Cronaca di una crisi
L’ennesima crisi diplomatica tra Francia e Italia – scatenata dalle parole del ministro dell’Interno francese Gérald Darmanin, durante una trasmissione radiofonica – può essere letta da diversi punti di vista.
Ma cominciamo col ricostruire ciò che è accaduto. «La signora Meloni», ha detto Darmanin, «a capo di un governo di estrema destra scelto dagli amici della signora Le Pen, è incapace di risolvere i problemi migratori sui quali è stata eletta».
Non si comprende questo durissimo attacco se non lo si colloca nel suo contesto. Darmanin è alle prese col problema della sempre maggiore pressione dei flussi migratori alla frontiera tra Italia e Francia. È noto che le persone che sbarcano in Italia tendono per la stragrande maggioranza a recarsi in altri paesi europei, e uno di quelli preferiti è proprio la Francia.
In questo quadro, il partito di estrema destra francese, guidato da Marine Le Pen, fa quello che la destra italiana ha fatto quando è stata all’opposizione: attacca il governo accusandolo di incapacità e sostenendo di essere in grado di risolvere il problema con misure appropriate. Promessa che in Italia non è stata mantenuta.
Da qui il collegamento fatto da Darmanin tra la premier italiana e la leader politica francese: «Meloni è come Le Pen, si fa eleggere dicendo “vedrete” e poi quel che vediamo è che l’immigrazione non si ferma anzi si amplifica».
Questa verità, però, in bocca al ministro di uno Stato straniero, costituisce una inaccettabile interferenza nella via interna del nostro. E ciò spiega perché perfino i partiti di opposizione italiani hanno fortemente contestato le inopportune parole di Darmanin.
I precedenti
Peraltro, non è la prima volta che il governo di Parigi assume atteggiamenti ostili nei confronti di quello italiano. Un’altra crisi, nello corso novembre, era stata scatenata dal caso della Ocean Viking.
La nave della Ong SOS Mediterranée era inizialmente diretta verso l’Italia, ma il governo si era rifiutato di dare l’autorizzazione allo sbarco delle 234 persone migranti a bordo. In un primo momento era sembrato che tra il governo francese e quello italiano si fosse arrivati a un accordo per far attraccare la Ocean Viking nel porto di Tolone, in Francia. Matteo Salvini, esultante, aveva commentato su Facebook la nota di Palazzo Chigi: «“Ocean Viking, la Francia aprirà il porto di Marsiglia”. Bene così! L’aria è cambiata».
In realtà la notizia della disponibilità francese non era stata confermata. La Meloni aveva preso l’assenza di una smentita per un assenso, e quindi aveva diffuso la nota senza prima attendere una verifica attraverso i canali diplomatici ufficiali. Da qui la durissima reazione di Parigi e la decisione di Macron di sospendere il cosiddetto “meccanismo volontario di solidarietà” deciso in estate dall’Unione Europea, a cui partecipano tredici stati membri e che prevede il ricollocamento di 10mila migranti all’anno tra quelli arrivati in Europa via mare.
Anche allora, a dire il vero, la reazione francese era apparsa eccessiva e dettata più da una scarsa simpatia per un governo di destra, oggettivamente in sintonia con la Le Pen, che non dalla gravità dell’episodio in sé.
Il governo italiano, comunque, aveva cercato di rimediare all’equivoco smorzando i toni. Non era un buon esordio per la diplomazia della nuova premier e si capisce l’intento di minimizzare l’incidente. Peraltro, la Francia è per la politica europeista dell’Italia una partner estremamente importante, soprattutto in questo momento in cui la nostra economia si avvale in maniera decisiva del sostegno dell’UE.
Passo dopo passo si era arrivati a ricucire lo strappo, tanto che si era programmata una visita del nostro ministro degli Esteri Tajani a Parigi, per un incontro con la sua omologa francese Catherine Colonna. Ora le dichiarazioni del ministro francese sono bastate per annullare questi mesi di paziente tessitura diplomatica e per spingere Tajani ad annullare il suo viaggio.
Altro che restituire prestigio…
Questi i fatti. Li si può leggere in diversi modi. Si può guardare al loro significato per quanto concerne la considerazione di cui il governo italiano gode a livello europeo. «L’obiettivo di Fratelli d’Italia è restituire alla nostra Nazione l’orgoglio, il prestigio e l’autorevolezza che merita», aveva dichiarato la Meloni quando si era proposta per governare il paese. E, proprio sul tema dell’accoglienza dei migranti, la Lega aveva sempre sostenuto che sarebbe bastato alzare la voce con l’Europa per ottenere un maggior rispetto delle nostre esigenze e cambiare le cose.
