tra queste la più nota – ma a mio avviso riduttiva – è quella che lo definisce come “un pensiero triste che si balla”. A ben vedere, la difficoltà di pervenire ad una sua definizione, nasce dal fatto che questo tipo di ballo non può essere codificato, in quanto esso si sviluppa al di fuori di regole o schemi predefiniti.
Il tango infatti è per sua essenza improvvisazione e, in quanto tale, esso si costruisce a partire da pochi passi base, che non sono altro che i normali passi della comune camminata. I bravi maestri non si stancano mai di insistere sul “camminare” e per molto tempo le lezioni non sono altro che un invito a prendere consapevolezza del “cambio di peso” da una gamba all’altra gamba e dello spostamento dell’asse del proprio corpo. Prima si cammina da soli, poi si cammina insieme.
Man mano che ci si addentra in questo ballo, passo dopo passo, ci si accorge di avere intrapreso, più o meno inconsapevolmente, un vero e proprio cammino in cui ciascuno è portato inevitabilmente a fare i conti con la propria capacità di ascolto di se stessi, prima ancora che dell’altro. Come per magia, ci si trova dentro uno spazio privilegiato per l’incontro, in cui due persone qualsiasi che, nel silenzio di una mirada[1], si sono scelte, si predispongono con cura ad un ascolto attento di se stessi e nello stesso tempo dell’altro, dentro il tempo della musica. Chi mai potrà prestabilire cosa avranno da dirsi quei due, quali saranno le loro sensazioni all’ascolto della musica e quali di queste vorranno condividere nell’abbraccio? Nessuno, nemmeno loro stessi. Ecco perché il tango non può che essere improvvisazione, perché tale è di fatto ogni incontro e chi balla è al tempo stesso attore e spettatore di ciò che accade hic et nunc.
Avviene come nella vita, in cui ogni momento è unico e irripetibile e ogni incontro diverso ed esclusivo. Ciascuno dei due ballerini viene così chiamato ad affidarsi al mistero della relazione. Tuttavia, proprio l’affidamento costituisce uno dei punti centrali e più problematici per chi decide di intraprendere questo percorso. Inevitabilmente, ben presto, ciascuno si trova a dover fare i conti con le proprie personali resistenze che preludono tale affidamento; ma è proprio qui che sorprendentemente si aprono scenari di grande libertà. Non a caso un grande musicista come Anibal Troilo poté dire che ballare il tango “è la continua ricerca di appagare un fortissimo desiderio di libertà che ci accomuna” .
Così come ogni incontro, anche ogni tango è, dunque, unico ed esclusivo. Il disegno delle figure offre allo spettatore attento l’opportunità di assistere alla rappresentazione visiva delle sensazioni e delle emozioni che la musica comunica alla coppia danzante, a patto che i due ballerini siano in grado di porsi in un atteggiamento costante di ascolto reciproco. Ogni tango può intendersi come un vero invito all’ascolto nella misura in cui per chi balla non è possibile rappresentare alcuna figura, se non in relazione all’altro. Il silenzio, interpretato nelle pause e dalle sospensioni, prima ancora che la musica, accompagna quello che è un vero e proprio incontro fra due anime che, attraverso i corpi, cercano la comunicazione. Una comunicazione che non è mai scontata, ma è un obiettivo e che avviene in modo sempre nuovo, se si è disposti all’abbandono e in uno stato di umile ascolto e di continua ricerca. A questo proposito B. Echeverry disse che «al tango si giunge come nelle vocazioni mistiche, in una umile condizione di iniziati, con la sensazione di aver sentito la Voce del Destino, di aver incontrato un linguaggio che cercava il Cuore per ascoltare ciò che nessun’ altra musica ci aveva potuto dire prima».
