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Tristezza e melanconia: forse un urlo verso la salvezza

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Il chiaroscuro di Giuseppe Savagnone, intitolato “Perché i giovani non debbano suicidarsi” denuncia il tasso di autolesionismo e suicidi tra i giovani durante la pandemia. Tra isolamento, scuola online, e crisi economica il Professore afferma che la vita si è impoveritaperdendo molti dei colori che la rendevano affascinante o almeno piacevole.” Secondo una tesi della post-modernita’ capeggiata da Nietzsche “il progresso è un’illusione e la storia, con le sue passioni, le sue apparenti rivoluzioni, le sue vicende liete o drammatiche, è un eterno ritorno di ciò che è già stato. Un divenire, insomma, magari affannoso, ma che non porta da nessuna parte”. Da qui l’origine di una malattia dell’anima che già ci corrodeva e che spiega l’indebolimento delle passioni, portando nei casi più lievi a tristezza, melanconia e stato d’animo “depressivo”. L’articolo, qui esposto brevemente, si conclude con un invito, in special modo fatto alla precedente generazione (i genitori di questi giovani), a ritrovare “qualcosa che valga la pena di costruire nel lungo termine e offrirlo ai figli, perché abbiano di nuovo la possibilità di sperare”.

Questa malattia dell’anima, che a partire dalla tristezza e mancanza di senso della vita porta a forme anche più gravi che possono culminare in autolesionismo e suicidi, ha diverse origini ed ognuna di esse merita di essere trattata separatamente. Alcuni esempi cruciali di questi anni sono la violenza nella famiglie, l’assenza di parità di genere e/o di accettazione per i diversi orientamenti sessuali, l’instabilità economica e la precarietà lavorativa. Ad essi si aggiunge il più recente, ovvero l’isolamento sociale del singolo causato dalla pandemia di COVID-19.

L’intento di questa riflessione è di offrire un’ulteriore origine, più generica e personale (quasi spirituale), di questa malattia dell’anima nei suoi stati più lievi o solo iniziali. Gli spunti di riflessione riportati sono tratti da un libro di Thomas Moore intitolato “La cura dell’anima” (in inglese, “Care of the Soul”). L’autore, nel suo libro, adotta il termine depressione precisando che ciò deriva dal fatto che spesso viene usato in modo interscambiabile con i termini tristezza, malinconia, e calo di desiderio, o, in altre parole, tono dell’umore deflesso. Nel prosieguo dell’articolo, dunque, adotterò questa precisa accezione della depressione, intesa come “stato d’animo” e non come vera patologia psichiatrica che porta con sé sintomi e conseguenze potenzialmente molto gravi.

Depressione come perdita della spensieratezza

Leggendo in questi giorni “La cura dell’anima” di Thomas Moore (psicoterapeuta americano, scrittore di libri di spiritualità e monaco per un periodo della sua vita), mi sono imbattuta in un capitolo intitolato “Doni della depressione”. L’autore inizia questo capitolo ponendosi la seguente domanda: “perché si e’ depressi? E che ruolo ha nella mia vita la depressione?”. Nell’antichità, umanisti e astrologi come Marsilio Ficino e Antioco d’Atene vedevano nella depressione l’influsso del dio e pianeta Saturno. In molti dipinti Saturno viene rappresentato come un vecchio uomo che sovrasta l’età dell’oro, o come diremmo noi, “i bei vecchi tempi”.

Thomas Moore afferma che a volte la persona depressa (come stato d’animo, non in senso patologico) viene identificata come quella che pensa che i bei tempi siano finiti, e che non sia rimasto niente di valore né nell’attuale presente né nel futuro. Un esempio di depressione è quella causata dal passaggio transitorio dalla giovinezza e spensieratezza (noncuranza di ciò che ci circonda), ad una maggiore consapevolezza che la conoscenza di ciò che ci circonda è cruciale e che la vita è piena di sofferenza. Da qui il porsi la domanda se in fondo la depressione sia anche una porta verso la saggezza.

In alcuni libri di medicina, afferma l’autore, Saturno è chiamato divinità della saggezza e della riflessione filosofica, e se guardiamo al Rinascimento uno stato d’animo “depresso”, l’invecchiamento e l’affermazione di una propria individualità vengono visti tutti parte di un unico processo. Nello specifico esempio dell’invecchiamento, la tristezza di questo processo fa parte del divenire un individuo. Una domanda che potremmo quindi porci è: e se questa pandemia ci stesse chiedendo un invecchiamento precoce? Se stesse forzando i giovani a lasciare prematuramente la loro spensieratezza per diventare dei giovani saggi?

