Introduzione alla lectio divina su Gv 16, 12-15
domenica 26 maggio 2013 – Trinità
[12]. Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. [13] Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non si esprimerà da sé, ma esprimerà tutto ciò che avrà ascoltato e vi riannunzierà le cose che avvengono. [14] Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve lo riannunzierà [15]. Tutto quello che il padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve lo riannunzierà.
Ne la profonda e chiara sussistenza
De l’alto lume parvermi tre giri
Di tre colori e d’una contenenza;
e l’un da l’altro come iri da iri
parea riflesso, e ‘l terzo parea foco
che quinci e quindi igualmente spiri.
(Dante, Paradiso, XXXIII, 115-120)
Nel discorso di addio ai discepoli un ampio spazio è dedicato allo Spirito Santo, Spirito Consolatore e guida salda verso la Verità, nel tempo dell’assenza di Gesù dal mondo. Un tempo, quale è ancora il nostro, che avverte la medesima difficoltà dei primi discepoli ad immaginarsi lo Spirito Santo e la sua relazione con il Padre e il Figlio, a professarlo come persona della Tri-unità di Dio di cui oggi la Chiesa celebra la festa.
Di molte cose non siamo capaci di portarne il peso, proprio come quei discepoli cui Gesù rivolge le sue ultime parole, desiderando annunciar loro ‘molto’ ancora prima di sparire per sempre alla loro vista, ma comprendendo, nel contempo, quanto fragile sia la nostra capacità di comprendere il senso di quelle verità e di afferrare chiaramente il ‘concetto’ di Dio. Così, di fronte al nostro possibile disagio Gesù si ferma, lasciandoci però almeno un’immagine non del tutto chiara forse, ma utile al lungo cammino del cristiano. Una di queste immagine è proprio quella della Tri-unità di Dio che ci comunica una prima idea sostanziale, quella della relazione che intercorre tra Padre, Figlio e Spirito Santo. Una relazione che si allarga fino a comprendere anche noi, chiamati a partecipare fin dal battesimo di questo circuito spirituale, circuito di amore e di vita inarrestabile.
Chi ci conduce al Padre e al Figlio è proprio lo Spirito, questo vento o soffio (Gen 1,1-2; Gv 3,8; 20,22, ruah in ebraico, pneuma ‘spirito’ in greco) che muove tutto ciò che è inerte, che ci sconvolge ma anche rincuora mentre siamo chiusi nei nostri ‘cenacoli’; questo fuoco ardente (Es 40,38; At 2,3-4) che ci rischiara nella notte con la sua luce inestinguibile ma anche acqua (Gv 7,37-39, 19,34) che disseta quanti soffrono nell’aridità dei propri deserti.
Come Gesù aveva narrato e ascoltato le cose del Padre, così lo Spirito si metterà in ascolto di Gesù e nuovamente ‘ri-annunzierà’ (il verbo ananghéllein) le cose che avvengono. Dunque lo Spirito ha il compito di ribadire l’annuncio, di ridirlo e, con ogni probabilità, di spiegarne il senso, di fornirne l’interpretazione nel corso del tempo. Questa ri-annunciazione del vangelo ci dà la misura del dinamismo tri-unitario, ma anche della dinamica vitalità della Parola che continua ad essere pronunciata ogni giorno sul mondo e che, tramite lo Spirito, ci viene consegnata come appena emessa.
Il vangelo, insomma, non è stato annunciato una volta e per tutte.
Non è sufficiente che sia stato scritto e che gli uomini se lo raccontino di padre in figlio. La Parola del Signore non è sterile ripetizione di una pagina scritta ma ‘voce’ da ascoltare e che dentro noi si trasforma in impulso ad agire, proprio grazie allo Spirito che ‘prende’ i tratti di Gesù e li comunica nuovamente al mondo. Questa vicinanza tra Gesù e lo Spirito è ravvisabile in molteplici tratti comuni: entrambi sono un dono inviato dal Padre; non parlano di propria autorità ma rendono testimonianza (Gesù a Dio; lo Spirito a Gesù); insegnano e conducono alla verità (Leon-Dufour).
Lo Spirito vivifica, cioè rende viva e presente la Parola del Signore nel cuore del cristiano. Il suo compito è quindi di ricordare le parole di Gesù (Gv 14,26), di ri-dirle dentro ognuno di noi, di insegnare riguardo alle cose del Padre. Lo Spirito scende in noi, apre la mente all’intelligenza delle Scritture e risuscita lettera morta.
A quel punto possiamo riconoscere Gesù e rendere viva la sua Parola al punto che Amatevi come io vi ho amati diventa subito impulso ad agire, progetto di vita, azione da compiere oggi a partire dalle proprie relazioni. Dunque, «non più un Dio astratto, che per questo motivo rischia di essere assente, ma qualcuno che si prende cura di noi, che veglia su di noi, e con cui, nei momenti di pace e di abbandono, ma anche nei momenti di estrema desolazione, noi possiamo conversare con tono familiare come fa un bambino col proprio padre» (A. Louf).
Isabella Tondo
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