Premessa
«La scienza e la tecnologia sono un prodotto meraviglioso della creatività umana che è un dono di Dio», disse Giovanni Paolo II (v. anche Laudato si’, 102). Ritengo che una riflessione sul rapporto tra fede e internet e sul ruolo di quest’ultimo quale possibile strumento di apostolato debba muovere dal presupposto che il progresso scientifico non solo è un moto inarrestabile che tutti coinvolge e all’interno del quale siamo immersi, ma soprattutto non può essere considerato avulso dallo straordinario (e continuo) processo della creazione (e quindi dall’azione divina), alla quale l’uomo collabora attraverso il suo lavoro (cfr., ad es., Gaudium et spes, 67).
Quanto ora detto, però, non esime dal metterci in guardia dal pericolo rappresentato dallo scientismo (cfr. Fides et ratio, 88; Evangelii gaudium, 242). Purtroppo non è possibile indugiare sul punto, che pure meriterebbe ben altro approfondimento; tuttavia, già da questi pochi cenni emergono i motivi per i quali non è condivisibile una demonizzazione del progresso tecnologico, il che peraltro porrebbe i critici “a tutti i costi” fuori dal tempo, che invece è quello che ci è dato da vivere e nel quale ci “giochiamo” la vita eterna.
Si è convinti, infatti, che fede e scienza si possano conciliare e che internet (quale prodotto del progresso tecnologico) sia uno strumento neutro, con il quale si può realizzare il bene o, purtroppo, il male in base all’uso che se ne fa.
Ciò che importa, infatti, è che esso si ponga al servizio dell’uomo, essendo volto alla realizzazione della dignità e dello sviluppo integrale di quest’ultimo, e non si serva dell’uomo.
La “rete”, luogo da abitare
Muovendo da questi presupposti, non si può fare a meno di rilevare che l’uomo e la donna di questo tempo vivano la propria esistenza in una doppia dimensione: una “online” ed una “offline” (Z. Bauman); com’è stato osservato, essi trascorrono in media tra le 6 e le 7 ore e mezza al giorno nel mondo virtuale.
Questo dato è tutt’altro che irrilevante se si ricorda che la Chiesa è chiamata a saper leggere i «segni dei tempi» (cfr., ad es., Gaudium et spes, 4; Ecclesiam suam, 52; Evangelii gaudium, 51, che di fatto paiono ispirate a Mt 16,3) e se si considera che essa è chiamata ad incontrare l’uomo lì dove oggi si trova.
In questo senso, allora, da credenti, non possiamo rinunciare a raggiungere giovani e adulti negli ambienti (anche virtuali) che essi abitano; la “rete”, infatti, diventa parte integrante del mondo, che è “luogo teologico” dove si incontra Dio. Se riteniamo che laddove c’è l’uomo (e nell’uomo) possiamo trovare Dio, ben si comprende l’importanza di “abitare” la realtà virtuale.
Essa, infatti, diventa uno spazio nel quale vivere l’esperienza della prossimità, per la semplice ragione che per farci prossimi (e quindi “samaritani”) occorre “incappare” nell’altro (cfr. Lc 10, 25-37); se l’altro lo troviamo (anche) nell’“agorà virtuale”, allora, quest’ultima non può essere da noi disertata.
A ciò si aggiunga che la “rete” è oggi ambiente in cui spesso ci si rifugia nella speranza di potere trovare le risposte alle domande ingenerate dalla estrema incertezza e dalla fragilità che connotano la condizione umana; se è così, non si può escludere che quelle risposte possano essere date per mezzo di forme di testimonianza cristiana offerte attraverso lo strumento telematico.
Se come Chiesa, infatti, siamo chiamati a non dare risposte «a domande che nessuno si pone» (Evangelii gaudium, 155), per dare le risposte corrette occorre comprendere il vero senso delle domande e questo lo si può cogliere anche «frequentando la piazza virtuale» ove si incontrano gli altri (o comunque moltissimi di loro).
Internet ed evangelizzazione. Nuove vie per la pastorale
In tale situazione, occorre allora chiedersi se internet possa offrire nuovi modi e nuove strade per l’apostolato e per l’evangelizzazione; la risposta mi pare senz’altro affermativa; già nel 2002 il documento “La Chiesa e internet” del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali si esprimeva in tal senso (v. p.ti 4 s.). A me pare che i credenti debbano avvertire l’urgenza di abitare questi luoghi per essere, lì, disponibili all’annuncio (nelle forme e nei modi opportuni).
Non considerare questa possibilità (che è anche un’opportunità) potrebbe renderci responsabili di una grave omissione. Com’è noto, Lumen gentium 31 richiede a noi laici di ordinare le realtà temporali secondo Dio. Alla luce di quanto detto, le “piazze virtuali” sono, oggi, parte costitutiva delle realtà temporali, essendo luoghi di costante discussione dei problemi del nostro tempo. Se questo è vero, dovremmo sentirci particolarmente incoraggiati ad usare lo strumento telematico per diffondere il bene e contrastare il male: «il silenzio è pericoloso perché ha sapore di resa di fronte alle massime questioni della nostra società» (card. C.M. Martini).
