Il significato e i limiti di una proposta
L’intervista in cui il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha presentato il suo progetto di riforma della scuola, nella fascia dai 3 a 14 anni, ha suscitato vivaci reazioni di segno opposto.
Prima di entrare nel merito è il caso, però di chiarire quello che in molti interventi giornalistici non è stato rilevato, dando luogo, come spesso purtroppo accade, a un’informazione confusa e distorta.
Molti titoli parlano di «nuovi programmi», che dovrebbero entrare in vigore a partire dall’anno scolastico 2026-2027. In realtà, in base al principio dell’autonomia, i programmi dovranno farli le scuole.
Quelle che il ministro ha illustrato sono solo le «linee guida», in base a cui esse dovranno elaborarli, secondo la loro discrezionalità. Così, per esempio, quella che vedremo essere una delle innovazioni più discusse, la reintroduzione del latino alle medie, è solo facoltativa e dipenderà dai singoli istituti la scelta. Saranno loro, non il ministro, a fare effettivamente la riforma.
Questo, però, significa anche che essa non si può affidare solo a progetti culturali proposti dall’alto, la cui realizzazione sarà comunque condizionata dalle gravi carenze strutturali di un sistema scolastico che, per fare solo un esempio, paga i suoi insegnanti la metà dei loro colleghi tedeschi e comunque molto meno della maggior parte dei paesi europei.
Ma cambiare davvero le cose a questo livello sarebbero necessari degli investimenti che il nostro attuale governo, preso da altre priorità, non sembra avere alcuna intenzione di fare.
Una seconda precisazione importante riguarda il fatto che quella del ministro è solo una proposta che, entro la fine di marzo 2025, sarà sottoposta a un confronto pubblico, coinvolgendo scuole, associazioni e corpi intermedi, prima della sua entrata in vigore.
Vi è dunque lo spazio per un confronto che dovrebbe coinvolgere l’intera società, troppo spesso molto distratta sui temi riguardanti la scuola, come se dalla riuscita del suo compito educativo nei confronti delle nuove generazioni non dipendesse il nostro futuro – così come dal suo evidente fallimento, in questi ultimi decenni, dipendono molti dei guai del nostro presente.
Un coro di critiche
Detto ciò, i punti della proposta del ministro che hanno suscitato le più accese polemiche sono: la reintroduzione dell’insegnamento facoltativo del latino nella scuola media, l’introduzione di quello della Bibbia – nel contesto di un accostamento al mondo della mitologia greco-romana e nordica – nella primaria e l’introduzione, al posto della geo-storia (sintesi di storia e geografia, attuata dal ministro Germini), di una «grande narrazione» che privilegi «la storia d’Italia, dell’Europa, dell’Occidente».
Molte le critiche. «Bibbia, storia italica e latino alle medie: la scuola sovranista», è stato il titolo del «Manifesto». E sotto: «La scuola come un “Piccolo mondo antico” per la destra reazionaria al governo». «Questa riforma Valditara non ascolta i nostri giovani», ha titolato «Repubblica».
Sui social si sono riversati messaggi sarcastici: «Nella scuola pubblica torna il latino alle medie e lettura della Bibbia, poi una specializzazione a scelta tra assalto alla diligenza, rabdomanzia e caccia alle streghe». E ancora: «Invece di potenziare le materie scientifiche, concentrarsi sull’educazione digitale, lavorare per ridurre le ripetizioni che portano a rifare gli stessi argomenti a ogni ciclo scolastico, Valditara pensa di reintrodurre il latino e le poesie a memoria. Salvate la scuola!».
Aspramente negative anche le reazioni provenienti dal movimento studentesco: «L’introduzione dello studio della Bibbia nel programma è una chiara scelta politica in linea con le idee reazionarie e conservatrici del governo, che si prova a nascondere con la scusa dello studio delle “radici della cultura italiana” che sappiamo invece essere molto più ampia», ha commentato Tommaso Martelli, coordinatore nazionale dell’Unione degli Studenti.
