All’Angelus di domenica 23 ottobre, papa Francesco ha annunciato di voler prolungare di un altro anno il “tempo speciale” del processo sinodale che la Chiesa cattolica ha avviato dallo scorso anno. Un cammino che coinvolge anche la Chiesa italiana alla prese con un periodo di mutamenti e speranze ben riassunto dalla Sintesi nazionale della fase diocesana pubblicata dalla CEI a conclusione dei lavori della prima fase sinodale svoltasi fra le comunità ecclesiali italiane. Di questo tema discutiamo con mons. Francesco Savino. Vescovo di Cassano all’Jonio, dal 25 maggio 2022 Savino è vicepresidente per l’Italia meridionale della Conferenza Episcopale Italiana.
– Mons. Savino, dalla consultazione svolta nel primo anno del cammino sinodale voluto da Papa Francesco – e dal coinvolgimento che ne è derivato – quale Chiesa viene fuori?
Vorrei, innanzitutto, invitare a cogliere la portata innovativa del cammino sinodale: non è il tentativo di rispondere a questioni di ordine pastorale, ma è il tentativo – come ha ricordato il Papa, citando padre Congar – di “fare non un’altra Chiesa, ma una Chiesa diversa”. Ecco perché occorrono tempi ‘più lunghi’: bisogna, cioè, aiutare ad interiorizzare stili e orizzonti nuovi, per questo ‘cambiamento d’epoca’, e a saper rischiare di più. Forse anche a perdere un ‘dejà vu’ che corre il rischio di consegnare un volto di Chiesa ‘esteticamente bella, ma muta’. Non mi sorprende, dunque, la scelta di Papa Francesco di far svolgere l’Assemblea sinodale in due Sessioni, una nel 2023 e l’altra nel 2024.
È necessario, giustamente, non avere fretta affinché i frutti giungano a piena maturazione. Non scandalizziamo nessuno e non diciamo cose nuove se oso affermare che, come ci ha ricordato la Nota esplicativa della Segreteria generale del Sinodo, sia necessario più ‘tempo da dedicare all’apprendimento di quella negoziazione fraterna che aiuti la Chiesa cattolica a superare la polarizzazione in cui attualmente si trova’. E lo stesso Papa, nell’omelia della Messa per il LX° del Concilio Vaticano II, ha auspicato una Chiesa unita e consapevolmente sinodale in cerca di ciò che può aiutare ad annunciare il Vangelo per questo nostro tempo. Anche la Chiesa italiana ha dato la sua risposta, dopo aver letto e studiato le Relazioni finali del cammino sinodale vissuto nelle nostre Chiese diocesane (circa 50.000 gruppi sinodali!). Ne voglio ripercorrere alcuni orizzonti, senza avere la pretesa di essere esaustivo.
Sono suggestioni significative, da rileggere pastoralmente, che chiedono a tutti i battezzati – Vescovi, Presbiteri, Consacrati/e e Laici – uno slancio di conversione e di creatività pastorale. Il soffio dello Spirito ha rimesso in movimento le comunità, a volte stanche e ripiegate su se stesse. Si è registrato un desiderio di essere presenti e responsabili nella Chiesa e nel mondo. Una voglia di protagonismo! Come abbiamo affermato nella Sintesi finale della Cei: “è apparso subito chiaro che non c’è nulla che sia estraneo alla vita della Chiesa e, quindi, che la Chiesa può essere davvero la casa di tutti”. C’è voglia di Chiesa e, in particolare, di parrocchia. Infatti abbiamo riconosciuto che “la parrocchia resta il paradigma strutturante dell’immaginario pastorale e missionario, sebbene la presenza e l’azione dei cattolici italiani si svolga anche in circuiti che hanno un minor ancoraggio parrocchiale”.
E di una Chiesa – una parrocchia – che sia capace di ascolto vero e accogliente si sente veramente il bisogno. L’ho detto durante l’Assemblea nella mia Diocesi e lo abbiamo detto anche a livello nazionale che ‘il metodo della conversazione spirituale ha aiutato a vivere il processo sinodale: ascoltare la vita ha permesso di non impantanarsi in uno sterile confronto di idee, ma di favorire uno scambio autentico, in cui cogliere “i segni dei tempi”. E questa metodologia, che promuove una dinamica che aiuta a passare dall’“io” al “noi”, da una prospettiva individuale a una comunitaria, è stata particolarmente apprezzata tanto che da più parti si è sollevata la richiesta di mantenerla, approfondirla e valorizzarla come prassi ordinaria”. Non si dimentichino i dieci nuclei che la Sintesi nazionale ha indicato: ascoltare, accogliere, relazioni, celebrare, comunicazione, condividere, dialogo, casa, passaggi di vita e metodo.