Se si confrontano queste bellicose dichiarazioni con la realtà c’è poco da stare allegri. Rispetto ai governi degli ultimi anni, «l’aria è cambiata», ma in senso opposto alla trionfale dichiarazione di Salvini. Al di là della retorica ufficiale, la nostra presidente del Consiglio è probabilmente quella che ha subito più umiliazioni da parte degli alleati europei. L’offensivo discorso di Darmanin ne è solo l’ultimo esempio.
Mai un premier italiano, dai tempi in cui Sarkosy e la Merkel erano stati sorpresi dalle telecamere a ridere alle spalle di Berlusconi, era stata così bistrattata. Soprattutto rispetto a Draghi – tenuto da tutti in grandissima considerazione a livello internazionale – , la Meloni sconta duramente, oltre all’indirizzo politico della sua maggioranza, un assai minore riconoscimento a livello personale.
Malgrado il suo volenteroso prodigarsi e il suo continuo viaggiare, si ha la netta impressione che, a differenza del suo predecessore, venga lasciata fuori dagli incontri in cui si decidono le cose. E possiamo essere certi che nei confronti di Draghi il governo francese non si sarebbe mai permesso le reazioni e le offensive esternazioni che ha avuto nei confronti della nostra premier e, per ciò stesso, dell’Italia.
Non è una colpa, ovviamente, ma dovrebbe costituire l’occasione per un bagno di umiltà da parte di una premier e un governo che si erano presentati sulla scena svalutando quello che altri avevano realizzato e con l’aria di poter fare molto meglio.
L’Europa senz’anima
La crisi tra Italia e Francia è però significativa anche e soprattutto da un altro punto di vista, che è quello delle sorti dell’unità europea. Proprio Macron in più occasioni aveva lanciato messaggi sulla necessità di valorizzarla maggiormente sul piano politico, per farla uscire dall’irrilevanza che la rende sostanzialmente vassalla degli Stati Uniti.
Una esigenza che la crisi ucraina ha drammaticamente evidenziato. Il soggetto delle scelte fondamentali, in questa occasione, non sono stati i paesi europei, su cui territorio la crisi si realizzava, ma la NATO, sotto la guida ultima dell’America.
Francia e Germania hanno tentato, alla vigilia, di impedire una guerra disastrosa per gli interessi europei – soprattutto per quelli della Germania, fortemente legata alla Russia per i sui rifornimenti energetici – , ma un’Europa politicamente divisa non poteva avere il peso necessario per fermare l’aggressione di Putin. E ciò che alla fine si è realizzato è stata quella rottura tra Europa e Russia che, – fosse voluta o no esplicitamente – ha consacrato e rafforzato il mantenimento dell’egemonia statunitense.
Oggi, più ancora di prima, i paesi europei contano in quanto membri della NATO, che fra l’altro ormai tende ad allargare i suoi confini al di là dell’Atlantico, includendo anche il Giappone e la Corea del Sud, e a relegare così il vecchio continente in un ruolo marginale.
In questo quadro, gli scatti di nervosismo più o meno gratuiti del governo francese rendono ancora più lontana la prospettiva di una vera unità tra gli Stati che costituiscono il nucleo originario della UE – Francia, Germania e Italia – e spingono il nostro paese ad avvicinarsi, se mai, a quelli del gruppo di Visegrád – Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia – , che però perseguono una linea sovranista e non sono certo favorevoli ad un’Europa unita politicamente.
Più a monte, però, l’allontanamento dal sogno europeista di uomini come De Gasperi, Adenauer, Schumann è dovuto al vuoto ideale che si è creato con l’abbandono dell’anima cristiana, non sostituita da nessun’altra prospettiva capace di accomunare popoli e interessi molto diversi. I soli valori che Bruxelles sembra impegnata a promuovere sono quelli legati all’individualismo libertario, in aperto contrasto con la tradizione cristiana, presentati come sinonimo di civiltà.
Si parla molto, è vero, di solidarietà in rapporto al problema dei migranti, ma già da tempo ci si orienta verso la politica dei muri (vedi accordi con la Turchia da un parte, con la Libia dall’altro, per “difendere i confini”) e la si pratica sempre di più.
Né un’anima può venire da parte dei paesi del gruppo di Visegrád, sostenitori di una linea etica rigorosa sui temi bioetici, ma in una chiave autoritaria che la rende soffocante, e apertamente refrattari – senza neppure i veli di ipocrisia adottati da Bruxelles – alla prospettiva di una fraternità nei confronti dei migranti.
In questo quadro, la crisi dei rapporti tra Francia e Italia è solo la punta dell’iceberg di una frammentazione più radicale. L’anima, nella visione filosofica degli antichi, aveva la funzione di unificare il corpo. Se essa viene meno, ne restano i pezzi anatomici, ma non sono più un organismo. Di questo, più che dell’inflazione e dell’andamento del Pil, dovremmo tutti preoccuparci.
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