Come affermato di recente da papa Francesco in un discorso ai fedeli della diocesi di Roma, sta per iniziare il processo sinodale. Si inaugura, quindi, un tempo di discernimento comunitario e collegiale destinato ad aggiornare la Chiesa. Di questo tema discutiamo con Gianni Borsa. Sposo, padre di quattro figli, giornalista professionista dal 1992, Borsa da 18 anni è corrispondente dell’Agenzia Sir da Bruxelles e Strasburgo e si occupa di politiche comunitarie. È direttore delle riviste della Fondazione Missio (tra cui Popoli e Missione) e della rivista storica Impegno della Fondazione Don Primo Mazzolari. È stato direttore dal 2007 al 2021 di Segno nel mondo (rivista dell’Ac nazionale) e per quattro anni direttore della casa editrice Ave di Roma. Dal 2020 è presidente diocesano dell’Azione Cattolica ambrosiana.
– Come ha recentemente ricordato papa Francesco, il processo sinodale che sta per cominciare non coincide con una raccolta di opinioni sulla contemporaneità bensì si tratta di mettersi, tutti insieme, in ascolto dello Spirito Santo. Secondo lei, nel nostro tempo cosa vuol dire “mettersi in ascolto dello Spirito Santo”?
Il Sinodo dev’essere, al contempo, un metodo e uno stile. Richiede di mettersi, ancora una volta, in ascolto della Parola e della storia. Lo Spirito parla attraverso parole e fatti di vangelo, incrociando le strade dell’umanità. Ma “ascoltare” non basta. Occorre porsi in atteggiamento di discernimento, di comprensione, umile e fiduciosa, del presente e delle sfide che attendono le donne e gli uomini del nostro tempo. Siamo poi chiamati a camminare insieme, nella Chiesa e nella società, dialogando con chiunque abbia a cuore il futuro della Chiesa e del mondo. È un processo, come dice il Papa, carico di incognite, di aspettative, di speranze. E i credenti non possono tirarsi indietro. Se il mondo ci cambia attorno, anche noi cristiani dobbiamo interrogarci e, nel caso, cambiare. La testimonianza cristiana – fondata su una verità che va oltre il tempo – deve stare al passo coi tempi.
– Il percorso sinodale è l’occasione, tanto a livello locale quanto su scala universale, per rendere tutti i credenti protagonisti nel cammino che la chiesa compie quotidianamente nella storia. Quale protagonismo si aspetta da parte dei laici?
Molto spesso si parla di “chiesa clericale”. È giunto il momento di dimostrare che i laici non si fermano alle lamentazioni, assumendole magari come alibi per stare a guardare… Ogni battezzato deve sentirsi chiamato, per quanto è capace e gli è possibile, a una vera e gioiosa testimonianza evangelica. La quale richiede, proprio ai laici, di vivere la fede anzitutto nella vita di ogni giorno: in famiglia, sul posto di lavoro, nella vita sociale, nella cultura e nei media, nell’arte, nella scuola, nel sindacato, nella politica. Il vangelo deve percorrere le strade delle nostre città assieme a cristiani coscienti, maturi, dialoganti.
-A volte un certo giornalismo riduce le dinamiche interne alla comunità ecclesiale ad una logica quasi politica di contrapposizione fra tradizionalisti e progressisti. Oggi, invece, abbiamo bisogno di visioni lunghe, profonde e meditate per intendere la complessità del momento e cercare di divenire sempre più credenti credibili. Concorda?
Concordo. Del resto è pur vero che troppe volte è la stessa comunità ecclesiale a far trasparire divisioni, arroccamenti, ritardi, contrapposizioni. Persino gravi peccati. Pensiamo a papa Francesco che, a proposito della vicenda degli abusi in Francia, ha parlato di un “tempo della vergogna”. Ecco, nella Chiesa, oggi come ieri, e come domani, abbiamo e avremo bisogno di intelligenza, discernimento, generosità, trasparenza, coerenza nei valori e atteggiamento benevolo verso ogni sorella e fratello che il Signore ci pone accanto. Da qui i credenti appariranno credibili.
– Da quanto affermato da papa Francesco e dalla presidenza della Conferenza Episcopale Italiana, la parrocchia sarà la prima comunità nella quale potrà avviarsi un percorso sinodale in grado di far crescere i credenti attraverso il dialogo. Crede che questa istituzione, voluta secoli fa dal Concilio di Trento, sia ancora adatta per annunciare e trasmettere la fede nella contemporaneità?
Bergoglio ha parlato di processo sinodale “dal basso”. Questo non per sottolineare una dimensione gerarchica della Chiesa, ma per confermarne il tratto popolare. E la parrocchia è popolare, perché tutti vi sono accolti (se questo non avviene, la parrocchia è malata), e tutti dovrebbero sentirsi protagonisti. È la situazione di tante parrocchie o comunità pastorali nel nostro Paese. D’altra parte sappiamo che in tante realtà, specie nelle medie e grandi città, la parrocchia è venuta meno come punto di riferimento comunitario. In particolare per i giovani, che hanno orizzonti esistenziali vasti, i confini parrocchiali possono dire poco. In questo senso occorre trovare nuovi “spazi”, nuovi ambienti e linguaggi per la missione della Chiesa. Questa è una di quelle “nuove frontiere” che il Sinodo dovrà affrontare con coraggio e lungimiranza.
– Quale contributo si prepara a donare l’Azione Cattolica Italiana, presente in tutte le diocesi del territorio nazionale, al percorso sinodale che sta per avviarsi?
Bella domanda. Forse da rivolgere ai nostri responsabili nazionali che hanno vedute più ampie di chi, come me, svolge un servizio a livello diocesano. Ma con convinzione posso affermare che l’AC ci sarà in questo percorso, tenendo fede alla sua vocazione conciliare, all’impegno educativo, ai suoi tratti popolari, al radicamento diocesano. Un’AC chiamata, a sua volta, a qualche riflessione interna. Noi, a Milano, abbiamo intrapreso da alcuni mesi un cammino, che chiamiamo “Essere e fare l’AC nel tempo nuovo”, volto esattamente a una analisi, onesta e prospettica, sul profilo associativo. Si tratta di tener fede all’identità dell’Azione cattolica, di misurarla nella realtà milanese, assai dinamica, e di verificare se necessitiamo di un cambio di rotta o di qualche aggiornamento per continuare a essere al servizio della formazione cristiana dei soci, delle nostre comunità territoriali e delle città in cui viviamo. La dimensione laicale del credere – se così posso dire – ci interpella con forza.
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