9 Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11 Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: «O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12 Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo». 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: «O Dio, abbi pietà di me peccatore». 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
Il brano del Vangelo di questa domenica continua ad affrontare il tema della preghiera, approfondendo alcuni aspetti attraverso un’altra parabola. Gesù, infatti, insegna ai suoi discepoli come entrare in relazione con il Padre e lo fa attraverso il confronto tra due personaggi.
Il fariseo
Il fariseo, uomo che osserva con scrupolo le leggi, prega usando tante parole, tutte centrate sulla sua persona e sulle sue azioni. L’opera di Dio non è presente all’interno della sua preghiera. Egli ringrazia Dio per come egli è, ma come se questa sua identità fosse un possesso guadagnato. Il fariseo non chiede nulla a Dio e nelle sue parole non leggiamo nessuna mancanza, nessuna nostalgia di completezza, nessun imbarazzo: non c’è nessuna reale proiezione verso Dio.
Il pubblicano
Il pubblicano, esattore del dazio a servizio dei dominatori pagani e, per questo, considerato irredimibile, dice una semplice frase in cui chiede espiazione a Dio. La sua preghiera è tutta una richiesta a Dio, non vi è nessuna traccia di autocompiacimento, né qualche tentativo di giustificazione. Il suo centro è il dono di Dio.
Linguaggio del corpo
Questi due personaggi, ai due estremi della società civile e religiosa del tempo, mettono in evidenza due modi di stare al cospetto di Dio che ogni uomo sperimenta. Anche la dimensione fisica di questo atto di preghiera è significativa: il fariseo sta in piedi mentre il pubblicano resta a distanza, non osa alzare gli occhi al cielo. L’orgoglio del fariseo si esprime anche attraverso il suo corpo: egli crede, con le sue pratiche religiose, di essere “a posto” con Dio. Il pubblicano sa di non esserlo, è in imbarazzo anche solo nel rivolgersi al Padre.
Vanto o “spazzatura”
È interessante notare che i gesti di cui il fariseo si vanta non sono atteggiamenti benevoli verso l’altro ma pratiche prevalentemente esteriori, la cui osservanza Paolo, dopo la conversione, riterrà “spazzatura” (Fil 3,7). Anzi, possono essere dannosi perché fanno dell’uomo un idolo di se stesso e lo fanno ritenere giusto. Per ritenersi giusto, il fariseo si misura con l’altro e finisce per disprezzarlo. La parabola è rivolta espressamente a coloro che si pongono in questo modo verso Dio e i fratelli. Parla a ognuno di noi, che almeno una volta, ci siamo ritenuti giusti e abbiamo disprezzato gli altri, per consolarci.
Restare fermi su noi stessi
La preghiera è spesso un percorso difficile e stagnante perché restiamo fermi a noi stessi, non ci apriamo all’azione di Dio, non accettiamo di stare umilmente e silenziosamente al suo cospetto. Pregare non equivale e investigare il nostro rapporto con noi stessi, ad analizzare e scrutinare i propri meriti o le proprie colpe. Questi passaggi, sebbene necessari, sono ancora alla soglia della preghiera. La preghiera è rapporto con Dio, colui che salva, colui che generosamente dona e prontamente perdona.
La centralità del dono di Dio
Il pubblicano torna a casa giustificato, in sintonia con Dio. Questo deve aver sconvolto gli ascoltatori di Gesù. Sconvolge ancora, dopo duemila anni. Nel dialogo con Dio la nostra iniziativa è la disponibilità a metterci alla sua presenza, la fedeltà a momenti di silenzio in cui incontrarlo, la richiesta fiduciosa della sua misericordia. Egli ci conosce nel profondo, e opererà in noi.
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