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Sull’insegnamento della religione cattolica

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Photo by Erik Mclean on Unsplash

Il dibattito sull’insegnamento della religione cattolica oggi.

La possibilità di un secondo Concorso (il primo si è tenuto nel lontano 2004) per immettere in ruolo una quota di Docenti di Religione Cattolica (d’ora in poi I.D.R.) ha riaperto antiche polemiche in un dibattito, tanto polarizzato quanto infecondo, sull’esistenza stessa di questa disciplina.

Qui si vuole percorrere un cammino diverso: come ex-I.D.R. della Diocesi di Roma vorrei fornire un contributo alla comunità ecclesiale per una nuova dinamicità dell’insegnamento della Religione Cattolica (d’ora in poi I.R.C.).

Negli undici anni in cui sono stato I.D.R. ho provato a raccogliere la sfida di una comunicazione che fosse efficace restando profonda, anche con espedienti ludici.

Il gioco così diveniva scoperta: per loro, che si confrontavano con un testo fondamentale della cultura umana; ma anche per me, che scrutavo le dinamiche di classe e le relazioni, cui il gioco e la stessa ora di Religione donavano libertà.

Altra sfida è quella di valorizzare la comunicazione iconica: nati per raccogliere la molteplicità del reale, i simboli sono oggi muti per i più. Una guglia, il verso di una poesia, la stessa nostra vita quotidiana sono intessuti di una simbolicità polimorfa. In un simile orizzonte, l’ora di religione cattolica può divenire un polmone di dialogo in cui i saperi si incrociano e si ascoltano.

Le tre caratteristiche richieste al I. D. R. dal diritto canonico: testimonianza di vita cristiana, retta dottrina, abilità pedagogica, rappresentano altrettante opportunità.

La testimonianza di vita cristiana fa fluire nell’insegnamento l’esistenza di chi lo offre: come persona non vedente mi è capitato sia di commentare i non pochi episodi in cui i ciechi compaiono nel Vangelo, sia di far riferimento al mio vissuto; la retta dottrina rammenta all’insegnante che non deve tanto dare voce a opinioni personali, quanto essere la voce della Chiesa, in fecondo dialogo con le istanze di questo tempo; l’abilità pedagogica stimola il docente a cercare strumenti sempre nuovi adatti al grado di istruzione in cui insegna e alle caratteristiche del gruppo classe.

Per fare tutto questo esiste una parola chiave che, in una feconda circolarità, traggo dalla mia esperienza in Azione Cattolica: formazione.

La Diocesi di Roma mi ha offerto nel corso degli anni opportunità straordinarie: ha verificato tramite una prova scritta e successivamente con un orale il possesso dei requisiti dottrinali, per i primi due anni di insegnamento mi ha accompagnato con un costante tirocinio; lungo tutto il corso della carriera mi ha offerto corsi di aggiornamento in sinergia con il M.I.U.R.

Costruire il modello di un I.D.R. inclusivo significa rigettare due tentazioni opposte ma tra loro simmetriche:

quella catechetica che, ignorando quanto la Chiesa stessa ha pensato fin dai lontani anni Novanta sulla pastorale d’ambiente, traspone impropriamente nella scuola i metodi della catechesi parrocchiale; e quella irenista che frammenta l’I.R.C. in una miriade di abilità, spesso valorizzando unilateralmente la dimensione socio-politica dell’impegno cristiano. Un I.D.R. autenticamente inclusivo offre ai ragazzi ciò che lui solo può donare: la significatività della Parola, intesa come ricerca di ulteriorità rispetto alle parole umane in cui si incarna; la consapevolezza, storica e non agiografica, dell’importanza del sacro nella vita di ogni uomo. Insomma, raccoglie e rinnova la sfida di San Giovanni Paolo II: quella di una fede pensata, capace di farsi cultura e di irrorare la cultura.

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