di Giorgio Campanini
Individualismo esasperato e via (reazionaria) al passato. Uno dei paradossi del dibattito politico italiano di questi mesi è rappresentato dalla collocazione dei vari soggetti politici – e delle corrispondenti posizioni di pensiero – in ordine al problema dell’omosessualità (e, conseguentemente, delle eventuali scelte legislative che ne derivino per il Parlamento).
Pressoché coralmente – a parte alcune, pur notevoli, eccezioni – le prese di posizione a favore degli omosessuali e dei loro (veri o presunti) diritti accomunano la ‘sinistra’; e, analogamente, viene considerata ‘di destra’ la linea seguita da quanti – pur riconoscendo l’opportunità di regolare alcune situazioni di fatto – si oppongono al «matrimonio gay», all’«utero in affitto » e così via. Nulla di più assurdo, a ben guardare.
La biologia ci insegna che l’auto-riproduzione, l’auto-referenzialità è stata caratteristica delle prime specie viventi e che soltanto la diversificazione sessuale latamente intesa (perché essa riguarda anche le piante e tutte le specie in senso lato ‘anima-li’, dalle più piccole alle più evolute) ha assicurato l’evoluzione della specie e dunque il progresso. L’auto-riproduzione è la staticità; la etero-riproduzione è il dinamismo, il cambiamento e (se si vuole usare questa un poco ambigua parola) il ‘progresso’. Dal punto di vista del cammino di tutti gli esseri viventi il passaggio dalla auto-riproduzione alla differenziazione sessuale è un decisivo passo in avanti. In questo senso l’omosessualità, a parte la sua ineliminabile infecondità, è un ritorno al passato, non un’apertura al futuro, non è il progresso ma, in senso proprio, la ‘reazione’.
Perché dunque questa impropria e paradossale inversione di ruoli fra la destra (conservazione) e la sinistra (progresso)? È, questo, un interrogativo al quale si sarebbe tentati di rispondere ricorrendo al successo e alla fortuna delle ‘mode culturali’, talché oggi ‘essere gay’ è di moda (anche se, nella pratica, quanti nelle piazze chiedono l’equiparazione delle relazioni omosessuali a quelle eterosessuali si guardano bene dall’applicare questa posizione di pensiero alla loro vita privata).
La ragione fondamentale di questo paradosso è rappresentata dall’appropriazione che la ‘sinistra’ ha fatto dei diritti individuali, così interpretando – ma assai maldestramente – i diritti dell’uomo, che sono strutturalmente sociali, perché non riguardano il singolo individuo autosufficiente ma l’uomo in relazione, e dunque la persona umana. Il riconoscimento assoluto dei diritti dei singoli finisce, dunque, per oscurare la persona come essere in relazione, a partire dalla sua forma fondamentale e originaria, il rapporto uomo-donna.
Coloro che, nelle piazze, fanno propria la posizione di chi sostiene la necessità dell’equiparazione fra relazioni omo ed eterosessuali, dunque, si pongono – in parte anche inconsapevolmente – dalla parte di quella esasperata cultura individualistica che, assolutizzando i veri o presunti diritti del singolo (sino all’uso mercificato della donna a fini di gratificazione personale di altri soggetti), finisce per oscurare i diritti sociali. Non ci si rende conto – ed è questo un grave limite della ‘sinistra’ italiana, e non soltanto di essa – che in questo modo si fa proprio un assunto fondamentale di tutte le politiche di destra, e cioè il primato delle pulsioni individuali rispetto agli obblighi sociali.
È giunto il tempo, dunque, di superare antichi schemi – come, appunto, qualificare impropriamente ‘di destra’ o ‘di sinistra’ le posizioni assunte in ordine alle questione dei ‘matrimoni gay’ e dintorni – per cogliere il vero centro del problema: quello di garantire un giusto equilibrio fra diritti (e doveri) individuali e diritti (e doveri) sociali; nessun uomo è un’isola.
da “Avvenire”, 17 febbraio 2016
{jcomments on}
Lascia un commento