13Uno della folla gli disse: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». 14Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 15E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
16Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. 17Egli ragionava tra sé: «Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? 18Farò così – disse -: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!». 20Ma Dio gli disse: «Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?». 21Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».
In questa diciottesima del tempo ordinario la Chiesa ci invita a meditare su un brano del Vangelo di Luca che affronta il tema della cupidigia e della ricchezza. Nel tempo estivo, in cui molti vivono una pausa del lavoro e dagli impegni quotidiani, è possibile riflettere sui ritmi della vita e sui valori che assorbono le nostre energie: la Parola di oggi fornisce una spunto di riflessione importante in tal senso.
Una questione importante
L’insegnamento di Gesù prende le mosse dalla domanda di un uomo, che chiede giustizia sulla sua eredità. È verosimile che, anche ai giorni nostri, il Signore potrebbe ricevere numerose richieste simili. Il fatto che, mentre Cristo insegna, qualcuno lo interrompa per questa domanda, è rappresentativo dell’importanza che ognuno di noi dà al tema della ricchezza e della divisione delle sostanza.
Fraternità o ricchezze?
Il modo in cui il Maestro risponde potrebbe essere inteso in vari modi. Potremmo leggervi qualcosa di simile a una “de-responsabilizzazione”, che invita l’uomo a gestire ciò che egli è in grado di gestire della vita, senza bisogno di una presa di posizione di Gesù al riguardo. Oppure, nella letteralità della domanda, si potrebbe scorgere un richiamo a Dio Padre, che invia il Figlio.
Nell’insegnamento evangelico sono tanti gli episodi in cui è evidente che amore e fraternità non possono essere subordinati al desiderio di possedere ricchezze. Si pensi al brano del cosiddetto “giovane ricco” (Mt 19, 16-20) o alla parabola di Lazzaro e dell’uomo ricco (Lc 16, 19-31), fino al gesto di quella donna che, a Betania, per amore del Signore, usa un intero vaso di profumo di nardo per profumarne il capo.
L’ammonimento di Gesù
Senza entrare nella vicenda, Gesù ammonisce i presenti riguardo la cupidigia, precisando che la vita non dipende e non è in alcun modo assicurata dai nostri beni. È bene interrogarsi su cosa sia la cupidigia e le sue forme, da cui il Signore invita a stare lontani. Per comprendere meglio di cosa si tratta, Gesù racconta una parabola.
Dal dono al possesso
Il protagonista è un uomo che la cui terra fa un ottimo raccolto. Egli inizia a ragionare e continua a lavorare prima di fermarsi per accogliere l’abbondanza ricevuta. Abbattere e costruire nuovi granai ha come scopo quello di assicurarsi il futuro con l’accumulo dei beni, di “prolungare” il dono ricevuto che, in questo modo, perde le sue qualità di dono, diventando un possesso di cui disporre. L’uomo di questa parabola non è giudicato moralmente per la sua ricchezza: l’intera Sacra Scrittura esalta l’abbondanza del dono di Dio e non inneggia mai alla povertà in quanto tale. Egli risulta però semplicemente stolto: tutti i suoi piani sono vanificati quella stessa notte, in cui gli è richiesta la vita.
False ricchezze
Di fronte alla morte, così come di fronte ai momenti in cui la vita ci interpella profondamente (malattia, lutto, solitudine), ogni pianificazione di accumulo si rivela nella sua inconsistenza. Il desiderio di aver sempre di più e la tendenza ad accumulare, per poter disporre delle cose al di fuori delle relazioni e del dono, non fanno arricchire davanti a Dio, cioè non sono vere ricchezze.
Di cosa viviamo?
Il brano invita, quindi, a una riflessione molto seria su cosa costituisca una ricchezza vera e cosa sia invece “vanità” (nella prima lettura ascoltiamo il noto brano del Qoèlet). Ci rende più ricchi ottenere giustizia economica o vivere l’amore fraterno? Se le nostre energie sono tutte volte ad avere sempre qualcosa in più, di cosa stiamo realmente vivendo?
Ricchi al cospetto di Dio
Ricercare e desiderate ciò che ci arricchisce al cospetto di Dio è lo scopo della vita di fede. È un percorso unico per ognuno e non esistono “ricette” già pronte. Dedicarci e affannarci in altro significa allontanarci dall’obiettivo, vivere di cose piccole. Significa essere, in fondo, poveri. Solo la vicinanza con Cristo, la preghiera e l’ascolto della Sua Parola ci fanno ricchi di una ricchezza vera.
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