Da maestro a discepolo
L’esperienza di vita ascetica nata, tra il IV ed il V secolo, ad opera dei Padri e delle Madri del deserto dà vita ad una figliolanza spirituale, nel primo contesto monastico in assoluto. Questi asceti, conducendo vita eremitica o semi-eremitica, nel corso di incontri sporadici ma densi, distribuivano ai discepoli il frutto della loro esperienza con le loro “parole” o “detti”, spesso interrogati da chi voleva, alla loro scuola, progredire nello spirito.
Nella vita di questi primi anacoreti era centrale la venerazione e la meditazione delle sacre Scritture perciò i loro detti, così come la loro vita, lasciavano trasparire chiaramente l’azione di Dio. Per tale ragione i loro discepoli, divenuti a loro volta anziani, non mancarono di tramandare quanto ricevuto dando vita alle prime rudimentali raccolte orali in copto e in greco. Nel tempo nacque l’esigenza di dare forma scritta ai “detti” sia per tramandare quanto più fedelmente possibile l’esperienza degli anziani ai nuovi discepoli sia (a detta di molti studiosi) a causa della persecuzione subita nella prima metà del V secolo dai monaci della colonia di Scete (prossima al delta del Nilo) ad opera di tribù nomadi. La dispersione della colonia rese infatti drammaticamente urgente ai monaci di Scete portare con sé, nei nuovi territori d’insediamento, gli insegnamenti dei loro antichi maestri in una forma che ne scongiurasse la perdita irreparabile.
Mantenere il legame con i maestri
L’abbondanza e la ricchezza dei detti trascritti per la prima volta era così affidata al redattore che, per giusto scrupolo, introduceva i detti citando di volta in volta la fonte: “Il discepolo di abba Pafnuzio mi ha detto (…)”. Certamente, ad animare il redattore nella compilazione scrupolosa della raccolta era la necessità di assicurare ai futuri discepoli che si sarebbe mantenuto immutato, con la fedeltà del contenuto, un legame di continuità spirituale con l’esperienza ascetica dei padri delle origini, al di là del tempo e dello spazio. Nacquero con questo intento le cosiddette “collezioni minori” mentre, in alcuni casi, detti e ricordi attribuiti al medesimo padre o alla medesima madre, confluirono nelle “Vite” scritte dai loro discepoli. Sembra opportuno sottolineare che, questo ed altri esodi drammatici, portarono il frutto di una espansione del fenomeno stesso, considerato che di fatto condussero, in pochi secoli, ad una condivisione di ricchezza spirituale con tutta la cristianità di Oriente e di Occidente.
Una tradizione fondamentale
Possiamo affermare che gli Apophtegmata Patrum, cioè i detti dei Padri e delle Madri del deserto, costituiscono un classico della letteratura religiosa, nel senso che sono una fonte fondamentale della storia del monachesimo di Oriente e di Occidente che ancora oggi rimane attuale e continua ad interrogare e nutrire la cristianità. Quando un testo del passato può dire qualcosa anche a noi oggi è un classico, è un testo che ancora oggi chiede la nostra attenzione in un modo che ci sfida. Un classico sfida. Tutte le culture e le religioni hanno i loro classici: un classico religioso fa sorgere domande religiose in una maniera così forte che siamo costretti a confrontarci col testo se vogliamo rimanere coerenti con la nostra tradizione. E ci sono anche classici monastici. Don Barsotti riteneva in proposito che la spiritualità monastica fosse la via maestra per tutti i cristiani.
Le esperienze monastiche femminili
A proposito delle madri del deserto bisogna sottolineare che, sebbene le testimonianze a noi giunte riguardo alla loro esperienza siano meno numerose rispetto a quelle dei padri, è certo che il movimento monastico femminile non fu di minor ricchezza e che, anzi, l’impatto che ebbe sul contesto sociale e religioso del tempo fu molto profondo. La scelta di queste donne tra il IV ed il VI secolo di consacrarsi a Dio nella vita monastica ci dice che presero viva coscienza di essere anch’esse destinatarie di una vocazione che non può essere ostacolata dalla razza, dal sesso o dalla condizione sociale. Con loro si iniziò un nuovo capitolo nella storia della spiritualità in cui la donna non esita, certo affrontando maggiori ostacoli e pregiudizi dell’uomo, ad abbandonare comodità, sicurezza, affetti familiari per seguire Dio nel deserto. Sappiamo che nel 323 il padre Pacomio aveva fondato a Tabennisi, un villaggio distante 50 chilometri da Tebe il suo primo monastero e, successivamente, altri dieci cenobi, due dei quali costituiti da donne. Questi monasteri, nei quali vigevano le stesse regole di vita di quelli maschili, per la loro vitalità di vocazioni, suscitarono in san Giovanni Crisostomo uno stupore intenso che ben si comprende dal suo commento: “Il cielo che si ammanta di stelle non è così splendido come il deserto d’Egitto che mostra dappertutto le tende dei monaci”, esso è “più bello di ogni giardino, migliaia di cori angelici con sembianza di uomini, un popolo di martiri e assemblee di vergini”.