Ma a pronunziarsi duramente sono stati anche esponenti del mondo politico, in particolare dell’opposizione. Così così gli esponenti del M5S in commissione cultura alla Camera e al Senato: «Questo ministro continua a perpetrare una visione retrograda dell’istituzione scolastica, che anziché accompagnare gli studenti nel nuovo millennio sembra proiettarli direttamente agli anni ’50. Saremo al fianco degli studenti e dell’intera comunità scolastica contro il progetto di riportare la scuola indietro di ottant’anni»
E la deputata del Partito Democratico Ilenia Malavasi ha dichiarato a Euractiv che le proposte l’hanno sconvolta e avvilita. Le ha descritte come una concezione dell’istruzione obsoleta e ripiegata su se stessa e ha accusato il governo di usare il sistema scolastico come «strumento di controllo di massa».
Quasi a confermare le accuse di una deriva retorica sovranista è arrivata la dichiarazione di Alessandro Amorese, capogruppo di FdI in commissione Cultura e Istruzione alla Camera: «Grazie al governo Meloni i nostri studenti avranno così l’occasione di riscoprire quell’immenso patrimonio letterario e culturale che ha reso la nostra Nazione grande, celebre e soprattutto fonte di ispirazione in tutto il mondo: un patrimonio ed una identità più forti di qualsiasi deriva woke».
I lati positivi e quello negativo della proposta
Ma, a mettere in guardia dal ricadere nella consueta contrapposizione destra-sinistra, sono state valutazioni positive provenienti anche da voci non sospette, come quella di Luciano Canfora che, su «La Stampa», ha spiegato di essere d’accordo sulla reintroduzione del latino e l’eliminazione della geo-storia: «Il latino serve, come scriveva Antonio Gramsci nei Quaderni del carcere, per imparare a studiare. Una stupidaggine considerarlo ‘di destra’». Quanto alla geo-storia, per il noto studioso essa è solo un «mostro creato dalla ministra Gelmini: geografia è sacra ma deve essere una materia distinta e altrettanto lo deve essere la storia».
Quanto all’inserimento della Bibbia tra i poemi classici, la cui conoscenza può contribuire alla formazione di un giovane, è chiaro che qui non è in gioco una questione di fede, ma semplicemente l’acquisizione di un patrimonio culturale che è stato fondamentale per la nostra civiltà e in mancanza del quale è impossibile capire il contenuto dei nove decimi delle opere d’arte dei nostri musei.
Soprattutto, però, non vanno dimenticati gli aspetti più importanti della proposta di Valditara, che sono stati oscurati dalle polemiche dei critici. Uno dei punti focali della riforma è il miglioramento delle competenze linguistiche degli studenti delle elementari e medie a partire da una maggiore valorizzazione della letteratura e della grammatica.
Da qui l’introduzione della lettura di testi letterari fin dalla scuola primaria: «L’insegnamento della letteratura sin dalla prima elementare, in modalità adeguata alla giovane età degli studenti», ha detto il ministro, «deve far sì che gli allievi prendano gusto alla lettura e imparino a scrivere bene. Si è scelto di rafforzare l’abilità di scrittura che è quella più in crisi delle abilità linguistiche».
Su questa linea anche la valorizzazione dello studio della grammatica: «E’ importante trasmettere all’allievo, fin dall’inizio, la consapevolezza del valore della correttezza linguistica e formale, dell’ordine e della chiarezza nella comunicazione».
Peraltro, il contatto con i libri – abituando alla lettura fin da piccoli ragazzi che ormai sono abituati a comunicare solo attraverso il cellulare – serve non solo a curare la capacità di scrivere, ma anche quella di leggere e capire i testi.
Oggi, secondo gli ultimi rapporti, il 35% degli italiani adulti (tra i 16 e i 65 anni) sono incapaci di comprendere una frase scritta in modo breve e semplice.
Affrontare questa deriva è compito della scuola e che essa finalmente se ne faccia carico, dopo una lunga latitanza, non è una innovazione “di destra” e tanto meno “conservatrice”, anzi, ponendo le basi per una cittadinanza più consapevole e più capace di valutazioni critiche, non può che favorire future dinamiche di progresso sociale e civile.
Più che opportuno anche il proposito di rivalutare l’apprendimento di poesie a memoria, per potenziare una facoltà oggi quasi atrofizzata, e quello di avvicinare i bambini, fin dalla prima elementare, alla musica.
