Nei dibattiti sulla relazione fra cattolici e politica in Italia, spesso riemerge la figura del Dossetti politico giudicata o in maniera polemica oppure enfatizzata positivamente. Ricordare, indagare, studiare la testimonianza politica di Giuseppe Dossetti – consumata dal 1943 al 1958 – è importante per valutare in modo critico la storia e l’attualità. Assistiamo tutti quanti all’emergere di una instabilità della vita politica del nostro Paese che probabilmente non ha pari nella storia nazionale. Sarebbe inutile e tendenzioso affermare che se ci fossero uomini come Dossetti la situazione sarebbe migliore. A noi compete leggere criticamente fra le righe della storia di autentici uomini e cristiani come Dossetti per capire e sapere che non è sempre stato così e che un’alternativa è possibile. Di questo tema discutiamo con Luigi Giorgi. Coordinatore delle attività culturali dell’Istituto Luigi Sturzo. Giorgi ha lavorato come collaboratore parlamentare alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica. Scrive per riviste di storia e di attualità culturale e da qualche mese ha pubblicato per Carrocci editore il volume Giuseppe Dossetti. La politica come missione.
– La breve ma intensa testimonianza in politica di Giuseppe Dossetti fu vissuta da lui come una missione. In che senso la politica per Dossetti assumeva simile identità?
La politica per Dossetti è missione in quanto servizio verso i più poveri e bisognosi. Quelli che nel discorso dell’Archiginnasio chiamerà i “senza storia”. Si tratta, nell’intenzione di Dossetti, di un servizio indirizzato verso una visione prospettica dei processi storici in grado di comprendere un panorama ampio che tenga conto delle diverse e tante variabili poste dalla storia sul cammino dell’uomo. Ma, soprattutto, il quadro di riferimento è quello del “momento”, del καιρός.
Quando si viene chiamati all’impegno politico occorre profondere, cioè, il massimo della responsabilità e del lavoro (come farà ad esempio, in maniera originale e creativa nell’occasione, accolta per obbedienza al Cardinal Lercaro, delle amministrative bolognesi del 1956).
Per Dossetti bisogna, però, essere consapevoli che si tratta di un momento, di uno spazio temporaneo in cui il cristiano che vuole fare questa esperienza deve spendere la propria passione e le proprie competenze. Egli nega che possa esistere una “professionalità” della politica. E cioè un impegno protratto sine die. Perché così si rende possibile, diceva alla redazione di “Bailamme” negli anni ’90 ogni degenerazione.
– La nostra costituzione nasce dalle macerie di un mondo finito con la Seconda guerra mondiale e dalle visioni di chi negli anni delle dittature e dei combattimenti progettava un mondo nuovo. Quale fu il contributo di Dossetti alla rinascita istituzionale e politica dell’Italia?
Dossetti ha riconosciuto ai lavori costituenti, in special modo, la capacità di creazione di uno spazio politico fondamentale per la costruzione dell’Italia democratica e libera e per la partecipazione finalmente convinta e appropriata, secondo i valori della democrazia, dei cattolici alla vita pubblica. La Costituzione è figlia della Resistenza ma al contempo Dossetti le riconosce una capacità, quasi “autonoma”, nell’ aver, cioè, creato e unito il Paese. Riuscendo cioè a coinvolgere quelle zone e quegli uomini (citerà il pugliese Moro e il calabrese Mortati), che non avevano vissuto l’esperienza della lotta di Liberazione. Parlerà della Costituzione come di un “momento magico” (quasi provvidenziale), unificante del paese.
Egli si spenderà sul tema della pace, dell’accoglimento (contrastato e difficile) dei Patti Lateranensi in Costituzione, del lavoro. E proprio il discorso del 21 marzo 1947 quando di discusse in Assemblea sull’art. 7 (che disciplinava l’inserimento dei Patti Lateranensi nella Carta) egli espresse, con un richiamo evocativo e forte alla lotta partigiana e con la capacità di indicare l’originarietà delle diverse provenienze degli ordini legislativi in questione, come la Costituzione rappresentasse più di un semplice articolato di leggi e di norme.
Ma fosse invece un patto politico-sociale-civico più ampio per il miglioramento democratico del paese ed, implicitamente, con l’accettazione dei Patti, in grado di concorrere anche al rinnovamento della stessa Chiesa.
– Dossetti fu tra i leader della Democrazia Cristiana guidata da Alcide De Gasperi. Il suo contributo, sempre libero e critico, lo poneva spesso in antitesi allo statista trentino. Simili dinamiche mostrano che sin dalla nascita la Democrazia Cristiana è stata un soggetto politico plurale in grado di fare sintesi per il bene del Paese. Condivide?
La Democrazia cristiana è stata senza dubbio un “arcipelago” di tensioni valoriali e ideali che hanno trovato sintesi e forza grazie all’opera, nel momento della ricostruzione, di Alcide De Gasperi e, non dimenticherei, grazie all’apporto di mons. Montini (il futuro Paolo VI) che seppe tessere legami fitti e costruttivi, in un quadro per nulla scontato, con le gerarchie vaticane.