I “Detti”
Ritornando alla nascita delle collezioni scritte, sappiamo che gli studiosi sono pervenuti alla conclusione che, dalle basi documentarie piuttosto eterogenee cui abbiamo soltanto accennato, nacquero in Palestina, tra la fine del V e l’inizio del VI secolo due delle più importanti collezioni di Detti che sono giunte fino a noi: “una prima parte, i Detti secondo l’ordine alfabetico dei monaci che li hanno pronunciati, tuttavia all’interno di ciascuna lettera dell’alfabeto è possibile che il criterio di priorità sia dettato dall’importanza riconosciuta al singolo padre, nella seconda parte si trascrivono i Detti da tramandare senza precisarne la paternità. Nel tempo, la raccolta appena menzionata, redatta da una sola persona, venne ampliata al punto tale da dare vita a due collezioni distinte e parallele, la collezione Alfabetica e quella Anonima. La modalità alfabetica di trascrizione dei Detti offre la possibilità, a chi vi si accosta, di intravedere in maniera più piena la personalità e la dottrina di ciascun padre. Nella Collezione Sistematica i Detti sono trascritti secondo un ordine tematico, ciò lascia trasparire l’intento pedagogico del redattore di offrire, per temi appunto, una dottrina spirituale completa.
Secondo un’opinione condivisa, la versione primitiva di questa collezione, in gran parte perduta nell’originale greco, giunse comunque a noi grazie ai chierici romani (futuri papi) Pelagio e Giovanni, i quali ne curarono una traduzione latina a metà del VI secolo. Grazie a loro la sapienza del deserto egiziano ebbe modo di diffondersi in Occidente fin dai primi anni del Medio Evo, giungendo così ad influenzare la letteratura monastica latina di cui è alto esempio la Regola di san Benedetto. Successivamente la raccolta conobbe altri ampliamenti, tratti da opere monastiche successive che non avevano relazione con il contesto egiziano delle origini, probabilmente perché all’intento di trasmettere l’autentico insegnamento dei primi padri, si aggiunse quello di arricchire di contenuto i singoli capitoli tematici. Da quanto scritto, si può comprendere che i Detti pervenuti fino a noi non sono frutto della semplice e immediata trascrizione delle parole pronunciate dai primi monaci del deserto. Ad esempio il contesto nel quale trovarono forma scritta era differente dal contesto nel quale, in principio, i Detti erano stati diffusi oralmente. In tal senso, gli studiosi convengono sul fatto che, talvolta, al testo originario il redattore abbia sovrapposto l’interpretazione che si era fatta strada nel corso della prima tradizione orale e che oramai seguiva il testo come un corollario.
Un’opera di spiritualità al femminile
Riguardo ai Detti delle Madri, vengono tramandati come raccolta grazie al monaco bizantino Isaia che li compone nel manoscritto conosciuto come Meterikon, la prima opera della spiritualità cristiana costruita unicamente al femminile. Isaia, che vive tra XII ed il XIII secolo, indirizza l’opera a Teodora, figlia dell’imperatore Isacco II Angelo. Grazie al Meterikon si ha testimonianza, oltre che degli insegnamenti delle Madri del deserto egiziano, anche dei Detti di Pelagia, Matrona, Melania, tre madri notissime che avevano vissuto la loro esperienza nell’area palestinese e microasiatica.
Non soluzioni precostituite, ma stimoli alla crescita spirituale personale
Prendendosi un po’ di tempo per accostarsi ai Detti, riportati oggi in numerosi testi di studio e di spiritualità, si puo’ cogliere come il tratto caratteristico, l’intento comune dei Padri cui veniva richiesto di dare “una parola”, non era quello di fornire risposte precise, soluzioni, quanto quello di sollecitare il discepolo a leggersi dentro, tenendo aperte le domande di modo che il discepolo stesso giungesse ad aprire il cuore all’azione di Dio e si sentisse spronato a continuare la ricerca per giungere, progressivamente, ad una maturità spirituale che lo rendesse capace di discernimento personale. È per la stessa ragione che i Padri non hanno mai elaborato delle “regole del discernimento”, affermava infatti Basilio il Grande “perché se io conosco bene come si fa – c’è il rischio di impossessarsi della volontà di Dio”.
Si può affermare che questo astenersi dei Padri dal fissare delle regole al discernimento dice proprio il loro intento di non contrastare in alcun modo la volontà di Dio, piuttosto di custodirla: capirsi con Dio non significa capirsi una volta per sempre. Se un discepolo va dal Padre a chiedere “una Parola” vuol dire che è iniziato un processo e che deve esservi poi un crescendo, una maturazione. Alla fine è ben possibile che quell’insegnamento, quel qualcosa che abbiamo compreso a trent’anni, grazie anche alla mediazione del padre o della madre spirituale, si cominci a viverlo a cinquant’anni. D’altronde la paternità e la maternità di tutti i tempi, se comportano in un primo momento il conoscere la domanda, partecipare al dubbio, alla ricerca faticosa del figlio (e talvolta il farsi carico del tormento interiore che vi si accompagna) sono tanto più pienamente vissute in quanto si propongono di dare unicamente quel nutrimento necessario perché possa giungere a camminare da sé. Leggiamo in 1Pietro, 2-3: “come bambini appena nati bramate il puro latte spirituale, per crescere con esso verso la salvezza: se davvero avete già gustato quanto è buono il Signore”.
Lascia un commento