Lo scandalo
Se mons. Staglianò, vescovo di Noto, avesse detto che Dio non esiste o che Gesù era soltanto, come lo ha definito Odifreddi in un suo libro di successo, «un disturbatore della pubblica quiete», giustamente neutralizzato dai tutori dell’ordine, nessuno si sarebbe scandalizzato. Invece l’incauto pastore d’anime ha avuto l’ardire di sostenere, davanti a dei bambini innocenti, che Babbo Natale non esiste.
Apriti cielo! Una tempesta, e non solo da parte delle famiglie degli sventurati piccoli, ma anche sui quotidiani nazionali e perfino sul «New York Times», che ha dedicato alla grave questione un lungo articolo.
Si è parlato di «un sogno infranto», si è accusato il presule di avere violato l’innocenza dell’infanzia, di avere invaso il campo dell’educazione familiare. Invano hanno cercato, sia lui personalmente che l’ufficio stampa della curia di Noto, di spiegare il senso di quello che era stato detto: qualche giornale ha perfino scritto «le precisazioni postume non hanno convinto nessuno» e che «le scuse del vescovo sono peggiori della gaffe».
Da s. Nicola a Babbo Natale
Ma proviamo a ricostruire i fatti. Era il 6 dicembre, giorno in cui la Chiesa ricorda san Nicola di Myra (nell’attuale Turchia), un vescovo orientale del IV secolo, molto venerato anche in Occidente. In Italia è noto come s. Nicola di Bari, perché lì sono custodite le sue reliquie, ma il suo culto è diffuso anche nei Paesi del nord Europa (tra l’altro, oltre che di Bari, è patrono di Amsterdam).
Attraverso una serie di influssi di tradizioni popolari preesistenti, questa figura storica si è via via trasfigurata nel personaggio leggendario di Santa Claus (da Sinterklaas, il nome olandese derivato dall’originario san Nicola) ed è ritornato a noi italiani come “Babbo Natale”. Le tracce della provenienza nordica rimangono nella slitta trainata da renne.
Ebbene, mons. Staglianò ha preso lo spunto dalla festa del s. Nicola onorato dalla Chiesa per distinguerlo da questa versione leggendaria. Ma non si è limitato a questo: ha evidenziato la differenza profonda tra queste due figure: «Non ho detto loro che Babbo Natale non esiste, ma abbiamo parlato della necessità di distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è. Così ho fatto l’esempio di San Nicola di Myra, un santo che portava doni ai poveri, non regali. Ho voluto spiegare che una cultura consumistica come quella dei regali è diversa da una cultura del dono che invece è alla base del vero messaggio del Natale. Gesù bambino nasce per donarsi all’umanità intera». Specialmente ai poveri.
Perché, ha spiegato ai giornalisti mons. Staglianò, «san Nicola, a differenza di Babbo Natale, non faceva distinzioni tra bambini ricchi e bambini poveri. Babbo Natale visita solo le case dei bimbi che hanno dei genitori che possono permettersi di comprare loro un regalo. Ricordo che quand’ero bambino un anno non visitò casa mia, perché quell’anno mio padre non lavorava».
Il consumismo inghiotte Gesù
Ma non solo: il vescovo ha anche sostenuto che ad aver creato l’immagine odierna del vecchio barbuto vestito di rosso è stata la Coca Cola (tesi poi contestata in base al ritrovamento di una immagine che risale a molto tempo prima che fosse fondata la celebre ditta di bibite): «Un personaggio immaginario, inventato dalla Coca-Cola, che porta i regali solo a chi ha i soldi», spiega mons. Staglianò.
Perché, alla fine, il bersaglio del suo attacco a Babbo Natale è la società consumistica. Perché il Natale che noi oggi festeggiamo rischia di non essere più quello cristiano, ma quello del consumismo: «Il problema vero è che il Natale non appartiene più alla cultura cristiana, ma a una cultura consumistica del mangiare, bere e vestire. Poi vai a vedere, e le chiese sono vuote…».
