Dopo ventidue anni di attività e trentaquattro numeri pubblicati, termina l’esperienza della rivista semestrale della Provincia dei Frati Minori di Sicilia Quaderni Biblioteca Balestrieri. Negli anni scorsi, un lungo e profondo cammino formativo è stato svolto dalla rivista attenta a questioni teologiche, spirituali, storiche e sociali. Del contributo offerto dal semestrale alla cultura ecclesiale isolana e nazionale, ne parliamo con Piero Antonio Carnemolla. Direttore Editoriale dei Quaderni, Carnemolla è un attento e appassionato studioso della figura e dell’opera di Giorgio La Pira.
– Direttore Carnemolla, la cessazione delle pubblicazioni dei Quaderni Biblioteca Balestrieri segna la fine di un percorso di ricerca e formazione culturale che negli anni ha proposto alla cultura ecclesiale isolana e nazionale vari temi. Quali sono le caratteristiche principali della rivista che ha diretto sinora?
Un tempo si diceva: «se non leggi, il tuo cervello s’inzollisce». In molti ambienti, falsamente culturali ma di comodo, la pochezza di idee e la mancanza di spirito critico causano un corale annuire a proposte contrarie anche al buon gusto. E questo accade anche nelle nostre comunità. I fedeli ricevono spesso una formazione “da truppa” con l’esito disastroso d’essere ripetitivi e non credibili oltre che inaffidabili.
Una delle principali cause è quella di avere abbandonato l’impegno culturale, quell’impegno, ma anche dedizione, capace di saper distinguere il frumento dall’oglio. Venendo al nocciolo della sua domanda, dirò che una delle principali caratteristiche della rivista è stata quella di invitare all’azione e far capire che i problemi di questo mondo sono eventi che non possono essere dissociati dalla vita interiore di ciascuno. In modo particolare ha fatto da guida quanto G. La Pira scriveva nel lontano 1944.
Alla retorica domanda se la vita cristiana potesse fondarsi solo sull’orazione, rispondeva: «…l’orazione non basta; non basta la vita interiore: bisogna che questa vita si costruisca dei canali esterni destinati a farla circolare nella città degli uomini».
Si è trattato, quindi, di un’opera di evangelizzazione attraverso la cultura?
Da oltre vent’anni sulla breccia, la rivista ha trasmesso il messaggio evangelico in tutte le sue articolazioni e nel privilegiare il metodo storico ha preso di mira l’autoritarismo che è la negazione di ogni sospiro della libertà e poggia su un fumoso autocompiacimento; l’autoritarismo è una forma di potere negatrice di un sano pluralismo e che ancora oggi inquina il sentire e la promozione di una vita cristiana veramente autentica.
In questi anni sono stati proposti alla lettura alcuni protagonisti della vita civile e religiosa che ancora hanno molto da dire a questa generazione incline a ticchettare. Solo per fare qualche esempio dirò che dal variegato mondo francescano sono stati ripresentati e riletti Francesco e Chiara d’Assisi oltre ai protagonisti, a noi nel tempo più vicini come i francescani G. Balestrieri, P. Iabichella e il beato G. Allegra. Un posto particolare, perché fuori dal coro, spetta a Biagio Conte, laico francescano che ha saputo vivere il Vangelo in maniera visibile ed autentica.
Anche gli ecclesiastici hanno trovato ospitalità: il card. E. Ruffini, mons. Cataldo Naro, mons. A. Lanza, don Luigi Sturzo e don A. Milani. Ma non sono mancati i politici e coloro che si sono impegnati nel sociale: A. De Gasperi, G. La Pira, G. Colonnisti, G. Palatucci. Le proposte di lettura di questi personaggi hanno avuto lo scopo di far capire che il messaggio evangelico non può essere mummificato e chiuso nelle, ahimè, ampie e sicure sagrestie.
– Nell’editoriale pubblicato sull’ultimo numero in distribuzione in queste settimane, sottolinea la rilevanza culturale e teologica del libro. In che senso?
Devo deplorare l’uso indiscriminato, e anche pericoloso, dei cosiddetti mezzi di comunicazione sociale i quali, piuttosto che fornire notizie utili circa il “ben vivere”, infagottano il cervello con passatempi talmente insipidi da far annebbiare anche una mente perspicace. Una delle preghiere che mi ha affascinato è stata quella composta da S. Tommaso d’Aquino che recita: «O Signore, dammi acutezza nell’intendere, capacità nel ritenere, sottigliezza nell’interpretare e nel parlare».
Sulla natura del libro e della sua essenzialità risuonano le osservazioni di una grande teologo, Romano Guardini, secondo cui «…nel libro si ritrova tutto ciò che l’uomo ha creato e in esso si esprime il proprio essere… [il libro] pare essere addirittura il simbolo della nostra esistenza». Oggi il clima è cambiato e il declino della lettura ingenera superficialità, vero e proprio cancro che distrugge la vita interiore. Il libro, se letto con passione e attenzione, interroga, fa riflettere, indica un percorso virtuoso che altri mezzi, veri surrogati, non sono in grado di offrire.