L’aspetto gravemente negativo della proposta di Valditara è, invece, l’enfasi sul carattere nazionale, europeo ed occidentale che l’insegnamento della storia dovrebbe avere, come se essere pienamente italiani, europei ed occidentali escludesse l’essere cittadini del mondo.
Qui sì siamo davanti a una prospettiva che confonde l’identità di un popolo con il suo isolarsi e contrapporsi agli altri, almeno a quelli che hanno una cultura e una pelle diversa. Già questo è un grave limite della riforma.
Se poi questo dovesse l’orizzonte complessivo della sua realizzazione pratica, in linea con le parole dell’on. Amorese – come fanno temere le tendenze del nostro governo e dei partiti che lo sostengono – , quanto di buono contiene sarebbe evidentemente sciupato.
Ma qual è la cultura che sta dietro tante proteste?
Non si può, però, esibire questo limite, per quanto grave, per spiegare le proteste dell’opposizione. È allarmante che molte di esse abbiano finito, per ricalcare, paradossalmente, la logica della destra al tempo di Berlusconi, secondo cui la scuola doveva basarsi su tre “i”: «inglese, impresa, informatica».
Una impostazione funzionale al mercato, e non alle persone, attuale solo in una logica neocapitalistica, non in quella umana. Il progetto di Valditara costituisce un’alternativa umanistica a quella visione, che purtroppo è sempre più dominante nel mondo occidentale e ne condiziona i sistemi educativi.
E che l’opposizione ne abbia ripreso gli slogan falsamente “progressisti” è solo una conferma della sua difficoltà ad avere una prospettiva culturale veramente “rivoluzionaria”.
Che il governo di cui il ministro fa parte non rispecchi affatto una logica umanistica e violi sistematicamente i princìpi di rispetto delle persone – dai migranti, ai civili palestinesi, agli italiani poveri – è sotto gli occhi di tutti. Ma non è un buon motivo per condannare in blocco una riforma che, se fosse modificata seriamente nella parte riguardante lo studio della storia, potrebbe creare le premesse per il superamento, almeno parziale, della profonda crisi culturale del nostro paese e, forse, creare in futuro le condizioni per la sua rinascita politica.
Una lettura equilibrata e razionale lontana dalle isTerie faziose che non fanno crescere il dibattito democratico nel nostro Paese. Condivido e sottoscrivo, fin nelle virgole.
Otiimo scritto sarebbe augura ile che tutti potessero contribuire al ritorno della giusta e visione culturale in seno allascuola aprendo un dialogo sui dati da svolgere nel tempo. Si dovrebbe eliminare lo scontato discorso politico della OPPOSIZIONE a qualsiasi costo Fulvia Reyes Petrotta
Condivido ogni pensiero da te espresso. Frutto di una incancellabile e apprezzata esperienza. Non sempre il ritorno al passato, se è migliore del presente, significa tornare indietro, così come andare verso il nuovo è sempre un bene. La scuola non deve riempire recipienti ma formare persone!
Condivido pienamente. Sono stato insegnante e responsabile culturale per tantissimi anni. Storia, Geografia,Latino e Musica dovrebbero essere considerati mezzi primari, con lo specifico e il collegamento tra materie, ora che abbiamo forte il supporto informatico. La Bibbia sarebbe un ottimo pretesto di informazione non fideistica ma cognitiva. Non è un ritorno ad un passato sovranista, ma il contrario.
Sono insegnante e vedo nella proposta del ministro l’ anelito a fare qualcosa di buono per gli studenti e soprattutto x la democrazia.
Il pensiero personale libero e critico è la skill fondamentale più di qualsiasi competenza informatica
Il dibattito sui contenuti anche apprezzabili delle novità culturali, legate alla riforma proposta, rischia di oscurare un problema di fondo: il tentativo di ridurre tutto il ciclo della scuola superiore a 4 anni e l’ ingresso dei docenti aziendali negli istituti tecnici con l’ulteriore aumento delle ore di alternanza scuola-lavoro e la notevole compressione degli insegnamenti disciplinari.Queste ultime novita,purtroppo, non sono contenute in linee guida ma sono inserite in proposte legislative depositate in Parlamento e decreti già convertiti in legge. Qual è la coerenza di questa svolta culturale?