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“La rielezione di Mattarella ha segnato una pesante sconfitta del sistema partitico”. Intervista a Luigi D’Andrea

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La rielezione di Mattarella nel ruolo di presidente della Repubblica sancisce da un lato la profonda crisi del sistema parlamentare italiano dall’altro la possibilità – per il nostro Paese – di continuare a puntare su figure disposte a mettere da parte la propria volontà per porsi a servizio dell’unità nazionale. Al contempo la Chiesa cattolica universale, e quindi anche quella italiana, ha da qualche mese cominciato il cammino sinodale il quale – fra i tanti temi – mira ad una riflessione sul contributo che i cattolici possono offrire alla società e alla politica. Discutiamo di questi temi con Luigi D’Andrea. Professore ordinario di Diritto costituzionale all’Università degli Studi di Messina, D’Andrea è presidente nazionale del Movimento Ecclesiale d’Impegno Culturale (MEIC).

– Presidente D’Andrea, subito dopo la rielezione di Mattarella, avete pubblicato sul vostro sito una nota nella quale affermate che il capo dello Stato è “un modello per tutti gli italiani”. Un’espressione che molti, nel nostro Paese, condividono. Quali caratteristiche lo rendono un esempio per ogni cittadino?

La figura del Presidente Sergio Mattarella, da qualche giorno rieletto alla massima magistratura della nostra Repubblica, merita senza riserve di essere considerato da tutti i nostri concittadini come un “modello”: ed i non comuni attestati di stima ed affetto che gli sono stati rivolti in molteplici occasioni nell’ultimo scorcio del suo (primo) settennato significativamente confermano che tale è in effetti considerato dagli italiani. Il Presidente Mattarella è un modello perché le sue parole ed i suoi comportamenti risultano costantemente ispirati dai valori costituzionali, e perciò orientati in direzione del bene comune, considerato come istanza superiore ad ogni pretesa individualistica o ad ogni prospettiva particolaristica.

Inoltre, egli si è sempre mantenuto entro le coordinate segnate per il suo ruolo dalla Carta costituzionale, scrupoloso garante delle sfere di autonomia di altri organi e soggetti del sistema, ma al tempo stesso geloso custode delle sue prerogative, esercitate, al ricorso dei relativi presupposti, con ferma determinazione. Ancora, il Presidente Mattarella si è costantemente caratterizzato per l’atteggiamento dialogico verso tutti, per la genuina sensibilità nei confronti dei più deboli e fragili, nonché per il vivo senso di umanità, non soffocato né occultato dall’invidiabile capacità di autocontrollo e dall’innata riservatezza che lo connotano. In sostanza, il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha assolto il suo alto incarico “con disciplina ed onore”, secondo la prescrizione recata dall’art. 54 Cost.: perciò ben può in lui riconoscersi un autentico “modello .

– La rielezione di Mattarella nel ruolo di presidente della Repubblica certifica la profonda crisi del sistema parlamentare italiano. Emergenza connessa alla mancanza di leader politici capaci di fare sintesi. Quali motivazioni rendono la nostra politica quasi del tutto incapace di avviare processi di riforma?

È stato rilevato da tutti i commentatori delle vicende politico-istituzionali che la rielezione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha segnato una (ulteriore) pesante sconfitta del sistema partitico, e soprattutto delle leadership dei partiti rappresentati in Parlamento; certo, non di tutte in eguale misura… ma nessuna può dirsene uscita davvero indenne. In larga misura, sono stati i parlamentari – per così dire, “dal basso” – a spingere, seduta dopo seduta, in misura crescente, i rispettivi leader ad infine trovare l’accordo (quasi) unanime sul nome del Capo dello Stato in carica, dopo avere, nel breve volgere di pochi giorni, “bruciato” un impressionante numero di candidati e candidate (non ultima, tra questi, la Presidente del Senato, seconda carica dello Stato…). Dunque, non vi è dubbio che il sistema politico nel nostro Paese (e non solo nel nostro Paese, per la verità) attraversi una profonda crisi: le cause sono complesse, e non agevolmente aggredibili (e per certi versi neppure facilmente individuabili…).

È sufficiente qui segnalare che tale  critica trova le sue radici in una pluralità di fenomeni: innanzitutto, nel processo di globalizzazione, che ha reso la dimensione statale, in riferimento alla quale si è storicamente strutturato il sistema politico, incapace di rappresentare l’orizzonte entro il quale si manifestano i problemi da risolvere e le risorse cui attingere per affrontarli e (quantomeno) gestirli: ormai tanto i primi quanto le seconde si collocano assai frequentemente in una dimensione sovranazionale, in seno alla quale il processo di organizzazione del sistema partitico si è appena avviato. Inoltre, concorrono a determinare la crisi della politica il prevalere, nella comunità civile di spinte individualistiche e l’infragilirsi dei legami sociali (si è discusso da parte di Z. Bauman di una “modernità liquida”).

