No ai giudizi preventivi
Nasce, in Italia, il primo governo guidato da una donna. E’ una buona notizia, per un Paese dove la politica continua a vedere lo straripante dominio degli uomini. Ma non è questa la sola novità. Nasce anche il primo governo dove l’estrema destra non è una ruota di scorta, come al tempo del Polo delle libertà, ma la forza trainante. E questa è una notizia che, ovviamente, apparirà buona ad alcuni e meno buona ad altri. Anche se ormai le etichette hanno un valore molto relativo e i partiti – a maggior ragione i governi – vanno giudicati per quello che effettivamente dicono e fanno.
Ciò comporta l’onesta presa di distanze da ogni atteggiamento di pregiudiziale chiusura nei confronti di Giorgia Meloni. Già da prima delle ultime elezioni, sia a livello nazionale come a quello internazionale, sia da parte di esponenti politici che di intellettuali, è in opera una campagna di delegittimazione preventiva che la bolla come “fascista” e le attribuisce un disegno autoritario e oscurantista. Emblematica la dichiarazione della premer francese, Elisabeth Borne, all’indomani dei risultati elettorali in Italia: «Certo, saremo attenti affinché questi valori sui diritti umani, sul rispetto reciproco, in particolare sul diritto all’aborto, siano rispettati da tutti».
Un monito assolutamente improvvido, che ha costretto Sergio Mattarella a far notare che «l’Italia sa badare a se stessa», e in cui è evidente non solo il pregiudizio, ma anche la tendenza a identificare i diritti umani con l’interpretazione ideologica che include in essi dei temi, come quello dell’aborto, tutt’altro che scontati. In un contesto in cui il Parlamento europeo ha recentemente votato una risoluzione in cui chiede che il diritto di aborto sia inserito nella Carta fondamentale dei diritti non c’è da stupirsene. Né si tratta di un equivoco che riguarda solo gli ambienti europei. Il leader di «Azione», Carlo Calenda, nel deprecare l’elezione di Stefano Fontana a presidente della Camera, non ha trovato nessun capo d’accusa più grave di quello di essere «antiabortista».
I pregiudizi sono così: includono facilmente oves et boves. Il contrario di ciò che si richiede, in questo delicatissimo momento della nostra storia nazionale. Perché mai come oggi è necessario un serio discernimento critico, non con la pretesa di essere super partes – uno “sguardo da Dio” è impossibile – , ma con la onesta volontà di argomentare il proprio punto di vista, basandosi il più possibile sui fatti.
Alleati ma potenzialmente nemici
Questo significa che gli aspetti problematici che caratterizzano la nascita di questo esecutivo vanno individuati con la maggiore lucidità possibile, senza confonderli con gli slogan dei suoi nemici viscerali. E di aspetti problematici, a dire il vero, non ne mancano. Le recenti grottesche vicende che hanno caratterizzato le trattative per la composizione del governo ne hanno evidenziato uno, di fondamentale importanza per la tenuta futura della compagine governativa, che è quello della forte eterogeneità delle forze della maggioranza.
A catturare l’attenzione è stata l’istrionesca esibizione di Berlusconi, che ancora una volta ha voluto prendersi la scena, rifiutando il ruolo di gregario che le urne gli hanno assegnato. Giorgia Meloni ha saputo fronteggiare questa esplosione di vanità ferita con la dovuta fermezza. Ma l’euforia di questo successo non può far chiudere gli occhi sulla gravità di ciò che è accaduto e che potrebbe ripetersi, in corso d’opera, ogni volta che gli umori del “cavaliere” lo spingeranno a far notare la sua (indispensabile) presenza.
Cosa accadrà se la diserzione dei senatori di Forza Italia al voto si dovesse ripetere per una legge di bilancio o per qualche altro provvedimento di fondamentale importanza? E per ora Salvini si è volutamente defilato. Ma “il capitano”, ovviamente, non si è mai rassegnato a vedere travasare i suoi consensi e la sua popolarità – che col primo governo Conte lo avevano spinto nei sondaggi al 36% e lo avevano spinto a far saltare il banco per chiedere «pieni poteri» – dalla parte di Giorgia Meloni. Aspetta la sua ora, come del resto è normale, per riprendersi almeno una parte di quello che gli è stato tolto. Lega e Fratelli d’Italia sono naturalmente rivali, perché attingono allo stesso bacino di voti. E questo non è una buona base per una collaborazione duratura.
