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Ceccanti: DDL Zan? Non c’è nessun problema specifico dei cattolici. Intervista al capogruppo del PD nella Commissione Affari Costituzionali.

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Oltre alle diverse questioni connesse ai diritti delle persone, il DDL Zan ha riaperto nel nostro Paese il dibattito sulla legittimità, da parte della Chiesa e dei cattolici, di intervenire sui temi sociali e politici. La nota del Vaticano e le prese di posizione della Conferenza Episcopale Italiana sul tema hanno fatto discutere per giorni tanto i credenti quanto i non credenti sulla laicità dello Stato italiano ribadita, per l’occasione, in parlamento dal presidente del Consiglio Mario Draghi. Di questi temi discutiamo con Stefano Ceccanti. Già presidente nazionale della Federazione Universitaria Cattolici Italiani (FUCI) e senatore, Ceccanti è professore ordinario di Diritto Pubblico Comparato presso l’Università di Roma “La Sapienza” e deputato della Repubblica. Nell’attuale legislatura è capogruppo del Partito Democratico nella Commissione Affari Costituzionali e Presidente del Comitato per la Legislazione.


– Il DDL Zan sembra dividere il parlamento e il Paese. A suo parere, perché una norma pensata per la tutela delle persone nella nostra società ha generato una simile spaccatura?

 Ci sono motivi di contenuto e problemi di dinamiche politiche. Parto dalle seconde per liberarcene subito: sono meno nobili e quindi in questa sede, dove ci concentriamo giustamente sui contenuti, ci devono interessare meno, ma sono rilevanti: c’è una propensione alla litigiosità eccessiva che tende a investire non solo l’Italia, anche se spesso a distanza di poco i conflitti vengono meno. Quello che negli Usa viene chiamato over-partisanship, eccesso di partigianeria. Basti pensare che oggi nessuno pone più in questione la legge sulle unioni civili, che è idealmente collegata a questa: all’epoca fu oggetto di polemiche, vennero minacciati referendum abrogativi, ma poi nessuno osò davvero proporli. Sui contenuti, l’altro piano di ragionamento, ci sono due profili diversi.

La lotta alla discriminazione si fa anzitutto con uno sforzo preventivo, di educazione al rispetto; quando però ci sono norme preventive su materie delicate c’è chi si preoccupa che ci possa essere in qualche modo l’imposizione di un’ideologia di parte, che si voglia far passare per accettazione delle diversità un qualcosa che per vari motivi non si condivide. Prendiamo in positivo questa preoccupazione: norme che vogliano portare all’accettazione del pluralismo devono comunque essere rispettose anche di credenze e impostazioni diverse che sono presenti nella società. Non ravviso però nelle concrete norme del testo questo pericolo perché, se si guarda all’articolo sulla scuola, c’è comunque il rispetto del piano dell’offerta formativa e del patto educativo, quindi dell’autonomia scolastica e del ruolo delle famiglie.

Poi c’è la questione se possono servire, soprattutto come deterrenti, anche delle norme penali. Qui c’è un’impostazione libertaria presente nella società italiana, anche se non diffusa sinora tra i cattolici, che vorrebbe considerare legittima qualsiasi espressione di idee, anche quando istiga a discriminazioni o comportamenti violenti. Però trent’anni fa la gran parte delle forze politiche scelse con la legge Mancino una strada diversa, che oggi viene estesa. Vale quanto sostenne il giudice americano Holmes: “Ve la sentireste di dire che non può essere punibile chi urla al fuoco al fuoco quando non c’è nessun incendio in un teatro pieno di persone provocando morti e feriti?” Le urla sono oggi molto spesso gli insulti sui social.

– In merito al DDL Zan, nelle scorse settimane abbiamo letto della nota privata del Vaticano destinata al governo italiano e di alcune riflessioni della CEI. Secondo lei, simili prese di posizione possono sintetizzare la riflessione che i parlamentari cattolici hanno maturato alla Camera e al Senato?