Sono nuclei che non nascono dal nulla, ma sono il frutto degli ultimi Convegni Ecclesiali nazionali (Verona 2006 e Firenze 2015). Questi nuclei potremmo definirli il volto della Chiesa del futuro, il tentativo cioè di disegnare un volto di Chiesa ‘diversa’, capace di amalgamare ‘vetera et nova’, il vecchio e il nuovo, e inserirlo in un’esperienza di Chiesa come ‘popolo di Dio’ con tutta la varietà di accenti e sensibilità da cui è attraversata. Mi sentirei di aggiungere, non da ultimo, che l’auspicio è quello di costruire una Chiesa radicata in Dio, nel suo mistero di incarnazione, e capace di manifestare il suo volto umano, per una compagnia sempre più solidale e appassionata dentro i sentieri dell’uomo di oggi.
– L’ascolto dei vissuti è una delle stelle polari del processo sinodale al fine di favorire una sorta di “maggiore aderenza alla realtà” da parte della Chiesa in Italia. Il cammino, su questo tema, è ancora lungo?
Il cammino è sempre opera di Dio e dono del suo Spirito. Non siamo né dei programmatori né degli statistici. Un proverbio latino-americano, poi diventato il titolo di un libro di Arturo Paoli, ama dire ‘Camminando si apre il cammino’. Occorre iniziare. Se mai si inizia, mai si intravede la meta. Questo inizio richiede, perciò, una conversione culturale e formativa. A tal proposito, penso, forse avremo da registrare la fatica più rilevante: educare, educarci tutti, ad essere capaci di ascolto e di condivisione, senza ostentare arroganze culturali o ripiegamenti che snaturano la portata del Vangelo.
Siamo chiamati, cioè, a investire energie, progetti – forse anche a lunga scadenza – per imparare i ‘linguaggi’ del nostro tempo e saper intercettare, come ci ricorda il Vangelo di Giovanni, “il vento dello Spirito che soffia dove vuole, ma non sai da dove viene e dove va”. Vanno rivisti i percorsi catechetici, nonché i progetti formativi delle nostre Associazioni. Va costruita l’identità del presbitero nel suo volto più pastorale e relazionale e meno nel suo aspetto cultuale o, ancora peggio, clericale. Il laicato va aiutato ad essere nel mondo, nell’adesione più consapevole alla sua ‘indole secolare’, con più sapienza e più umiltà e, soprattutto, con uno stile profetico, che sappia cogliere il grido degli ultimi e le istanze dei poveri.
E qui si stagliano tutti quegli orizzonti in cui è richiesta la nostra presenza di ‘sale e luce’ e, non da meno, di ‘lievito che fermenta la pasta’: la giustizia, il lavoro, la solidarietà, la sanità, la scuola e l’università e tutto ciò che, come ci ricorda la Gaudium et Spes’, è ‘genuinamente umano’. Vogliamo e dobbiamo costruire, con i tempi che il Signore vorrà, “la comunità dei cristiani realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia”. E per iniziare a fare tutto ciò ci viene chiesto – come abbiamo affermato nella Sintesi nazionale conclusiva – “di far cadere i pregiudizi, di rinunciare alla pretesa di sapere sempre che cosa dire, di imparare a riconoscere e accogliere la complessità e la pluralità. Un ascolto autentico è già annuncio della buona notizia del Vangelo, perché è un modo per riconoscere il valore dell’altro, il suo essere prezioso.
L’ascolto è allora tutt’uno con la missione affidata alla Chiesa ed è principio e stile di un’assunzione di responsabilità per il mondo e per la storia”. Sapremo fare questo nella misura in cui riusciremo ad essere una Chiesa umile, che innanzitutto ascolta Dio che ci parla nella storia ‘con parole e fatti intimamente connessi’. Occorre imparare, per dirla più chiaramente, l’arte del discernimento. Ecco perché la Chiesa italiana ha chiesto un ulteriore anno di ascolto. Ed ecco perché lo stesso Papa Francesco ha ulteriormente allungato alcuni tempi di celebrazione dell’Assemblea sinodale. Penso che il futuro sarà veramente affascinante perché dovrà vederci presenti, coinvolti e creativi. E sarà bellissimo, anche se faticoso.
– Nella Sintesi nazionale della fase diocesana la CEI ha avanzato la proposta dei “Cantieri sinodali” per la Chiesa che verrà. Concretamente, di che si tratta?