Il rapporto fra De Gasperi e Dossetti ha testimoniato al massimo livello di elaborazione ed impegno questi aspetti. Pur nel reciproco rispetto personale di fondo, il confronto fu duro su temi essenziali per la politica del paese e del partito. Penso alla questione del referendum istituzionale, all’adesione dell’Italia al Patto Atlantico, fino alla politica economica e alle misure per arginare la disoccupazione e ricostruire il tessuto industriale ed economico del Paese. Ciò era dovuto ai diversi percorsi personali.
De Gasperi nasceva nel trentino asburgico, aveva fatto parte del Partito popolare di Sturzo nella difficile transizione del primo dopoguerra che condusse alla tragedia del fascismo e aveva conosciuto la galera e poi la “solitudine” dell’impiego nella Biblioteca vaticana. Dossetti altresì si era formato a partire dall’oratorio reggiano di San Rocco (con la figura importante di don Torreggiani), poi aveva vissuto negli ambienti accademici compresi nel clima della Cattolica gemelliana, nel quadro del contatto (e della sfida) con la modernità. Fino al passaggio fondamentale della Resistenza, nel difficile contesto reggiano, che per lui assunse un valore periodizzante e formativo fondamentale.
Queste differenze, anche profonde, trovarono momenti di incontro (non riuscendo però mai a sintetizzarsi del tutto) in episodi importanti, che miravano alla ricostruzione democratica della società italiana. Dal già ricordato episodio dell’inserzione dei Patti Lateranensi in Costituzione fino alla politica riformistica del centrismo che diede vita all’intervento straordinario nel meridione attraverso i provvedimenti per eliminare il più possibile la pratica del latifondo improduttivo e l’istituzione della Cassa per il mezzogiorno.
– Prima dell’originale esperimento bolognese, a Rossena Dossetti annunciò le sue dimissioni dagli organi parlamentari e dagli incarichi all’interno della Democrazia Cristiana. Quali furono i motivi che lo spinsero a maturare una nuova prospettiva di impegno lontano dalla politica?
Dossetti, come ha ricordato don Giuseppe Dossetti jr, abbandona la politica per andare più in profondità nella storia. Non voglio eludere però il tema. A mio parere egli segue la sua vocazione più profonda e originaria che è quella di un impegno religioso, spirituale e orante. Allo stesso tempo riteneva che ciò che di originale e valido poteva contribuire a dare alla politica del partito e del paese si fosse esaurito con l’impegno costituente.
Anche perché credeva che l’irrigidirsi della divisione bipolare del mondo rendesse impossibile una politica di riforme sostanziali (si sarebbe detto anni dopo strutturali) sia nel mondo della politica che probabilmente nella Chiesa (anche se di lì a qualche anno svolgerà un ruolo importante al seguito di Lercaro durante il Concilio). A suo parere, inoltre, la politica del partito aveva indugiato troppo nel perseguire equilibri con i vecchi mondi dell’Italia liberale dando continuità economica, sociale e politica ad ambienti che avevano facilitato, in qualche misura, l’avvento del fascismo.
E la necessità, che anche lui avvertiva in modo stringente a livello politico e culturale, di una lotta al comunismo, se condotta attraverso uno schema eccessivamente conservatore (secondo la sua visione) rischiava di dare vita ad un risultato inverso a quello sperato e cioè di un paese più giusto e libero. Tutta questa serie di motivi, che ho descritto in modo sommario, contribuirono a fortificare e ad accelerare, in qualche misura, una scelta intima e una vocazione profonda presente sin da giovane.
– Cosa resta, all’Italia e alla politica odierna, della testimonianza politica di Giuseppe Dossetti?
Penso che la questione si mostri con i caratteri di una bivalenza. Da una parte una negativa, per cui, purtroppo, permangono una serie di pregiudizi e di fraintendimenti che lo hanno portato ad essere “accusato”, senza fondamento alcuno, di “cattocomunismo” e di “integralismo”. Dall’altra, nella sua validità, attualità e lungimiranza, emerge una testimonianza, e un insegnamento, di rara intelligenza della storia e di profonda fede nell’azione creatrice e rigeneratrice della Parola.
Una lezione di pace, silenzio e preghiera, nella capacità di individuare, con una riflessione precisa e penetrante le esigenze e le dinamiche della storia non solo nazionale ma internazionale. Nel misurare come primari i bisogni dei poveri e le possibilità e i limiti delle stesse vicende della Chiesa. Nonché le esigenze di una costruzione statale e costituzionale equilibrata che vada incontro ai mutamenti storici senza stravolgere i propri principi fondanti, basati sulla persona, e sui suoi diritti inalienabili, e inoltre su un sostenibile equilibrio fra poteri per una pratica democratica il più possibile diffusa e salda.
Una storia ed un insegnamento luminosi, quelli di Dossetti in definitiva. Che interrogano, in special modo le giovani generazioni, nella profondità delle connessioni intime di ciascuno e che ogni volta rivelano, pur tornando su testi già noti, risorse e ricchezze inaspettate.
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