Premessa
Proseguono qui talune considerazioni volte a delineare la figura del Presidente della Repubblica, come disegnata nel dettato costituzionale. Come dicevo nello scritto precedente, nella I parte della riflessione, lo scopo di queste poche righe è quello meramente divulgativo affinché tutti, anche i non addetti ai lavori, possano farsi un’idea su un tema così importante, lasciandosi coinvolgere come cittadini e, per chi crede, come “comunità dei cristiani […] realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia” (Gaudium et spes 1). Ci troviamo ad uno snodo assai importante della vita repubblicana e non si può rimanere indifferenti, così come – eletto il nuovo Capo dello Stato – non si potrà non guardare con attenzione il suo operato e seguire il settennato con interesse. Per fare tutto ciò, però, credo sia necessario avere chiaro (appunto, “scoprire”) il ruolo che la Costituzione assegna al Presidente.
Sul ruolo
Il ruolo della più alta carica dello Stato appare intrisa di un certo dinamismo dovuto ad un elemento soggettivo e ad uno oggettivo: il primo è connesso alla singola personalità (non a caso, si è parlato di caratterizzazione della carica); il secondo, invece, riguarda il contesto politico-partitico nel quale il Presidente si trova ad operare. Come si sa, più il sistema è in crisi o, comunque, è connotato da una certa litigiosità tra le forze politiche, più il ruolo del Presidente si espande e diventa incisivo; è nota la tesi di C. Esposito che definiva il Capo dello Stato “reggitore dello stato di crisi”. Non a caso, a proposito dei poteri presidenziali, si usa ricorrere alla metafora della “fisarmonica” (G. Amato, G. Pasquino), pronta ad espandersi e a contrarsi in base ad una serie di variabili (tra le quali, in primis, è da considerare lo “stato di salute” di Parlamento e Governo).
Tale dinamismo è reso possibile, in fin dei conti, anche grazie ad una certa laconicità (o, se si preferisce, elasticità) che presenta al riguardo il testo costituzionale; tuttavia, questo – che potrebbe apparire un punto debole della Carta del ’48 – è il frutto di una scelta dei Padri costituenti che, in fin dei conti, consente al Presidente di svolgere al meglio il suo ruolo di garante della Costituzione. Che non manchino taluni rischi, quelli d’altra parte che sempre si accompagnano a formule non troppo stringenti, non v’è dubbio, ma si tratta di un “prezzo” da pagare accettabile per una “Costituzione-processo” (A. Spadaro) come la nostra, capace, com’è, di adattarsi ai tempi e di assicurare la tenuta della democrazia pure al mutare delle condizioni di contesto, anche quando il “clima” si fa particolarmente “burrascoso”.
Si auspica che quanto fin qui detto possa costituire presupposto, punto di partenza e allo stesso tempo supporto per il lettore nell’immaginare la personalità, a proprio avviso, più adatta a ricoprire la carica di Capo dello Stato.
Cenni sulle attribuzioni presidenziali
Le diverse attribuzioni delle quali la Carta dà conto (v., in part., gli artt. 87 e 88 Cost.) pongono “in collegamento” il Presidente della Repubblica con uno o con l’altro dei tre poteri dello Stato (legislativo, esecutivo e giudiziario). In questa sede, si vuole in particolare fare riferimento a quella funzione che, invero, mette in relazione il Presidente, contemporaneamente, con i tre poteri ed anche con la società civile: la più alta carica dello Stato “rappresenta l’unità nazionale” (non a caso, tale attribuzione è indicata all’inizio dell’art. 87 Cost.).
Sì, l’inquilino del Quirinale è garante dell’unità, che, in un certo senso, egli stesso deve “personificare”; quanto da ultimo detto è possibile non solo grazie a ciò che il Presidente fa, ma anche a ciò che il Presidente “è”. Si intende dire che l’alta levatura morale e politica, la capacità di mediazione, la moderazione e la sobrietà, la storia personale (che non deve “stonare” rispetto allo “spirito” della Carta fondamentale) sono taluni tratti che devono (auspicabilmente) accompagnare la persona che andrà ad abitare il Quirinale. Nei limiti del possibile, alla luce di quanto ora detto, è da evitare che il Capo dello Stato sia il leader di una forza politica; in quest’ultimo caso, sarebbe per lui più arduo – per riprendere il Messaggio di fine anno del Presidente Mattarella – “spogliarsi di ogni precedente appartenenza” e fare “il bene di tutti”.
Nel momento nel quale si varca la soglia del Palazzo, è allora necessario trovarsi nelle condizioni migliori – sia dal punto di vista della vita privata che pubblica – affinché si possano mettere in atto quelle parole pronunciate il 31 dicembre scorso. A ciò si aggiunga che il Presidente è chiamato a “salvaguardare ruolo, poteri e prerogative dell’istituzione che riceve dal suo predecessore e che […] deve trasmettere integri al suo successore” (come, ancora una volta, ha detto Sergio Mattarella nell’occasione ora richiamata).
La rappresentanza dell’unità nazionale non può che accompagnare l’esercizio di ogni altra attribuzione presidenziale, che alla prima in qualche misura sempre si deve ricondurre. La funzione in parola, infatti, significa e comporta al tempo stesso la concreta adesione del Capo dello Stato ai valori costituzionali, che nella sua persona (e quindi nel suo agire) devono trovare “sintesi” (appunto, “unità”); si tratta di quei valori che il Presidente deve garantire e che deve contribuire ad inverare nell’esperienza, soprattutto vigilando sull’operato degli organi di indirizzo politico (Parlamento e Governo), tra i quali – come detto nel precedente post – lui non rientra.
Sarà poi necessario che, per temperamento, il Presidente non sia portato a fare un uso smodato dei suoi poteri; penso, ad es., a quello di moral suasion al quale è strettamente connesso quello di esternazione, entrambi da “maneggiare” con particolare prudenza e accortezza. Tra i poteri, particolarmente incisivo è quello di scioglimento delle Camere, che non può essere esercitato negli ultimi sei mesi del mandato (il c.d. “semestre bianco”); comunque delicate sono anche altre attribuzioni: può indirizzare messaggi ai due rami del Parlamento, rinviare una legge, promulgare, nominare il Presidente del Consiglio e i ministri, etc.
In conclusione
Il Presidente che verrà dovrà essere all’altezza del rilevantissimo compito al quale è chiamato e che qui è stato solo accennato, un compito reso più arduo da una certa disgregazione che si registra in questo momento nel tessuto sociale, sfiancato dalla pandemia. La coesione sociale, irrinunciabile valore costituzionale di fondo alla cui attuazione nell’esperienza il Presidente è chiamato a contribuire, come si può intuire, non è un concetto (o, se si preferisce, un obiettivo) distante da quello di unità nazionale, la prima essendo in un certo senso consecutiva alla seconda e quest’ultima essendo maggiormente favorita in presenza della prima.
Come si può intuire, in tale circolo virtuoso il Presidente svolge un ruolo cruciale. In queste poche righe, ho provato a condividere “ad alta voce” alcune considerazioni in merito alla “fisionomia” del Presidente, non senza celare taluni personali auspici per il futuro del nostro affaticato Paese. Il Capo dello Stato che vorrei (e che quindi, a mio sommesso avviso, ci vorrà) è certamente il frutto di un punto di vista (il mio, appunto) che, come tale, è viziato da un ineliminabile connotato soggettivo, sebbene si fondi sul dettato costituzionale e sul “modello” che al riguardo ha disegnato il Costituente. Ognuno, ovviamente, si faccia la propria idea.
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