Nel libro si ritrova una sapienza che nessun tic tac può sostituire. Rimedi? Ne propongo, tra i tanti uno: Il presbitero illuminato dovrebbe assegnare al penitente, come penitenza per il perdono dei propri peccati, non la recita dei proverbiali tre Pater e le classiche tre Ave Maria, ma la lettura di libri proporzionata alla quantità dei peccati confessati.
– L’ultimo numero dei Quaderni presenta alcune figure di radicale testimonianza cristiana nel campo della società, dell’educazione e della politica come Fratel Biagio Conte, don Lorenzo Milani e Giorgio La Pira. Quale messaggio emerge dallo studio critico dei loro vissuti?
Sono stati scelti questi tre protagonisti, veri giganti della vita cristiana, perché il loro esempio possa scuotere coscienze ormai annebbiate da pressapochismo, improvvisazione e negligenza. Sono personalità che con la loro vita e con il loro sacrificio hanno mostrato che tipo di religiosità bisognerebbe incarnare e che è quella che si sostanzia nell’essere “facchini della carità”, espressione che fu anche assegnata a don Oreste Benzi.
Se Biagio Conte è un’icona della fratellanza universale e Giorgio La Pira è l’infaticabile e strenuo difensore della “povera gente”, don Lorenzo Milani è un esempio luminoso di come il servizio presbiterale dovrebbe svilupparsi evitando ogni limite che ne potesse limitare quella libertà di cui i figli di Dio godono e che spesso la miopia e la pochezza intende distruggere.
– Di recente, la rivista ha pubblicato un numero monografico sul sinodo nella Chiesa cattolica ancora in corso. Quale riflessioni avete proposto su questo rilevante tema ecclesiale?
Da tempo la rivista si è occupata del Sinodo. I saggi di don G. Ruggieri, di L. Oviedo ofm, di C. Militello e R. Torti hanno anticipato quello che sta per celebrarsi. E non ultimo è da ricordare il numero monografico – il n. 33, n.2/2023 – interamente dedicato al Sinodo con saggi di F. De Giorgi, Cettina Militello, Domenico Marrone, Piero Antonio Carnemolla, Giuseppe Tartamella e Donata Horak.
Vi è ancora molto da dire specialmente su temi scottanti come quelli del celibato ecclesiastico, della formazione presbiterale, di una maggiore democratizzazione ed effettiva partecipazione dei laici alla vita della chiesa in tutti gli ambiti in cui hanno una specifica competenza e vocazione, l’ordinazione – presbiterale o diaconale – e il pieno riconoscimento della presenza delle donne nelle diverse comunità in cui operano, l’istituzione del diaconato laico con funzioni vicariali (si teme forse l’operatività dei viri probati?), la ridefinizione del sacramento della riconciliazione, ma anche la difficile problematica rinveniente dalla cosiddetta relazione queer, oltre alla revisione e al superamento di alcuni canoni del diritto canonico non più rispondenti al sentire comune del cristiano del XXI secolo.
Ma anche la liturgia non è esente da interventi strutturali. È stato notato che in essa vi è un “carico misterico” ritenuto essenziale per la fede. Ma questo metodo è veramente e generalmente accettato e praticato? Un’ultima riflessione. Sul tema “cultura” il recente documento della CEI sul Sinodo – quello della chiesa italiana che dovrebbe concludersi nel 2025 – ha dedicato un piccolo paragrafo al tema della “cultura”. Si dice che la Chiesa non deve rinunciare alla cultura – grande scoperta! – ma poi non si indicano mezzi per la sua diffusione rimanendo tutto nel limbo delle buone intenzioni.
– Negli ultimi tempi, molte riviste hanno cessato le pubblicazioni per mancanza di fondi e di sostegno da parte della comunità accademica e culturale. In tal modo, anche nella Chiesa, vengono a mancare luoghi di formazione un tempo ritenuti insostituibili. Quali percorsi intraprendere per continuare ad alimentare la formazione e la cultura?
La chiesa è stata sempre luogo di formazione delle coscienze. L’oratorio, la parrocchia e le svariate forme associative hanno permesso di fornire ai volenterosi un bagaglio culturale rispondente alle esigenze del tempo. Oggi queste strutture anche se ancora malamente operanti, non sono sufficienti. Bisogna investire in cultura, e i fondi utili a questo fine si troveranno solo se si è convinti della sua ormai improcrastinabile necessità.
È venuto il tempo in cui non si può esprimere la propria fede con feste, festini, luminarie, processioni e riti religiosi fastosi e teatrali. Bisogna che si intervenga costruendo una pastoralità di sostanza e non d’immagine. Tutto questo, o solo questo, non basta per educare e far crescere un laicato all’altezza del tempo presente.
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