Tali processi inevitabilmente rendono assai ardua la rappresentanza politica di una società che si presenta frantumata in molteplici segmenti reciprocamente isolati e, perciò, largamente destrutturata. E tuttavia resta indeclinabile (almeno in un sistema che si voglia definire come democratico) l’esigenza che le forze politiche sappiano riannodare i rapporti – allo stato, marcatamente logorati – con la realtà sociale ed economica, quale oggi si presenta, interpretandone bisogni, istanze, interessi: e solo a tale condizione saranno in grado di organizzare il consenso popolare e di mobilitare ed orientare l’impegno di tanti cittadini. Ma è appena il caso di osservare che senza adeguati strumenti di lettura e di analisi critica della realtà comunitaria, non sarà in alcun modo possibile per i partiti rinnovarsi e recuperare l’insostituibile ruolo che loro compete all’interno di un sistema liberal-democratico. Ed al riguardo, non può non evidenziarsi che un fattore rilevante di crisi della politica è costituito precisamente dal tramonto di alcune culture politiche intorno alle quali si era plasmato il sistema partitico, e che avevano generato talune narrazioni collettive in seno alle quali grandi masse di cittadini si erano alfabetizzate ed avevano acquisito soggettività sul terreno appunto politico; dunque, senza un adeguato rinnovamento della cultura politica, non è lecito sperare che possa avviarsi un autentico processo di riforma politico-istituzionale nel nostro Paese.

– Il Movimento Ecclesiale d’Impegno Culturale è un’associazione di fedeli diffusa su tutto il territorio nazionale per cooperare, nello spirito evangelico, alla maturazione della coscienza civile. In concreto, quali percorsi attivate nei territori per perseguire le vostre finalità?

Il Meic è un movimento ecclesiale che, all’inizio degli anni ’80 del secolo scorso, ha raccolto la preziosa eredità del Movimento Laureati di Azione Cattolica: il nostro specifico carisma è rappresentato dall’impegno a coniugare virtuosamente la fede in Cristo Signore, che naturalmente tende a permeare l’intera esistenza, e la cultura (naturalmente pluralistica e internamente articolata) espressa dalla comunità civile.

Per un verso, tentiamo di leggere e giudicare le manifestazioni della cultura alla luce delle fede cristiana, per altro verso siamo mossi dall’intenzione di manifestare la stessa fede in “opere” culturalmente caratterizzate: dunque, per un verso, adottiamo la fede come insostituibile “lampada” che illumina e giudica le espressioni della nostra cultura, e, per altro verso, lasciamo che la fede lavori come fecondo “lievito” all’interno delle varie dimensioni nelle quali si manifesta la nostra cultura.

E non sfugga come tanto la fede quanto la cultura risultano caratterizzate dalla peculiare attitudine a animare e plasmare le differenziate dimensioni della nostra vita comunitaria (economia, politica, arte, tempo libero…): particolarmente rilevante si presenta perciò il tentativo di porle in fecondo rapporto. Ed è appunto questa la vocazione del Meic, che ha tradizionalmente privilegiato il suo impegno in ordine all’elaborazione teologica ed alla sfera politica ed istituzionale.

– Il cammino sinodale della Chiesa cattolica è un’occasione di ascolto, di dialogo, di crescita, di rinnovamento e di condivisione. Il MEIC come si appresta a vivere questo percorso ecclesiale? A vostro parere, quali riflessioni e azioni risultano necessarie?

Il Meic, in quanto movimento ecclesiale, prende naturalmente parte al cammino sinodale avviato all’inizio di ottobre dello scorso anno dalla Chiesa (locale ed universale); e mi pare opportuno porre in evidenza come, per la prima volta, questo Sinodo abbia ad oggetto appunto la stessa categoria della sinodalità; si potrebbe dire che impareremo a conoscere ed acquisire una mentalità ed uno stile (se si vuole, una cultura) sinodale precisamente praticando la sinodalità!

Ed il Meic è impegnato ad adeguatamente elaborare e maturare (cioè: a concorrere ad adeguatamente elaborare e maturare) all’interno della comunità ecclesiale una cultura appunto sinodale, che generi e sostenga processi di comunione, ai quali partecipino tutti i membri della stessa comunità, secondo le rispettive vocazioni (tutte fondate sulla comune vocazione battesimale): così pienamente partecipando al cammino di un Sinodo che intende generare e promuovere sinodalità.

In seno a tale cammino, il Meic investirà tutti i talenti che nel corso della sua storia pluridecennale ha maturato, in spirito di autentica collaborazione con tutti i soggetti che vivono entro la Chiesa italiana: per tale via spera di rendere un servizio alla comunità ecclesiale italiana (e, per essa, alla Chiesa universale). E ritengo che se la comunità ecclesiale saprà davvero convertirsi ad un modello di comunione sinodale, capace di inverarsi in una robusta e feconda rete di relazioni, aperta (almeno potenzialmente) a tutti gli esseri umani (“fratelli tutti”), essa si potrà ben porre sotto tale riguardo come un esigente paradigma per la stessa comunità civile, la cui tenuta è, come ho già accennato, pericolosamente insidiata dal virus dell’individualismo e della chiusura autoreferenziale (cui evidentemente non sono estranei anche soggetti collettivi…).

E non è superfluo sottolineare come, in una prospettiva di fede, siamo chiamati a considerare la sinodalità non come radicalmente prodotta da un pur generoso ed apprezzabile sforzo umano, ma piuttosto come un gratuito “dono” dall’Alto: il cammino sinodale (tanto a livello locale quanto a livello universale) dovrà essere costantemente generato ed alimentato dall’ascolto da parte di tutti i credenti della voce dello Spirito, che non può che generarne la partecipazione alla vita comunitaria, al servizio di tutti i fratelli, a partire dai più poveri e dai più fragili.

 

 

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