Non è facile, quindi, parlare del tango. Per quanto se ne possa dire, per quanto profondi possano essere i pensieri su di esso, nulla potrà mai essere minimamente comparabile allo stato di consapevolezza di chi lo pratica e lo condivide. L’espressione verbale infatti non potrà mai riuscire a descrivere l’esperienza di chi questo ballo lo vive in prima persona e sulla propria pelle. Un discorso analogo vale anche per la musica. I brani musicali selezionati per il ballo in pista, per le milonghe[2], non vengono mai menzionati citandone l’autore, bensì l’esecutore ossia l’orchestra che li interpreta. Infatti, in questo contesto, più che la partitura musicale conta l’esecuzione, più del pensare, il sentire e l’agire.
Di certo chi si avvicina a questo ballo prima o poi, in un modo o in altro, ha dovuto fare i conti con i facili luoghi comuni e con i vecchi pregiudizi che per molto tempo lo hanno accompagnato. Può sembrar strano parlare di pregiudizi riguardo una forma di danza, ma di fatto il tango a lungo è stato oggetto di continue denigrazioni, tradotte in vere e proprie condanne e proibizioni proprio da parte della Chiesa Cattolica.
Proprio per questo la notizia di un Papa amante del tango e persino ballerino, ha destato grande stupore: si tratta indubbiamente di un vero e proprio evento storico, la cui portata può essere compresa soltanto se ripercorriamo brevemente la storia del tango in relazione alla Chiesa Cattolica.
Quando, a cavallo tra ‘800 e ‘900, il tango sbarca a Parigi, primo approdo europeo d’oltreoceano, la Chiesa scatena una campagna di censura che inevitabilmente finirà per accompagnare l’arrivo del nuovo ballo anche in Italia. Questa danza ben presto viene ritenuta scandalosa, in quanto eccessivamente sensuale e oltraggiosa del pudore. Non diversamente anche i testi del tango cancion sono considerati del tutto sconvenienti, in quanto mettono in scena storie di bassifondi e malavita, di violenza e sesso e ciò viene considerato una vera minaccia per i fedeli e per la loro moralità.
Si narra che Pio X diede disposizioni affinché una coppia di ballerini di tango si esibisse in sua presenza al fine di poterne valutare di persona, gli aspetti scandalosi che avevano portato all’interdizione del ballo da parte dalle autorità ecclesiastiche parigine.
La nota poesia del 1914 di Carlo Alberto Salustri alias Trilussa dal titolo “Il tango e la furlana” riporterebbe le stesse parole di Pio X che conclude dicendo : “A me sembra che sia più bello il ballo della furlana; ma non vedo che grandi peccati vi siano in questo nuovo ballo!” Di fatto avvenne che Pio X dispose la revoca della sanzione ecclesiastica prevista per chi lo avesse praticato. Tuttavia, ben presto, il suo successore Benedetto XV dichiarò il tango non solo « oltraggioso», ma anche un «indecente e pagano, un assassinio della famiglia e della vita sociale». Piuttosto che farsi anch’egli un’idea di persona, monsignor Della Chiesa, arcivescovo di Bologna, proibì dunque il tango e scatenò contro di esso una campagna di demonizzazione senza precedenti.
Con questi precedenti, se torniamo a nostri giorni, inevitabilmente la notizia della passione tanghera pontificia, non può che essere accolta con grande simpatia e con un pizzico di orgoglio nella ormai largamente estesa e diffusa comunità tanghera, comunità caratterizzata proprio dall’orgoglio e dalla fierezza della propria scelta (talvolta, bisogna anche dirlo, al limite dello snobismo verso le altre forme di danza).
Il tango crea, infatti, fra chi lo ama e lo pratica una grande complicità. Si può anche non sapere nulla del partner con cui si sta ballando e non importa che non ci sia più visti, che non si sia scambiata una parola, è certo che qualcosa rimarrà indelebile nella memoria del corpo, pronta a balzare fuori all’incontro successivo, anche a distanza di anni. Si sperimenta così la memoria del corpo che attesta che, anche se la nostra mente non ne ha consapevolezza, di fatto è comunque iniziata una storia a partire da un ascolto silenzioso dell’espressione corporea.
