Tempo fa si è parlato di “primavera araba”. A lungo termine, non sembra aver dato risultati entusiasmanti, ma c’è stata. Un sussulto di dignità, di vergogna per aver troppo a lungo subìto, di voglia di esserci e di partecipare. Si parla, in questi giorni, di “primavera “turca”. Non sappiamo ancora cosa produrrà. Ma anche i turchi, a quanto pare, hanno una coscienza politica e non si rassegnano ad accettare passivamente scelte arbitrarie e arroganti.
In Italia, invece, continua il grande inverno della Seconda Repubblica, che ora sembra intenzionata a generare – a sua immagine e somiglianza (avete presente la figlia di Fantozzi?) – la Terza, modificando la nostra Costituzione in senso presidenzialista.
Non sono un costituzionalista e non entro nel merito. Ma – a differenza, a quanto pare, della maggior parte dei miei connazionali – , mi ricordo le cose. Per certi versi è una disgrazia, perché avere memoria significa essere in grado di prevedere, senza avere il potere di impedire. Cassandra aveva avuto dagli dèi il dono di conoscere il futuro, controbilanciato dalla pena di non essere ascoltata. Nel mio piccolo, senza avere avuto doni particolari, sperimento la stessa disgrazia.
Sì, io mi ricordo di quando la stessa destra che oggi caldeggia la riforma della Costituzione – vantandone la sensatezza e la modernità – fece quella della legge elettorale, privando i cittadini del diritto costituzionale di scegliere i propri rappresentanti e rimettendo all’arbitrio delle segreterie dei partiti la selezione dei futuri parlamentari. Volendo aiutare gli italiani a trovare una sintetica definizione di tale legge, il suo estensore la chiamò, con ammirevole lucidità, «una porcata». E da allora il nome che tutti le danno, con un pizzico di tenerezza, è «porcellum».
Gli effetti non si fecero attendere. Per definire il parlamento che ne venne fuori, Franco Battiato ha fatto l’errore di scegliere un termine, riferito alla stessa specie animale, che ne qualificava solo la componente femminile, suscitando l’ira delle donne. In effetti, verità e giustizia vogliono che se ne cerchi qualche altro, equivalente, in grado di comprendere anche la parte maschile. Ricorderemo a lungo quel parlamento – specializzato nella difesa dei propri privilegi economici mentre il Paese andava a fondo, nella compravendita di senatori e in comportamenti affini – , con la speranza che il nuovo (ma espressione della stessa classe politica), da poco eletto, non ne offuschi la memoria.
Ad aggravare il mio stato di infelicità, ricordo anche che la cosiddetta “sinistra” – la stessa che oggi guarda con simpatia alla possibilità di fare le modifiche costituzionali volute dalla destra – , invece di alzare barricate (almeno morali) per fermare il «porcellum», non provò neppure a modificarlo quando ne ebbe la possibilità, dando l’impressione di non trovare poi così negativo che a decidere tutto fossero i vertici dei partiti. E constato che la situazione attuale di questa “sinistra” – talmente assorta nelle proprie beghe interne di potere da non avere il tempo di occuparsi dei problemi del Paese, soprattutto dei più poveri – spiega perfettamente perché ci sia stata, e in fondo continui ad esserci, una simile insensibilità.
Sarò matto, ma l’idea di affidare a queste forze politiche, e agli uomini che degnamente le rappresentano, la modifica della nostra Costituzione, non mi rassicura. La nostra Carta costituzionale ha avuto come artefici personaggi di grande statura etica, culturale e politica. Erano quelli che, in un precedente articolo, ho chiamato «i leoni». Avevano i loro difetti, ma erano delle personalità e si battevano per delle idee (giuste o sbagliate, erano idee).
A fare la riforma, oggi, sarebbero quelli che Tomasi di Lampedusa indicava come successori dei leoni: «gli sciacalli». Una casta che da troppi anni dimostra di non tenere in alcun conto l’aspetto ideale (da non confondere con quello idealistico) della politica, e di considerarla solo in termini di gestione e di sfruttamento a scopi particolaristici del potere. Una casta che, in questi anni, ha mostrato di avvertire la Costituzione come una fastidiosa remora per l’affermazione dei propri interessi. Come recita un antico detto, chi non riesce ad adeguare il proprio comportamento ai princìpi, finisce per cercare di adeguare i princìpi al proprio comportamento. Che sia questo il senso di ciò che sta avvenendo?
Quanto a coloro che sembrano contrari alla riforma, denunciandone i pericoli, hanno dimostrato, in pochi mesi di opposizione, tale immaturità culturale e politica, da rendere estremamente problematica la credibilità e l’efficacia del loro impegno.
Qualcuno, davanti a questo quadro, mi darà sulla voce, accusandomi di covare inguaribili pregiudizi. Qualcun altro mi chiamerà pessimista. Qualcuno si spingerà oltre, e mi considererà promotore di una inaccettabile campagna di odio verso uomini e donne integerrimi, appassionati al vero bene dell’Italia. Ma io ho solo citato dei fatti, sia pure del (recente) passato. E mi chiedo se un paziente che ha visto indirizzare all’obitorio tutti coloro che lo hanno preceduto in sala operatoria non abbia il diritto di nutrire qualche dubbio, anche prima di sperimentare direttamente la stessa sorte.
Qualcuno dice che è giusto cambiare, immettere aria nuova. Anche in Italia vogliamo avere una primavera! Ma quella dei Paesi che finora l’hanno conosciuta è nata dal basso, dalla reazione morale e politica della gente, non da negoziati di vertice tra partiti. E da noi questa “primavera” avrebbe dovuto scattare, proprio contro questi partiti, per reagire alla legge elettorale che ci hanno imposto con tanta arroganza.
Credere che sia un’altra riforma istituzionale, fatta dagli stessi soggetti, a rimediare alla profonda crisi etico-politica della Seconda Repubblica, è un’illusione. Un proverbio dice che «una rondine non fa primavera». Ma neanche un maiale. Illudersi che sia un altro «porcellum» a salvare il Paese dal suo inverno, mi sembra solo un modo di renderlo ancora più buio.
Giuseppe Savagnone
{jcomments on}
Lascia un commento