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Papa Francesco, i figli e gli animali domestici

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Il Papa odia gli animali domestici?

Questa volta papa Francesco l’ha fatta grossa! Si è messo contro gli animali o, più precisamente, contro coloro che li prendono e li curano al posto dei figli. È stato durante un’udienza di alcuni giorni fa: «Oggi», ha detto, «la gente non vuole avere figli, almeno uno. E tante coppie non vogliono. Ma hanno due cani, due gatti. Sì, cani e gatti occupano il posto dei figli». Non l’avesse mai detto! Ondata di critiche sui social, a difesa dei poveri animali domestici. Perfino sulla stampa ci sono stati echi critici.

Su «Il Fatto Quotidiano» Morena Zapparoli, a nome di tutti i possessori di cani e gatti, ha detto che l’affermazione di Bergoglio «ci ha ferito». E ha cercato di spiegare al papa il perché: «Per noi un cane o un gatto è una creatura di cui prenderci cura perché non siamo noi a possedere loro ma sono loro a possedere noi. Per noi sono esseri capaci di darci un amore incondizionato senza chiedere niente in cambio perché ci hanno scelti per condividere un pezzo di strada insieme per il tempo, troppo breve, che Dio ha concesso loro sulla Terra. Per noi sanno parlare senza bisogno di usare il nostro linguaggio, con gli sguardi, con il muso umido contro il nostro, con le fusa, con la coda gioiosa agitata nell’aria, e dicono più di quello che direbbero mille parole».

L’articolo si concludeva con l’accusa al pontefice di essere in contraddizione col nome che ha scelto di portare: «Per noi [i nostri animali] sono tutto e non potremmo più neppure immaginare di vivere senza di loro e quando muoiono, una parte di noi muore con loro. Senza polemica, caro Francesco, ma il Santo di cui tu porti il nome, sarebbe di certo d’accordo con noi».

La crisi della genitorialità

Forse può essere utile a capire i termini reali della questione un breve richiamo al contesto in cui Francesco parlava, che era quello di una catechesi sulla paternità putativa di s. Giuseppe. Proprio in riferimento ad essa, il Pontefice ha ricordato che «non basta mettere al mondo un figlio per dire di esserne anche padri o madri». In realtà, «tutte le volte che qualcuno si assume la responsabilità della vita di un altro, in un certo senso esercita la paternità nei suoi confronti». E «avere figli, paternità e maternità, è la pienezza della vita di
una persona».

Da qui la valorizzazione, in concreto, dell’istituto dell’adozione, che ha alla base l’«atteggiamento così generoso e bello» di chi fa una «scelta» che «è tra le forme più alte di amore e di paternità e maternità». Da qui anche l’auspicio di Francesco «che le istituzioni siano sempre pronte ad aiutare in questo senso dell’adozione, vigilando con serietà, ma anche semplificando l’iter necessario perché possa realizzarsi il sogno di tanti piccoli che hanno bisogno di una famiglia, e di tanti sposi che desiderano donarsi nell’amore».

Un auspicio estremamente attuale, in una situazione come quella italiana che vede da un lato molti bambini senza genitori abbandonati in case famiglia, e dall’altro molte coppie, desiderose di adottare un bambino, costrette a rivolgersi all’adozione internazionale – sempre assai più problematica e rischiosa – , per le difficoltà e le lungaggini burocratiche a cui l’istituto dell’adozione è soggetto nel nostro Paese.

È all’interno di questo quadro che si colloca la critica del Papa a una società in cui la paternità e la maternità sembrano essere diventate una scelta sempre meno attraente: «Si vede che la gente non vuole avere figli e tante coppie non hanno figli perché non vogliono o ne hanno uno solo. Ma hanno cani e i gatti, che occupano il posto dei figli – ha aggiunto parlando a braccio -. Questo rinnegare la paternità e la maternità ci toglie umanità. E così la civiltà diventa più vecchia e senza umanità».

Il problema, come è abbastanza evidente, non è quello del rispetto per gli animali, ma riguarda l’incapacità delle persone di assumersi la responsabilità genitoriale. Di questa incapacità sono un evidente indizio i dati statistici relativi alla natalità nel nostro Paese. Secondo il rapporto Istat dello scorso dicembre, l’ultimo rilevamento statico, relativo al 2020, registra un nuovo record minimo delle nascite, 405 mila, a fronte di 740.000 decessi.

