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Lo spot che smaschera le illusioni ottiche del politically correct

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Il video della discordia

Ha suscitato un vespaio di polemiche lo spot pubblicitario di una nota catena di supermercati in cui molti hanno visto una colpevolizzazione delle coppie separate e una difesa ideologica della famiglia tradizionale, in contrasto con altri che invece l’hanno apprezzato e difeso.

È opportuno, prima di tutto, spiegare di cosa parliamo. Si tratta di un piccolo cortometraggio, di due minuti, di cui è protagonista una bambina. Nella prima scena, all’interno di un supermercato, la mamma la cerca preoccupata e poi la trova vicino al banco della frutta. «Vuoi una pesca? Potevi dirlo», la rimprovera. Poi tornano a casa e la madre, in macchina, cerca di parlare con la bambina, che però è visibilmente assorta e triste.

Nella scena successiva suonano alla porta. Si capisce che è venuto il padre a prenderla, perché i genitori sono separati. La bambina entra nell’auto, esce la pesca dallo zainetto e la porge al padre con un sorriso: «Te la manda la mamma».

Sembra passato un secolo dai caroselli che presentavano un’immagine idilliaca della famiglia, come quella proverbiale de «Il Mulino bianco». L’idea dello spot è piuttosto di rappresentare quella reale, che abbiamo tutti sotto gli occhi, con tanti genitori separati o divorziati e i figli che fanno la spola tra il papà e la mamma.

Ma è proprio questo che ha suscitato accese discussioni sui social e ha avuto perfino una ricaduta a livello politico. Tra i primi a puntare il dito contro la pubblicità, l’account «Aesteticasovietica», che ha commentato: «Ma è il nuovo spot o un’enciclica contro il divorzio?» e ha accusato lo spot di scatenare un «feroce disumano, giudicante senso di colpa» nei genitori separati. «La tossicità di questa narrazione», secondo l’account, «consiste nel considerare come necessariamente drammatica una separazione che invece molto spesso coincide con una liberazione».

Sulla stessa linea un altro blog “alternativo” molto seguito, «Mammadimerda», secondo cui il video «in un solo colpo rinforza sensi di colpa e stigmatizza divorzio e figli di divorziati», mentre i tempi sono maturi per «scindere il concetto di coppia da quello di famiglia e quello di famiglia dalla genitorialità».

Di parere opposto lo psicoterapeuta Alberto Pellai: «La pesca che la bambina dona al suo papà, dicendo che gliel’ha data la mamma, è un’onda che arriva e travolge noi adulti perché ci mostra che nessun bambino è mai felice quando due genitori si separano. E questa è l’unica verità di cui dobbiamo diventare consapevoli. Questo spot ce la racconta. E ce la racconta bene. Non stigmatizza, non condanna, non colpevolizza, al contrario fa ciò di cui tutti i bambini hanno bisogno quando due genitori si separano: responsabilizza gli adulti. Forse per questo è così divisiva e perturbante».

Voci isolate di persone che non hanno altro a cui pensare, dirà qualcuno. E invece no. La discussione sullo spot si è scatenata sui social e ha diviso l’opinione pubblica, trovando una risonanza anche a livello politico.

È intervenuta addirittura la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ha definito il video «molto bello e toccante». Poi è stata la volta del vice-premier, Matteo Salvini, che lo ha considerato «uno splendido messaggio di Amore e Famiglia».

Da parte loro, invece, non hanno risparmiato critiche gli esponenti della Sinistra: «Mi sembra davvero sbagliato, in questo e in altri casi, mettere in mezzo la sofferenza dei bambini su temi delicati per scopi commerciali», ha scritto Pier Luigi Bersani su Twitter.

All’apprezzamento della premier ha reagito, da parte sua, l’esponente di Sinistra italiana Nicola Fratoianni: «Presidente Giorgia Meloni, vedo che commenta lo spot di una nota catena di supermercati ma che non dice nemmeno una parola sul carrello della spesa di milioni italiani, separati e non. Per loro anche una pesca rischia di diventare un lusso. L’Italia attende risposte».

Davanti a questa inattesa risonanza, la catena dei supermercati che ha commissionato la pubblicità ha preso le distanze da ogni interpretazione ideologica. «Con il film “La Pesca”» – ha chiarito un comunicato del gruppo – «si è voluto porre l’accento sull’importanza della spesa, che non viene vista solo come un acquisto, ma descritta come qualcosa che ha un valore più ampio».

Una “filosofia” che nasconde qualcosa

Forse è il caso di dire subito che la sorpresa e perfino l’irritazione di alcuni, di fronte a tante discussioni su una banale pubblicità, non tengono conto che, da sempre, i messaggi commerciali veicolano spesso, senza che gli utenti se ne rendano conto, un modo di vedere la vita e la realtà destinati ad influenzarli.

Le immagini, gli slogan, anche quando sembrano riguardare solo dei prodotti, non sono innocenti. Sono studiati da esperti in modo da toccare zone inconsce della psiche umana, influenzandola ben al di là dell’obiettivo immediato del singolo acquisto. Dietro molti messaggi di cui siamo oggi giorno destinatari, fin dalla più tenera infanzia, c’è una “filosofia”.