Il titolo è originale e merita qualche breve premessa. ‘Betania’ è la cittadina dove, nel Vangelo, abitavano Marta e Maria: una donna che agisce e una donna che medita. È la casa dove vengono coniugate azione e contemplazione. È un po’ l’immagine della Chiesa. Questa icona biblica di Lc 10, 38-42 è, infatti, l’icona scelta per accompagnare questo secondo anno del cammino sinodale. La parola ‘Cantiere’, invece, nasconde l’idea del laboratorio esperienziale, un percorso cioè che può contenere varie proposte, fatte di attività multiforme utili per confrontarsi sinodalmente.
È importante dire che i Cantieri non nascono a tavolino, ma sono il frutto della sinodalità e nascono dalla consultazione del popolo di Dio: prima di essere elaborati tematicamente, sono già stati vissuti nell’esperienza sinodale dello scorso anno. Quest’anno si vuole semplicemente continuare ad ascoltare e ad ascoltarsi, dando priorità a raggiungere, innanzitutto, i mondi vitali dei lontani o di quelle categorie di persone che vivono la storia e, forse, vogliono dire qualcosa a noi che crediamo e alla chiesa tutta e, inoltre, ad approfondire quel vissuto ecclesiale (organismi di partecipazione, relazioni interne, ministerialità e diaconie varie, stili e scelte pastorali) cui lo scorso anno si è iniziato a dare voce.
Rilevante e fondamentale è il Cantiere della formazione spirituale, che ci chiede di verificare e approfondire quanto il Signore e la sua Parola sono la sorgente e l’anima di ogni esperienza di evangelizzazione. A questi tre Cantieri ogni Chiesa locale può aggiungerne un quarto, auspicabilmente rappresentativo di una realtà pastorale particolarmente più emblematica del territorio in cui si vive. Il cammino sinodale di questo secondo anno con la proposta dei Cantieri è un’ulteriore opportunità “per aprirsi ai tanti ‘mondi’ che guardano con curiosità, attenzione e speranza al Vangelo di Gesù”.
– Nel documento del 2010, Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno, i vescovi delineavano la parte meridionale del Paese come un territorio alle prese costantemente con “vecchie e nuove emergenze”. Quale speranza per una terra martoriata da molteplici ingiustizie? Quale apporto da parte delle comunità cristiane?
La domanda è interessante, ma meriterebbe una riflessione più articolata. C’è una storia, in Italia, ricca di Documenti circa il rapporto tra la Chiesa italiana e il Mezzogiorno. Forse, sarebbe opportuno riprenderli uno ad uno e ristudiarli e, successivamente, avere il coraggio di dirci se e quanto dei loro orientamenti e delle scelte pastorali indicate sia stato realizzato. Dovremmo rincontrarci come Chiesa italiana e dirci qualcosa in merito. Le vecchie e le nuove emergenze sembrano essere ancora tutte là dove le abbiamo lasciate, con riletture forse diverse rispetto al passato e, mi duole dirlo, anche con elementi più problematici di prima.
Non voglio essere pessimista, ma, non di rado, si fa fatica a intravedere il sole. Vi è un protagonismo spicciolo, segno di una passione straordinariamente bella, ma spesso isolato o sparso a macchia di leopardo, mentre per fare certe ‘rivoluzioni’ c’è bisogno di un popolo – ecclesiale e civile – capace di camminare insieme, di sognare insieme e di operare insieme. Troppo individualismo al Sud. Mentre il Nord ha le sue accelerazioni, sovente anch’esse solitarie e autoreferenziali. Comprendo che quanto detto possa assumere i contorni della lamentela, ma forse dobbiamo investire molto di più, tanto di più, affinché nasca una nuova cultura, dei nuovi processi culturali che aiutino il Meridione a prendere in mano con più protagonismo e coraggio le proprie cose. Ma sembra cosi difficile!
Non c’è solo il problema delle ingiustizie, c’è anche l’esodo lavorativo e culturale, nonché la mala politica, la mega delinquenza ed i sottili stili illegali dentro le strutture di ogni genere. Per non parlare, poi, dell’impianto educativo e formativo veicolato nelle nostre scuole, in cui studiare e approfondire lo scibile sembra non essere più una fatica intellettuale rilevante. C’è, sì, tanta buona scuola, ma certe pedagogie, deboli hanno costruito persone deboli e percorsi altrettanto deboli, a motivo dei quali si preferisce andare fuori, più che lottare per cambiare qualcosa. E cosa dire, infine, dell’economia e del suo sviluppo nel Meridione.