Accade che i tangheri possano non sapere nulla l’uno dell’altro, ma è certo che se dovessero incontrarsi per strada, sarebbero subito in grado di riconoscersi, scambiandosi un sorriso di compiaciuta complicità. Ho immaginato che questo stesso sorriso, sia stato quello che ciascun tanghero abbia immediatamente condiviso col Papa “tanghero” il quale, tolti i “fronzoli” punta subito al cuore della gente, presentandosi come uno di noi, un comune mortale che in più ha solo l’onere di rappresentare una Chiesa che presiede unicamente nella carità.
Nella scelta del nome, la sua vocazione per i poveri, per la vita semplice sulle orme di S. Francesco D’Assisi. Ma un Papa che, nel presentarsi, non omette di comunicare le passioni più comuni – il calcio, il tango, la pittura, la letteratura, il cinema – è un Papa che innanzitutto intende condividere con il suo popolo la sua umanità e che, nel modello di S. Francesco, non individua soltanto la vocazione per la povertà, ma anche l’esaltazione della gioia vera, quella del “Cantico delle Creature”. La gioia e la lode di chi sa riconoscere le meraviglie della creazione divina, alla cui gioia e condivisione chiama il suo popolo, in vista di quella che il Papa stesso ama definire “l’allegria dello Spirito Santo sostiene la speranza” .
Le sue parole ci giungono come un vero e proprio invito alla lode a Dio e alla gioia condivisa. Non è certo un caso che il film preferito dal santo Padre sia “Il pranzo di Babette” in cui Karen Blixen ci narra di come i dodici abitanti puritani di un piccolo villaggio norvegese conducono una vita del tutto priva di piaceri terreni, fino al momento in cui saranno letteralmente sedotti ed inebriati dal pranzo organizzato che Babette, grande cuoca parigina. Una delle scene salienti del film è quella del discorso tenuto a fine pranzo dal generale Lowenheim il quale cogliendo il vero valore del pranzo dice:” Misericordia e verità si sono incontrate, rettitudine e felicità devono baciarsi…”.
Non sappiamo ancora molto di Papa Francesco, ma di certo quanto ha detto e fatto finora ci apre scenari inediti nella storia della Chiesa che oggi, più che mai, sembra pronta ad essere “povera fra i poveri”. Una Chiesa che accanto alla ricerca della verità e della bontà, pone anche la ricerca della bellezza e che sembra puntare finalmente anche sulla gioia di chi, sul modello di S. Francesco, sa cantare le lodi del creato già su questa terra.
In questo grande progetto, l’esperienza del tango, così come qualsiasi altra esperienza che mette in gioco il corpo – non a caso detto da San Paolo “tempio dello Spirito Santo” – si pone pur sempre nell’orizzonte della ricerca della verità, in particolare di quella ricerca che, ben lungi da ogni deriva intellettualistica vede protagonista un uomo capace di cercare e di amare Dio “Con tutto il suo cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze”. L’uomo integro nella sua umanità dunque si muove in un orizzonte in cui la conoscenza di Dio si svolge parallelamente ad un percorso di auto-consapevolezza che non può prescindere ma anzi, a pieno diritto, include l’esperienza e l’espressione del corpo. Un uomo, inteso come essere armonico ed unitario e non scisso si muove pertanto in vista della salvezza e la cerca senza escludere il tramite della gioia che dona bellezza e vera condivisione con l’altro.
[1] Insieme al cabezeo, lieve movimento del capo, costituisce il modo attraverso cui i ballerini si guardano ed individuano la reciproca disponibilità a ballare assieme.
[2] Il ternine milonga individua sia un tipo di composizione che si danza insieme al tango (l’altro è il tango vals o vals crollo), sia il luogo dove si balla.
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