 Non credo che né la Santa Sede né i vescovi ambiscano a fare loro la sintesi del lavoro di parlamentari. Esprimono delle opinioni autorevoli che si ha il dovere di prendere sul serio e ai quali si deve rispondere. Nello specifico confesso di non aver capito il senso della nota del Vaticano perché richiamarsi al Concordato secondo me ha senso quando si devono difendere legittime e specifiche garanzie della Chiesa e dei cattolici, il patto tra Chiesa e Stato Ha senso cioè quando una legge che va bene in sé, per i cittadini in generale, discrimina però i cattolici. Qui però non c’è nessun problema specifico dei cattolici, secondo alcuni ci sono problemi per tutti i cittadini. Diverso è il discorso per le prese di posizione dei vescovi che si sono richiamati, per tutti, alla compatibilità costituzionale delle norme: questa è pienamente comprensibile in astratto, poi però bisogna vedere se nel merito quei rilievi sono più o meno fondati.

– Tramite i suoi canali istituzionali, la Chiesa cattolica ha diritto di manifestare pubblicamente la propria riflessione su tematiche sociali e politiche. Al di là di questo punto fermo della nostra democrazia che riguarda tutte le confessioni cristiane e le religioni, dal suo punto di vista i cosiddetti “parlamentari cattolici” in occasione del DDL Zan sono riusciti a svolgere un lavoro di mediazione fra Chiesa, partiti e società?

 Le Camere sono due e in Italia hanno un ruolo paritario. Ciò detto, ognuno può rispondere per sé perché non c’è una rappresentanza dei parlamentari cattolici. È arrivato un testo originario della Commissione Giustizia; io sono stato relatore in due organismi parlamentari, il Comitato per la Legislazione e la Commissione Affari Costituzionali ed ho avuto l’unanimità dei voti su entrambi i pareri che chiedevano modifiche all’articolo 1 e all’articolo 4. Le modifiche del testo finale, almeno in parte, hanno tenuto conto di quei pareri. Ovviamente si può auspicare che la seconda Camera, il Senato, in cui ora si trova il testo, possa fare ancora meglio. In astratto sarebbe un’ottima cosa, ma bisogna vedere se questo è possibile. Spetta ai colleghi senatori valutare. Tuttavia non si può dire che alla Camera il testo finale sia uscito identico a quello iniziale. Una mediazione c’è stata, sia pure, come tutte le mediazioni, opinabile e perfettibile.

– Dopo la pubblicazione da parte della stampa del contenuto della nota del Vaticano sul DDL Zan, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha ribadito in parlamento che siamo uno Stato laico. A suo parere il modello di laicità italiana, pensata e argomentata anche da diversi costituenti cattolici, è a rischio?

 Il modello costituzionale di laicità è stato chiarito dalla sentenza Casavola della corte costituzionale del 1989, è un modello di laicità aperta, non ostile al fatto religioso. Non è in pericolo, almeno non in questa fase e a causa di questa legge.

– Nel nostro Paese, con la fine della Democrazia Cristiana la relazione fra cattolicesimo e politica è profondamente mutata. Privi del punto di riferimento quasi esclusivo, i cattolici italiani hanno vissuto, e tutt’ora vivono, una stagione di ripensamento in merito all’impegno politico. C’è chi sogna il recupero di esperienze similari a quelle del passato e chi cerca in soggetti politici plurali di avanzare una proposta in grado di mediare la fede nella cultura del nostro tempo. Qualche tempo fa, papa Francesco ha affermato che la questione di un “partito cattolico” è appartenente al secolo scorso. Qual è il suo pensiero su questi temi?

 La Democrazia Cristiana italiana è stata un’esperienza largamente positiva per ragioni laiche, ossia per aver garantito la stabilizzazione della democrazia italiana nell’alveo europeo ed atlantico. Paradossalmente essa è diventata superata a causa del suo successo perché quell’ancoraggio a partire dalla fine degli anni ’80 è divenuto anche in Italia patrimonio di tutti. L’Italia faceva eccezione alla regola del pluralismo politico indicata dalla Gaudium et Spes ed ancor più dalla Octogesima Adveniens del 1971 perché quel quadro non era ancora stabile. Invece quindi che pensare oggi a ghetti minoritari (perché tali sarebbero iniziative antistoriche rivolte ai soli cattolici) sarà il caso di lavorare nei diversi schieramenti a cui ciascuno si ritiene legittimamente vicino ad un innalzamento della qualità dell’offerta politica.

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