“Negli ultimi 25 anni si è verificato un calo continuo e progressivo del PIL del Sud Italia, che è arrivato a pesare il 22% sul totale nazionale. Questo ampliamento del divario con il resto del Paese è dovuto principalmente alla riduzione degli occupati, conseguenza a sua volta del crollo della popolazione giovanile (-1,6 milioni) e dei deficit atavici del Mezzogiorno quali l’eccesso di burocrazia, l’illegalità diffusa, le carenze infrastrutturali e la minore qualità del capitale umano”. Questo dato è quanto evidenzia l’analisi di Confcommercio sull’economia e l’occupazione meridionali, dal 1995 ad oggi. Siamo speranzosi di intraprendere una ripresa a partire dalle risorse del Pnrr destinate al Sud, circa 82 miliardi, e ci auspichiamo che favoriranno lo sviluppo e le innovazioni di infrastrutture e di tutto ciò che potrebbe cambiare (ma anche solo smuovere) il tessuto sociale ed economico del Mezzogiorno.
La speranza non è un’idea, ha bisogno di gambe, cioè di persone che sappiano tradurla in fatti concreti. Cosa siamo chiamati a fare noi cristiani dentro le ferite e le feritoie del nostro Mezzogiorno? Serve una Chiesa più coraggiosa e più educativa. E, in particolare, un laicato formato capace di servire il bene comune con intelligenza, corresponsabilità e competenza. Contro ogni tentazione di torpore e di inerzia, abbiamo il dovere di annunciare che i cambiamenti sono possibili. Siamo credenti. Guardiamo il mondo con gli occhi di Dio e la forza dello Spirito. Non si tratta di ipotizzare scenari politici diversi, quanto, piuttosto, di sostituire alla logica del potere e del benessere la pratica della condivisione radicata nella sobrietà e nella solidarietà.
L’impegno formativo della Chiesa deve investire maggiori energie per la conoscenza e la promozione della Dottrina sociale della Chiesa, per educare la coscienza di tutti e di ciascuno al bene comune e alla responsabilità civile e, non da ultimo, all’impegno politico per la formazione di una nuova classe dirigente, capace di saper progettare processi di cambiamento a lunga gittata. Le Scuole di politiche, denominate a diverse voci nelle varie realtà ecclesiali, sono un’interessante seminagione.
– L’illegalità diffusa e la criminalità organizzata restano per il Sud Italia – e non solo per questo – un grosso freno allo sviluppo integrale. Per contrastare, e arginare, questo fenomeno il richiamo e la promozione di una cultura della legalità non bastano più. Cosa serve alle nostre comunità? Quale contributo sono chiamati a offrire i credenti?
La Chiesa è fatta per evangelizzare. Lo ricordava già Paolo VI nella Evangelii Nuntiandi. Alle nostre Comunità serve, innanzitutto e fondamentalmente, ritornare al Vangelo. Solo se partiremo dal Vangelo di Gesù, riusciremo a dire e a fare qualcosa di grande per il nostro territorio. Riusciremo anche ad essere voce profetica e voce di denuncia ma dobbiamo essere all’altezza di tutto ciò. Nel secondo capitolo dell’Esortazione ‘Evangelii Gaudium’, intitolato “Nella crisi dell’impegno comunitario”, e particolarmente nella prima parte dello stesso, che affronta ‘Alcune sfide del mondo attuale’, troviamo presentata la parte di denuncia. Il Papa avverte che ciò che intende offrire “va piuttosto nella linea di un discernimento evangelico”.
È lo sguardo del discepolo missionario che “si nutre della luce e della forza dello Spirito Santo” e ricorda, come hanno fatto i Papi nello scrivere su questioni sociali, che “non è compito del Papa offrire un’analisi dettagliata e completa sulla realtà contemporanea”, ma piuttosto esortare le comunità alla grave responsabilità di “avere una sempre vigile capacità di studiare i segni dei tempi”. Anche questa domanda è e resta una domanda aperta, perché le risposte sono sempre in fieri alla luce dei contesti e non sono facilmente sintetizzabili. I credenti devono ‘stare dentro la storia’, come già si era affermato al Convegno della Chiesa italiana a Palermo.
Stare dentro pregando e studiando, testimoniando e vivendo coerentemente e correttamente, ponendosi voce critica – basterà la sola denuncia?! – e, anche, voce propositiva e manifestando quelle competenze prettamente laicali, grazie alle quali la città degli uomini può veramente essere all’altezza di quell’umanesimo degno di essere chiamato tale. Per fare ciò urge un investimento formativo più ampio, più progettuale e meno estemporaneo.
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