È innegabile, poi, che esso ci consenta di raggiungere facilmente anche i più lontani (sia dal punto di vista geografico che esistenziale e spirituale). L’esperienza drammatica dell’emergenza “Coronavirus” ci ha dimostrato come, con un po’ di creatività e di buona volontà, sia stato possibile sentirci uniti fra noi e con i nostri pastori, che si sono saputi abituare, anche, a celebrare la S. Messa in streaming.
Non è possibile negare che ci siamo sentiti confortati da queste possibilità che ci sono state offerte grazie al progresso tecnologico. Non è mancato comunque chi ha opportunamente rilevato che in molti casi si sia assistito ad una certa «sciatteria liturgica» o ad un certo «protagonismo clericale», ma che non è mancata una sana «fantasia pastorale». Tutti sappiamo che la S. Messa senza popolo pone rilevanti questioni che non è possibile esaminare in questa sede; «se è vero che “l’Eucaristia fa la Chiesa” è altrettanto vero che è “la Chiesa a fare l’Eucarestia”: non solo il ministro ordinato, ma l’intera comunità dei fedeli» (le parole qui riportate sono di mons. G. Sigismondi, assistente unitario dell’Azione Cattolica Italiana).
Detto questo, però, e fermo restando che tali temi dovranno impegnare la riflessione ecclesiale per i tempi a venire, occorre anche accettare l’idea che se la Chiesa – come si sa – è semper reformanda, anche la pastorale deve esserlo. Ciò richiede, però, di saper rifuggire la logica del «si è fatto sempre così» ed «essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità» (Evangelii gaudium, 33).
Per questo, allora, è necessaria una «creatività missionaria» (Evangelii gaudium, 28) che consente di essere Chiesa «in uscita» (Evangelii gaudium, 20 ss.). Pertanto, se l’annuncio rimane sempre identico nei contenuti, a me pare che i modi (almeno in parte) debbano adeguarsi al tempo che cambia (cfr. Evangelii gaudium, 11). Non ci si nasconde la non poca fatica che fanno coloro che sono abituati ad altri “metodi” di vivere la fede; tuttavia, «se consentiamo ai dubbi e ai timori di soffocare qualsiasi audacia, può accadere che, al posto di essere creativi, semplicemente noi restiamo comodi senza provocare alcun avanzamento e, in tal caso, non saremo partecipi di processi storici con la nostra cooperazione, ma semplicemente spettatori di una sterile stagnazione della Chiesa» (Evangelii gaudium, 129).
Non può quindi venire mai meno il dialogo della Chiesa con il mondo della scienza (cfr. Evangelii gaudium, 133), l’una e l’altra accomunate da una medesima origine divina (cfr. Evangelii gaudium, 242) e «il dialogo tra scienza e fede è parte dell’azione evangelizzatrice che favorisce la pace» (Evangelii gaudium, 242). Per questa ragione, «la Chiesa non pretende di arrestare il mirabile progresso delle scienze.
Al contrario, si rallegra e perfino gode riconoscendo l’enorme potenziale che Dio ha dato alla mente umana» (Evangelii gaudium, 243); infatti, «da quando internet è stato disponibile, la Chiesa ha sempre cercato di promuoverne l’uso a servizio dell’incontro tra le persone e della solidarietà tra tutti» (Francesco, Messaggio per la 53ma Giornata Mondiale delle comunicazioni sociali).
Alla luce di quanto detto, allora, «l’evangelizzazione [deve essere] attenta ai progressi scientifici per illuminarli con la luce della fede e della legge naturale, affinché rispettino sempre la centralità e il valore supremo della persona umana in tutte le fasi della sua esistenza» (Evangelii gaudium, 242).
In conclusione, che fare?
In definitiva, con quanto si sta ora dicendo non si vuole certo affermare che la vita “reale” sia “andata in pensione” per lasciare il posto a quella “virtuale”; tutt’altro! I rapporti umani (ma anche la vita di fede e la democrazia) non possono fare a meno della presenza fisica, degli sguardi non filtrati da schermi.
In particolare, i sacramenti necessitano di presenza (cfr. “La Chiesa e internet”, cit.). Occorre però sapere stare nella storia e non pensare di potere (o dovere) arrestare il corso degli eventi, dai quali non dobbiamo rifuggire, visto che siamo nel mondo pur non essendo del mondo (cfr. Lettera a Diogneto); come dice Francesco, la «realtà è superiore dell’idea» ed è proprio alla realtà che dobbiamo guardare, perché in essa siamo immersi e, per quanto ossimorica possa apparire questa osservazione, anche la virtualità fa parte della realtà complessivamente considerata.
Occorre, pertanto, trarre dalla tecnologia quanto essa può offrirci per il bene e per sapere andare incontro alle speranze e ai bisogni degli uomini di oggi (cfr. Gaudium et spes, 1), senza sottovalutare i rischi che ad essa pure si accompagnano e senza rinunciare alla bellezza dell’incontro “reale”, la cui “fondamentalità” rimane indiscutibile.
Per la Chiesa, quella di internet è una sfida, ma come dice Francesco «le sfide esistono per essere superate» e per farlo non possiamo «perdere l’allegria, l’audacia e la dedizione piena di speranza!» (Evangelii gaudium, 109).
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