37 Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. 38 Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, 39 e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. 40 Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. 41 Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.
Vegliare nell’attesa42 Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. 43 Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. 44 Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.
All’inizio del tempo di Avvento, la liturgia odierna ci presenta due temi su cui fissare la nostra attenzione: la venuta del Signore e la necessità di vegliare.
La prima lettura propone una visione del profeta Isaia: siamo giunti nel tempo messianico, il tempo che Dio sta preparando, in cui tutti i popoli convergeranno al tempio del Signore. In quel luogo le nazioni riceveranno la Sapienza divina e si apriranno al dialogo fraterno, imparando a deporre “le loro spade”.
Isaia sa che questa non è la realtà che egli sperimenta e sperimenterà, ma vuole invitare i credenti a misurare le proprie speranze con il metro di Dio stesso, perché al di là della diffidenza e dell’odio che sembra dominare sulla storia umana possiamo cogliere l’agire divino. Il credente è invitato a guardare al futuro, al progetto ultimo di Dio, quando la storia si trasformerà per suo volere.
La speranza cristiana si fonda sulla promessa divina che sa guardare oltre le macerie della storia personale e universale, per scorgere i segni di un futuro sempre possibile perché creato da Dio. “Il senso ultimo e profondo dell’Avvento sta proprio qui, Dio ti da quello che non hai: il coraggio di sognare” (Don Tonino Bello)
Nella seconda lettura Paolo ci esorta ad aprire gli occhi per scorgere la salvezza che si è resa presente ma che noi non sappiamo più vedere: da qui l’appello a “svegliarci dal sonno”. Svegliarsi dal sonno significa guardare gli eventi a partire da un ottica di fede, impegnarsi a cercare e a riconoscere il Signore che viene costantemente nei tempi opportuni, nei momenti cruciali personali ed universali.
Anche il Vangelo ci invita a vigilare. La pericope è tratta dal cosiddetto discorso escatologico, risposta ad una doppia domanda posta da discepoli: quando sarà la fine e quali segni saranno il segnale della venuta del Signore (Mt 24,3)?
Domande che nascono da una visione della parusia legata a segni portentosi e alla ricerca di straordinario; Gesù risponde riportando discepoli a un discernimento ancorato alla storia, personale e del mondo. I due uomini nel campo e le donne al mulino rappresentano la quotidianità della vita con le sue occupazioni e le sue necessità. Occorre discernere la venuta del Signore nell’ordinarietà della vita, da qui il paragone con i tempi di Noè.
Al tempo di Noè gli uomini mangiavano, bevevano, si sposavano, vivevano cioè la quotidianità dell’esistenza, ma lo facevano come se il Signore non dovesse mai venire; anche l’immagine del ladro vuole rimandare alla necessità per l’uomo di non lasciarsi cogliere impreparato, sapendo che verrà il tempo del giudizio, dove uno sarà salvato e l’altro no. Il testo non spiega per quale motivo il giudizio dei due uomini che lavorano il campo o delle donne che lavorano alla mola sarà diverso, ma si afferma che la venuta del Signore rappresenterà per ciascuno il momento della verità rispetto alle nostre scelte, per questo la necessità di prepararsi nella preghiera, in un’intensa e viva relazione con Dio.
La verifica è sempre un momento cruciale della storia di ciascuno e occorre rimanere vigili nella consapevolezza che ogni istante è un appello del Signore che attende una risposta.
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