Programmi tendenzialmente divergenti
Ma non è solo questione di caratteri e di stati d’animo. Sono i programmi dei tre leader ad essere tendenzialmente conflittuali. Giorgia Meloni proviene da una tradizione statalista. Non è certo “fascista”, perché oggi questo sarebbe anacronistico, ma sicuramente vuole un’Italia che torni ad essere, per i suoi cittadini, una “Patria”, e non soltanto un territorio dove risiedere. Evidentemente, in un momento in cui l’Europa ci sta dando il soldi per fronteggiare la crisi, ha dovuto molto ridimensionare i toni di questo “spirito nazionale”, ma la sua ammirazione per Orban è in buona parte dovuta alla capacità dell’Ungheria di sfuggire a quella che ai suoi occhi è una inaccettabile rinunzia all’indipendenza.
Salvini, da parte sua, è cresciuto nella logica della Lega Nord, da sempre ostile a “Roma ladrona” e alle ingombranti conseguenze di una unità nazionale che vede le regioni settentrionali costrette a finanziare l’arretratezza del Sud. La conversione della Lega alla visione nazionale è stata tardiva e ha dato, alle ultime elezioni, magri risultati elettorali. Ciò che a Salvini preme è raggiungere la maggiore autonomia possibile per le regioni settentrionali, le più evolute economicamente: Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia-Romagna.
Con l’assicurazione verbale, tutt’altro che dimostrata, che il regionalismo gioverà sicuramente anche a quelle meridionali. Del bene dell’Italia come nazione non si parla. Così il punto che il nuovo governo deve affrontare, per la Meloni, è la preparazione della riforma della Costituzione in senso presidenzialista, rafforzando il potere centrale del capo dello Stato, per Salvini è l’autonomia delle regini del Nord.
Quanto a Berlusconi, la cosa che gli interessa sopra ogni altra – come del resto nel passato – è garantire i suoi interessi: parare i colpi dei suoi processi, proteggere le sue televisioni, diminuire la pressione fiscale (per i ricchi). Ma non è detto che questo vada bene ai suoi alleati, soprattutto a Giorgia Meloni, per cui il primato dello Stato deve avere la priorità. Il programma della Destra contiene tutto. Ma di fatto saranno necessarie delle scelte. E non solo di priorità. Perché queste esigenze appaiono fra loro incompatibili, o almeno difficilmente conciliabili.
Scelte “di destra” e scelte “di “sinistra”
Sono ombre molto serie, che non devono però far dimenticare che questa maggioranza è stata eletta democraticamente dai cittadini e ha il diritto di mettersi alla prova. Che non accada che le grida d’allarme e le critiche la ostacolino ad ogni suo passo. Tanto più se queste critiche e queste grida d’allarme si scatenassero non sui veri diritti, ma su quelli che l’ideologia neocapitalista ha inventato, basando sul principio individualista che ognuno è proprietario del proprio corpo e può farne quello che vuole. Un principio assolutamente “di destra”, che viene fatto passare per progressista, con i risultati che vediamo anche a livello sociale, in Italia e in tutto il mondo occidentale.
Per quanto riguarda più specificamente il “diritto di aborto”, che sta tanto a cuore della premier francese, Giorgia Meloni ha già chiarito che non vuole modificare, ma applicare integralmente la legge 194, valorizzando quelle sue parti, finora ideologicamente messe in ombra, in cui essa prevede una maggiore assistenza alle donne non solo per uccidere i loro figli, ma per poterli far nascere, superando le barriere economiche e psicologiche che rendono difficile la maternità. Con tutte le perplessità che altri punti del programma governo di destra suscitano, questa sarebbe una scelta di sinistra.
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