Un deficit che non è legato a motivazioni strettamente economiche – o almeno non soltanto a queste – , visto che esso è dovuto alla popolazione di cittadinanza italiana (-386 mila), mentre per gli stranieri residenti nel nostro Paese il saldo naturale resta ampiamente positivo (+50.584). Il problema non è strettamente economico. Il declino della genitorialità corrisponde a quello, più profondo, dello spirito del dono, che in essa raggiunge il suo culmine naturale.

È in gioco il fraintendimento della libertà, sempre più intesa egocentricamente come espressione della propria autonomia, piuttosto che come responsabilità verso qualcun altro. Per questa “libertà” i figli sono un ostacolo, molto più di un animale domestico (peraltro non bisogna dimenticare l’assurda pratica dell’abbandono di cani e gatti alla vigilia delle vacanze estive, quando anch’essi diventano un impaccio e vengono trattati come una zavorra di cui disfarsi).

Da qui le fosche previsioni che, sempre l’Istat, fa sul futuro demografico in Italia: una popolazione residente che da 59,6 milioni al primo gennaio 2020 scenderà a 58 milioni nel 2030, a 54,1 milioni nel 2050 e a 47,6 milioni nel 2070. Nel 2048 i decessi doppieranno le nascite e nel 2050 il rapporto tra giovani e anziani sarà di 1 a 3. Con conseguenze devastanti anche sul sistema pensionistico. Anche a questo il Papa ha fatto cenno nell’udienza generale: chi si prenderà cura degli anziani, chi li manterrà, quando non potranno più lavorare?

La logica della pensione è che ci sia un numero di lavoratori che, con i propri contributi, mantiene chi è in pensione: figli che si assumono a loro volta, dopo esserne stati allevati, la responsabilità dei propri genitori. Ma se una coppia ha un solo figlio, o addirittura non ne ha, i conti non tornano.

Non “contro” gli animali, ma “per” le persone umane

Si capisce, allora, il senso della denuncia di papa Francesco, che non è frutto insensibilità verso gli animali, ma di sensibilità verso le persone umane. È la preferenza data ai primi rispetto ai secondi che egli ha criticato, sia nei termini di apertura alla vita e di cura dei bambini abbandonati, sia in quelli di una responsabilità verso il bene comune della società nel suo insieme, a cominciare dai suoi membri più anziani.

Il problema, peraltro, non riguarda solo la questione della natalità. In un altro discusso intervento, durante un’udienza giubilare del maggio 2016, in pazza san Pietro, Francesco aveva messo in guardia dal confondere la pietà «con la compassione che proviamo per gli animali che vivono con noi». E aveva proseguito: «Accade che a volte si provi questo sentimento verso gli animali, e si rimanga indifferenti davanti alle sofferenze dei fratelli».

Anche allora molte erano state le reazioni polemiche. Lorenzo Croce, presidente dell’Associazione Italiana Difesa Animali ed Ambiente, aveva definito le parole del Papa «irresponsabili e fuorvianti» e lo aveva invitato a occuparsi dei preti pedofili invece di «fare lezioni a noi che amiamo sia uomini che animali come tutte creature di Dio». Ancora una volta, però, sarebbe bastato poco per capire che il problema del Pontefice non è di svalutare gli animali, ma di reagire alla svalutazione che, rispetto ad essi, subiscono le persone umane.

Di fronte al moltiplicarsi, nelle nostre città di cliniche veterinarie e di centri di toelettatura per animali domestici (esistono ormai anche dei corsi professionali per “toelettatore”, «una professionalità molto richiesta» si dice su Internet), non si può non chiedersi a quanti esseri umani è negato un minimo di cura e di benessere. Come di fronte alle ormai numerose pubblicità televisive relative ai più raffinati prodotti alimentari per cani e gatti viene spontaneo fare il confronto con le miserabili condizioni di vita di tanti uomini e donne nelle nostre periferie urbane. Per non parlare di quelle di quanti vivono nei Paesi sottosviluppati e lottano quotidianamente con la fame e le malattie…

La storia della Chiesa è piena di santi – non solo s. Francesco d’Assisi, come erroneamente si crede! – che amavano gli animali e avevano un ottimo rapporto con loro. Ed il massimo teologo della tradizione cristiana, Tommaso d’Aquino (a differenza di pensatori dell’epoca moderna come Cartesio) era convinto che essi hanno un’anima e sono capaci di avvertire piacere e sofferenza, gioie e dolori, anche se privi della facoltà razionale propria degli esseri umani. Non è il disprezzo degli animali, ma l’amore le persone a motivare le denunzie di papa Francesco. Ma forse è più comodo contestare quello che non dice, piuttosto che prendere sul serio quello che vuole dire.

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