Che una volta tanto – ma dovrebbe capitare più spesso – se ne stia prendendo coscienza e discutendo apertamente, dipende forse dal fatto che si tratta, questa volta, di una provocazione che è in contrasto con quella del politically correct dominante.

Nei nostri spot pubblicitari, ma anche nel cinema e nelle serie televisive, il grande protagonista è ormai da tempo il single, legato a un partner da un rapporto opzionale e non vincolante, in nome di una libertà che ha orrore per i legami definitivi: «Stiamo insieme finché stiamo bene insieme». E così saremo tutti felici e contenti.

Questa immagine rassicurante nasconde in realtà alcune verità scomode. Prima fra tutte quella che ogni nostra scelta, anche la più personale, ricade sempre su qualcun altro. Non è vero, come si sente ripetere, che «la libertà di ciascuno finisce dove comincia quella degli altri», come se ci fosse un confine al di qua del quale a ognuno è permesso di fare ciò che vuole senza dovere rispondere a nessuno.

Quella immagine spaziale è illusoria. Il confine non esiste. Nella realtà un professionista che si lascia andare e non crede più nel suo lavoro, non si aggiorna, non si impegna; un padre che trascura la famiglia perché si lascia monopolizzare dalla sua professione; un figlio che si droga o, peggio, si uccide, incidono pesantemente, con le loro scelte – che sono personalissime! – , su coloro che stanno intorno a loro. La libertà è sempre anche responsabilità.

E questo vale innanzi tutto nei rapporti familiari. Presentare la coppia o la convivenza come l’incontro tra due single che, attraverso il rapporto, cercano la propria realizzazione personale – salvo a cambiare partner se la trovano in un’altra soluzione – nasconde il fatto che attraverso questo incontro nasce qualcosa di più della pura somma di due individui, che è la famiglia.

Di questa irriducibilità della comunità familiare ai single che la costituiscono e alle loro mutevoli preferenze è segno evidente la presenza dei figli e la responsabilità genitoriale. Qui il legame, lo si voglia o no, è indissolubile. A un figlio non si può dire che «si sta insieme finché si sta bene insieme». E forse anche da questo nasce, oggi, la tendenza, nel nostro paese (e proprio nelle regioni più ricche), a non farne più.

Una “liberazione” per i figli?

Perciò, nella logica del politically correct, si deve anche nascondere che la scelta di rompere un legame di coppia non riguarda soltanto i coniugi o i compagni, ma ricade sulla pelle dei loro figli, che non possono difendersi.

A questo scopo, ci si sforza di sottolineare che non bisogna «considerare come necessariamente drammatica una separazione che invece molto spesso coincide con una liberazione». Come scrive anche Gramellini sul «Corriere della sera»: «Molte coppie divorziano proprio per evitare che i figli crescano tra le tensioni». Insomma, è per il loro bene.

Dimenticando di aggiungere che è proprio la “filosofia” del single, con la sua logica autocentrata, che porta sempre più frequentemente a esasperare e drammatizzare queste tensioni – da sempre inevitabili in una comunità come quella familiare (ma anche in tute le altre vere comunità) – e a renderle decisive per una rottura definitiva.

In realtà, i teorici della nonviolenza spiegano che i conflitti, se correttamente gestiti, sono fisiologici e possono costituire occasione di crescita e di accettazione reciproca. Solo se degenerano in violenza, fisica o psicologica, diventano un motivo per eliminare l’altro – fisicamente o moralmente – dalla propria vita. Ma questo dipende molto dal modo di affrontarli e di viverli.

La crisi che porta alla rottura di una famiglia non è un destino inesorabile, ma il frutto di atteggiamenti e di scelte che hanno un margine di libertà. Senza mai dimenticare che le loro conseguenze non riguardano solo coloro che li fanno propri, ma ricadono sui più deboli.

Il video pubblicitario, involontariamente (era fatto per il mercato), mette in luce questa scomoda verità. Quello che non si capisce è perché essa sia “di destra” e come tale venga attaccata dalla “sinistra”.

È noto che tanto Fratelli d’Italia quanto la Lega hanno sempre sbandierato la loro fedeltà al valore della famiglia (Forza Italia, dato l’esempio del comportamento sessuale del suo fondatore, non ne ha avuto il coraggio). Ma è significativo che Giorgia Meloni non si sia mai voluta sposare e Salvini sia divorziato, passando da una compagna all’altra. È questo il modello? E poi di quali famiglie si tratta? Solo di quelle italiane? E quelle che vengono lasciate annegare nel Mediterraneo, oppure vengono relegate in centri di accoglienza disumani, dove ogni intimità familiare viene cancellata?

Reciprocamente, è davvero sorprendente che l’alternativa proposta dalla sinistra – evidenziata anche dalle proteste nei confronti dello spot – sia un individualismo che, in nome della rivendicazione indiscriminata dei diritti, mette in ombra il tema delle responsabilità. Questa è la tradizione liberal-radicale, non quella socialista e neppure quella cattolica, le due anime da cui era noto il PD.

Forse oggi i democratici, prima di contare le loro preferenze nei sondaggi, dovrebbero decidere quale deve essere la loro. Magari ripensando seriamente al proprio modo di concepire la libertà e il suo ruolo rispetto alle comunità, prima fra tutte quella familiare. Per evitare che sia uno spot pubblicitario a far saltar fuori il problema.

 

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