La recente vittoria alle elezioni politiche permetterà al centrodestra di condurre una donna, Giorgia Meloni, alla presidenza del Consiglio. È la prima volta che una donna guiderà l’esecutivo italiano. Al di là del dato politico, l’evento mostra come nel nostro Paese la leadership femminile – nei processi politici, economici e sociali – è possibile oltre che auspicabile. Tuttavia, specie nel Mezzogiorno d’Italia, le donne fanno molta fatica ad affrancarsi da un sistema culturale e sociale che relega il mondo femminile verso una sorta di subalternità rispetto a quello maschile. Discutiamo di questo tema con Chiara Tintori. Politologa e saggista, la Tintori ha collaborato con la rivista dei gesuiti italiani Aggiornamenti Sociali e fa parte del Consiglio direttivo di Filantropia Attiva Italiana. Di recente ha curato il volume, pubblicato da Terra Santa Edizioni, intitolato Adesso tocca a noi. Donne, leadership e altri misfatti.
– Dottoressa Tintori, a suo parere, la vittoria di Giorgia Meloni insieme alla sua leadership possono rappresentare un punto di svolta del femminismo italiano?
Senza dubbio l’affermazione di Fratelli d’Italia, partito guidato da Giorgia Meloni, è un punto di svolta. Si tratta di capire se andrà a vantaggio anche di tutte le donne e di tutti gli italiani. Al momento, vista la storia e la campagna elettorale di Giorgia Meloni, nutro serie perplessità. Il suo stile e i contenuti delle sue proposte politiche sono ultra conservatori e reazionari: dal blocco navale (operazione militare impraticabile) per fronteggiare gli sbarchi delle persone migranti, al primato del diritto nazionale su quello comunitario per svuotare l’Unione Europea dalla sua vocazione solidale di “casa comune”; dallo slogan “Dio, patria e famiglia” che ha avuto la sua fortuna nel ventennio fascista, all’esaltazione delle libertà individuali a scapito dei legami sociali (basti ricordare le posizioni di Giorgia Meloni sul green pass e sui vaccini).
La leadership di Giorgia Meloni è espressione di un femminismo populista, che tende a semplificare la realtà, che invece resta complessa. La svolta a vantaggio del bene comune del Paese si avrà nel momento in cui, invece di speculare sulle paure (reali) dei cittadini, si daranno adeguate spiegazioni dei problemi complessi che stiamo vivendo, aiutando i cittadini con risposte realistiche. Inoltre, la cultura politica dalla quale proviene Giorgia Meloni ha una concezione inegualitaria e gerarchica degli esseri umani, è intollerante dinnanzi alle differenze e ai diritti. Come può questa destra essere amica del femminismo? Un Presidente del Consiglio donna sarà una buona notizia per l’Italia se sarà portatrice di uno stile di leadership realmente inclusivo e rispettoso delle diversità.
– Cosa può offrire una leadership femminile alla società, all’economia e alla politica in Italia?
Oggi abbiamo bisogno di donne competenti, con una formazione professionale e una tensione etica, che siano leader nel proprio ambito non “contro” qualcuno e senza bisogno di attingere, ad esempio, al linguaggio bellico. Quando sento Giorgia Meloni definirsi “un soldato”, resto perplessa e mi interrogo: a quale modello di leadership si ispira? Quale differenza, in quanto donna, porterà nella gestione del potere? Troppo spesso noi donne, quando raggiungiamo – o tentiamo di raggiungere – posizioni apicali assumiamo uno stile molto simile a quello maschile, cioè “muscolare”, basato solo ed esclusivamente sulla prestazione, sulla performance.
Non è facile dissociarsi da questo modello, anche perché oggi in Italia predomina ancora un solo modo di intendere il potere, legato alla sopraffazione, al bisogno costante di dimostrare agli altri, che percepiamo come nemici, di essere più forti. Certo, è molto difficile immaginare pratiche di potere più cooperative, in cui l’esercizio della leadership ha a che fare col bene comune, di tutti e di ciascuno, eppure non credo nella possibilità di cambiamento data dalle parabole individuali, servono processi collettivi e plurali.
Noi donne possiamo molto, se scegliamo di non abdicare alla dimensione relazionale e creativa, agli affetti e alla valorizzazione della cura, che non è da intendersi come accudimento. Quando papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti spiega di che cosa ha bisogno la migliore politica, ci offre l’icona evangelica del buon samaritano, che si china sul malcapitato al bordo della strada, versa olio e vino sulle sue ferite, se lo prende in carico, lo affida al locandiere pagando, cioè mettendo in moto un’economia virtuosa.
Oggi abbiamo bisogno di una leadership femminile che intenda e viva il potere così, che sappia coltivare relazioni inclusive, a cominciare dallo sguardo che non si volti altrove, ma si posi sulle periferie esistenziali e geografiche con empatia e compassione. Una leadership che sappia attivare e accompagnare soluzioni creative e intelligenti, all’interno di processi di mobilitazione sociale. Gli uomini fino ad oggi hanno disegnato un mondo in funzione di se stessi (basti guardare agli orari e ai ritmi di lavoro). Auspico che più donne in ruoli apicali possano portare quello sguardo di insieme capace di coinvolgere tutte e tutti. Anche perché sostituire il modello “un uomo solo al comando” con “una donna sola al comando”, non solo non ci farebbe evolvere nella parità di genere, ma sarebbe miope e perdente.