Depressione come ignoranza del senso della vita

Thomas Moore continua dicendo che, poiché uno degli effetti della depressione è il senso di vuoto, spesso si opta per guardare oltre, ignorandone o trascurandone i sintomi. Tuttavia, se da un lato la depressione può essere vista come svuotamento di idee, pensieri ed emozioni, dall’altro lato la perdita di desiderio e lo svanire dell’entusiasmo potrebbero rappresentare elementi che incitano ad una nuova immaginazione e visione della vita.

Forse dalla depressione possiamo anche imparare. Imparare ad essere più pazienti, imparare ad abbassare le nostre grandiose aspettative e ad assumere un atteggiamento più serio e attento a quello con cui l’anima deve fare i conti. Quando si è tristi e depressi una frase che spesso si ripete è: “la vita non ha senso. Avere speranza non porta a nulla”. In risposta a questo Thomas Moore riporta la storia di Nicola Cusano, un teologo tedesco del Rinascimento, che durante un suo viaggio arriva alla realizzazione che in fondo non sappiamo in

modo completo chi sia Dio e quale sia esattamente il senso della vita, e la sola verità assoluta sulla vita è la presa d’atto della nostra ignoranza a riguardo.

Usando una metafora geometrica, afferma che se il cuore della nostra esistenza fosse paragonato ad un cerchio, allora il nostro sforzo di capirla potrebbe al massimo essere paragonato ad un poligono composto da moltissimi lati, ma non da lati infiniti: e quindi mai coincidente perfettamente con il cerchio. Mistero ed ignoranza portatrici di depressione non patologica vengono ripresi anche da Oscar Wilde che afferma: “Quando si è ben pesato il sole, misurato i gradini della luna e fatto il disegno dei sette cieli, stella per stella, resta sempre il nostro io. Chi può calcolare l’orbita della propria anima?”. Per cui la presa d’atto dei nostri limiti in questa vita e l’accettazione come parte integrante può essere causa di depressione. Da qui lo scaturire di una seconda domanda: e se questa pandemia ci stesse svegliando da un ritmo incalzante fatto di obiettivi dopo obiettivi, desideri dopo desideri, che ci privava di vedere in modo limpido e oggettivo la realtà in cui viviamo e la realtà delle nostre anime per ciò che sono?

Ascolto e pazienza: depressione come atteggiamento di ricerca

Un’altra causa della depressione presentata dall’autore è l’accettazione di un cambiamento che la vita, o la nostra stessa anima, ci chiede di fare. A volte, per tristezza e dolore di fallimenti o traumi passati, non abbiamo le forze di rinascere ad una nuova vita che ci chiama. Non abbiamo le forze per cambiare di nuovo prospettiva, sogni, speranze, luoghi, amicizie, dinamiche. “Non sono pronto. Non ne ho le forze”, diciamo. In questo caso, Thomas Moore suggerisce di dare tempo al tempo, supportando con paziente attesa quella persona finché sarà pronta. A volte, infatti, non bisogna solo enfatizzare la negatività di un concetto o stato d’animo cercando una soluzione immediata per “eliminare il problema”, ma tuffarsi nelle sue profondità per capirne le origini, ascoltarle, accettarle, e solamente dopo trovare un modo per tranne forza e conoscenza da esso. Una testimonianza reale sono i casi di quelle persone che dopo aver affrontato questo lavoro interiore, al momento di assistere una persona che ha subito un lutto o un trauma (abbandono, violenza fisica o psicologica, grave malattia, etc) opteranno per un intervento onesto e connesso alla realtà, piuttosto che uno immediato e pieno di positività superficiale. Di fatto secondo l’autore, attraverso questo lavoro di ascolto e ricerca, potremmo scoprire che la depressione non patologica è una specie molto particolare di angelo che guida le nostre anime verso posti più remoti, con lo scopo di ritrovarci con una visione più completa di noi stessi.

E se questa malattia dell’anima fosse un urlo di salvezza? Forse il problema non e’ solo nella generazione passata, nella perdita dei “buoni valori” (buoni rispetto a cosa o a quando?), nella politica e nell’economia attuale (che sempre hanno avuto enormi problemi). Forse un aspetto di questo stato di “depressione” visto come tristezza, malinconia e mancanza di passioni, di cui molti di noi fanno esperienza ogni giorno, è una condizione di quell’essere umano che, uscito da uno stato dormiente ed illusorio, si affaccia alla realtà e si approccia ad essa con un atteggiamento di ricerca della verità e senso della vita.

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