A scomparire, soppiantato da Babbo Natale, è stato Gesù: «Ormai, come diceva don Tonino Bello, il Natale è una festa senza il festeggiato». Non è più, insomma, una festa cristiana: «Il Natale non ci appartiene più, perché le sue parole, i suoi simboli e le sue azioni sono state risucchiate dal buco nero dell’ipermercato».
Parole che riecheggiano quelle di mons. Pompili, vescovo di Rieti, che, nel 2019, in occasione della visita di papa Francesco a Greccio, aveva osservato: «La reinvenzione del Natale ad opera della Coca Cola in America; è stato parte di questo processo che ha trasformato il Bambinello in Babbo Natale (…). Questa reinvenzione accade di vederla anche nelle grandi catene di supermercati dove non si parla di presepe ma dei borghi antichi. E allora si vede il presepe senza grotta che è come parlare di Natale senza il festeggiato».
Dio nasce nella povertà
Ma in questa denunzia della società consumistica c’è anche una forte valenza sociale: «Il vero significato del Natale è racchiuso in quella grotta, al freddo e al gelo, dove Gesù bambino viene alla luce in un culla tra la paglia che non era certamente quella spedita da Amazon, ma era invece circondata dai bisogni del bue e dell’asinello. Perché è lì, nella povertà di quella grotta, che è nato Gesù. Quindi, il messaggio per i bambini è quello di ascoltare la voce di Gesù che dice: ora vai dai tuoi genitori e spiega che nessuno deve nascere più nelle condizioni in cui è nato Gesù».
«Dove nasce, oggi, Gesù?» è stato chiesto dall’intervistatore. E la risposta di mons. Staglianò, che è, tra l’altro, il vescovo delegato della Conferenza episcopale siciliana per l’Immigrazione: «Penso a quelle donne che partoriscono in barconi sovraffollati in mezzo al mare, ecco è lì, in quel grido di dolore che oggi nasce Gesù. La sua nascita è un atto di amore, così i bambini quando riceveranno i regali dovranno pensare ai loro coetanei che non potranno riceverli, non coltivando più l’egoismo di dire è tutto mio».
Comprendiamo il perché della levata di scudi che ha accolto questa presa di posizione. Nel mondo occidentale si è attualmente divisi tra coloro che vorrebbero abolire addirittura il Natale, sostituendolo con una più neutra “Festa del solstizio d’inverno” o, come nel documento proposto dalla Commissione UE (poi ritirato per le proteste), con l’ancora più neutra “festività” e coloro che invece tengono ancora a questa ricorrenza (sono loro ad avere protestato), ma che la identificano con il cenone, i panettoni, i regali. Non a caso Babbo Natale non viene più tanto a sorvolare i presepi, ma piuttosto gli alberi di Natale, assai meno impegnativi sul piano religioso, e anzi ammiccanti a una prospettiva ecologica che esalta la natura al posto del Dio cristiano.
Il vescovo di Noto ha osato dire questo ai bambini – che sapevano benissimo, ovviamente, dell’inesistenza di Babbo Natale (ormai i bambini sanno molte più cose, – anche sul sesso e su tutto il resto – degli adulti) – sfidando, in realtà, non la loro fede nel vecchio barbuto vestito di rosso, ma quella nel primato delle “cose” che si vedono e si toccano (i regali costosi) rispetto a un Dio che ha avuto la pessima idea di nascere povero.
Solo a dei miserabili pastori – gli emarginati delle società ebraica di allora – fu rivelato il grande evento: «Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». Questo sarebbe il segno? In realtà, è come se l’angelo dicesse che non c’è nessun segno. Bisogna aprire gli occhi sull’invisibile.
E tuttavia è qui, in questa povertà di segni, che Dio nasce tra gli uomini. «E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama”» (Lc 2,12-14).
Era là tutta la gloria di Dio. L’unico che lo ha capito, ed è quasi uscito di senno per lo stupore, è lo “spaventato”, una delle figurine tipiche dei presepi di una volta, che fugge a braccia aperte.
Sì, hanno fatto bene i genitori, la stampa, perfino il New York Times, ad allarmarsi.
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