– I dati, provenienti soprattutto dal meridione, mostrano una realtà sociale nella quale le donne faticano ad affermarsi. Quanto una sana cultura della parità di genere può contribuire al superamento di tale situazione?
Moltissimo, a patto però di investire con responsabilità e in maniera sistemica sulle nuove generazioni, a cominciare dalle famiglie – dove bambine e bambini vanno educati alla pari, cominciando dall’equa divisione di compiti e responsabilità – e dalle agenzie educative. Con realismo e gradualità occorre scalfire la logica patriarcale, individualista e possessiva, che è radicata nelle discriminazioni di genere che toccano ogni aspetto della vita delle donne: sociale, educativo, lavorativo, economico e relazionale.
Se al centro (ri)mettiamo relazioni fraterne e inclusive, sane e con il senso del limite; se recuperiamo anche una narrazione mediatica purificata da stereotipi di genere, allora sbricioleremo il piedistallo su cui poggia la cultura patriarcale, che rende così difficile per le donne essere riconosciute per quello che valgono. Tutto ruota attorno all’educazione, purché condivisa all’interno di relazioni di fiducia. Ripartiamo da qui e la disparità di genere, così ampia e profonda nel nostro Paese, verrà superata.
– Con il cammino sinodale in corso, la Chiesa cattolica ha avviato un percorso di riflessione e di riforma che – fra le altre questioni – pone al centro del dibattito ecclesiale il ruolo delle donne all’interno delle comunità credenti. Qual è il suo pensiero su questo tema?
Sulla Chiesa mi piace partire dal fatto che l’annuncio della Resurrezione sia stato affidato alle donne che, al di là delle facili ironie sulla loro capacità di diffondere rapidamente la notizia, sono state inviate a portare l’annuncio più incredibile della storia umana. Sulla storia dei secoli successivi è evidente che il Nuovo Testamento è stato interpretato all’interno di codici patriarcali e, spesso, per legittimare ordini del mondo già strutturati.
Ai nostri giorni la Chiesa ha urgente bisogno di tornare ad integrare il maschile e il femminile. E papa Francesco non perde occasione per ribadirlo in maniera chiara: “la chiesa è donna, non è maschio. Non è il chiesa, al maschile, ma è la chiesa, al femminile. Recuperare il giusto il ruolo della donna nella Chiesa non è femminismo, è diritto! […] La donna vede le cose con una originalità diversa da quella degli uomini”. Il mio più grande desiderio è che la considerazione delle donne nella Chiesa avvenga non in virtù della maternità biologica o della capacità di accudimento, ma in quanto discepole. Per compiere questo abbiamo bisogno di uomini nuovi, creativi e desiderosi di relazioni libere e autentiche, cioè non timorose di perdere i privilegi acquisiti.
– Il libro Adesso tocca a noi. Donne, leadership e altri misfatti racconta diverse testimonianze di donne attive e protagoniste nella politica e nella società. Come nasce l’idea di questo libro e quale messaggio intende veicolare?
L’idea del libro si è accesa nei travagliati giorni dell’ultima elezione al Quirinale. Sono stati giorni in cui ho assistito, incredula e impotente, a un indecoroso gioco di pinkwashing, nel quale i nomi di alcune candidate donne sono stati sacrificati sull’altare di foschi giochi di potere. Il mio smarrimento si è accompagnato ad alcuni interrogativi.
Come frantumare il “soffitto di cristallo”, cioè quell’insieme di barriere sociali e culturali che si oppongono alla concreta possibilità per le donne di raggiungere posti di responsabilità? Perché a parole vengono riconosciuti pari dignità e diritti, ma poi di fatto il nostro Paese vive in un’arretratezza fuori dal tempo? Come disincentivare modelli organizzativi maschilisti – imprenditoriali, sociali e politici – favorendo invece una trasformazione culturale inedita nella gestione del potere, nella misurazione della competenza e del successo? Siccome ogni generalizzazione è sconveniente e banale, ho lasciato che sedici donne, nate tra il 1941 e il 1995, rispondessero a queste e a molte altre domande, raccontando ciascuna la propria storia. Da Parigi a Cosenza, passando per Torino, Varese, Milano, Verona, Assisi e Roma, “Adesso tocca a noi” è un’opera corale.
Ho incontrato donne coraggiose e visionarie, che ciascuna nel proprio ambito, dal giornalismo all’astrofisica, dalla teologia al sindacato, dalla politica allo spettacolo stanno provando a fare la differenza, con un nuovo stile di presenza sociale. “Adesso tocca a noi” non è un libro rivendicativo sulla parità tra uomo e donna, ma la testimonianza che riconoscere alle donne ciò che meritano, sulla base di competenze e talenti, è una questione di dignità, che riguarda non solo il valore delle persone, ma anche la dimensione etica e culturale della nostra società. “Adesso tocca a noi” vuole essere d’ispirazione per quanti sono alla ricerca di una nuova grammatica sociale, di una visione condivisa aperta a valorizzare la diversità in comunità sempre più inclusive e corresponsabili.
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