di Giuseppe Savagnone
La maggior parte di noi pensa che oggi la società sia divenuta troppo materialista. Si tratta di un’illusione ottica. È vero il contrario: noi rischiamo di mettere tra parentesi la materia.
Capisco che la mia affermazione possa suonare strana ai più. Mi sforzerò di dimostrarne la fondatezza. Comincio dal dato più evidente: l’avvento della cosiddetta “realtà virtuale”. Cinema, televisione, internet, ci hanno abituato a immagini, suoni – ormai, grazie ad alcune tecnologie più avanzate, anche percezioni tattili e odori – , che simulano perfettamente quelli che siamo abituati a considerare “reali” nella nostra vita quotidiana.
È una rivoluzione. In passato era possibile, con i nostri strumenti – per esempio la scrittura – riprodurre il mondo, ma senza mai cancellare la differenza tra lo strumento stesso e ciò a cui esso si riferiva. La descrizione di un paesaggio o di una battaglia, in un romanzo, mirava a suscitare nel lettore le immagini corrispondenti, ma non pretendeva di sostituirsi a ciò che descriveva, perché nessuno avrebbe potuto scambiare le frasi, di cui era costituita la narrazione, col suo oggetto. La novità radicale introdotta dalla realtà virtuale è che in essa, invece, lo strumento riesce a riprodurre il mondo eliminando la propria distanza da esso e ponendosi, per così dire, al suo posto. Chi vede quelle immagini e sente quei suoni non ha bisogno, come avviene invece nella lettura, di fare uno sforzo per risalire a ciò che effettivamente esiste, perché essi lo simulano così perfettamente da renderlo superfluo. Il famoso film Matrix ha efficacemente descritto un ipotetica società dove gli esseri umani vivono solo virtualmente, muovendosi in un ambiente che esiste solo negli stimoli prodotti da un potentissimo computer sui loro cervelli, mentre essi sono immersi in una specie di sonno.
Il virtuale è sicuramente una conquista e nessuno di noi vorrebbe tornare indietro e rinunziarvi. Però bisogna avere chiari anche i pericoli, per potersene guardare. Il più evidente è quello segnalato proprio in Matrix: vivere in un mondo illusorio costruito appositamente da chi ha interesse a controllare le nostre menti. Così, molti oggi sono coinvolti da un’attualità che è quella trasmessa dalle televisioni, senza rendersi conto che le immagini e i racconti a cui assistono sono solo frutto di una scelta che seleziona arbitrariamente l’immensa mole dei fatti quotidiani e orienta la loro attenzione e il loro giudizio.
Ma è anche la natura del coinvolgimento che è cambiata. La realtà virtuale ci abitua ad essere spettatori. La parola “schermo” indica sia la superficie su cui si delineano le immagini della Tv o del computer, sia un filtro, una difesa (come quando si dice, per es., “farsi schermo con mani”). Nella realtà virtuale i due significati sono strettamente uniti. Lo schermo ci mette in comunicazione con il mondo, ma, al tempo stesso, ci difende da esso. Se una persona, la sera, trovasse nel soggiorno di casa sua dei cadaveri, degli uomini feriti che sanguinano e urlano, dei bambini in fin di vita per la fame, ne resterebbe traumatizzata per tutta la vita; ma quando questa persona vede le stesse cose tremende in televisione, o su Internet, non ha problemi a continuare tranquillamente la cena, magari lamentandosi perché la minestra è troppo salata. La realtà virtuale anestetizza. Rende curiosi di tutto, senza che dobbiamo rispondere di nulla. Invece che protagonisti, spettatori.
Lasciamo la realtà virtuale e guadiamo ad altri mezzi di comunicazione. La diffusione dei cellulari, per esempio, ci permette di essere in contatto con tutti. Certo, quello che si crea è un rapporto molto diverso da quello che si ha con una persona. Ma non si deve minimizzare il grande vantaggio che questa potenzialità di comunicare, in qualunque momento e con chiunque, rappresenta. Anche qua, però, ci sono dei pericoli da evitare.
Il più evidente è quello di abituarsi a sostituire il rapporto artificiale del telefonino con quello fisico. Un pericolo che deriva anche dall’invasività dei nuovi mezzi, capaci di interrompere con le loro chiassose suonerie un colloquio intimo, una cerimonia religiosa, una riunione delicata. I vantaggi possono diventare, allora, degli inconvenienti. Per esempio, quello di eludere sempre di più la presenza, a volte imbarazzante, dell’altro, nella sua concreta corporeità, distanziandolo e riducendolo a una voce.
Si pone sulla linea di questa eclisse della fisicità nella nostra società la liquidazione dei “sessi” – dato biologico – in nome dei “generi”, frutto di scelte culturali. La connotazione morfologica del corpo di un individuo sembra essere diventata irrilevante. Quel che conta è un dato del tutto immateriale, qual è “l’orientamento sessuale”. La struttura fisica viene messa tra parentesi e, all’occorrenza, opportunamente modificata con delle operazioni chirurgiche. E, in questa logica, si dichiara irrilevante la differenza tra uomo e donna e, rispetto ai figli, tra padre e madre.
Vittorie dello spirito sulla materia? Se fosse così, sarebbero comunque delle vittorie di Pirro. Gli esseri umani non possano svincolarsi dalla loro fisicità e camuffarsi da puri spiriti senza perdere qualcosa. Peggio: senza tradire la stessa dimensione spirituale. Perché, come scriveva Pascal, «l’uomo non è né angelo né bestia, e disgrazia vuole che chi vuol fare l’angelo fa la bestia».
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