di M. Gloria Calì
C’è una maestra. O forse dei bambini… o una professoressa e dei ragazzi. Poco importa, perché la protagonista del discorso è sempre la scuola. La scuola è un luogo, un edificio, ma anche un’istituzione; in entrambi i significati con cui si voglia usare il termine, il suo sinonimo più vicino è “relazione”.
Per gli insegnanti, la scuola non è solo un posto di lavoro, è essenzialmente uno spazio di incontro/scontro, di realizzazione/frustrazione, di successi/delusioni; in sintesi, è un ambiente in cui ciascuno è se stesso solo se fa parte della comunità: un insegnante di matematica, che lo voglia o no, deve definirsi in base al ruolo del collega di italiano, la maestra si identifica nella gestione del rapporto con la collega di corso o con quella del corso accanto (“più brava”… “più severa”… “meno precisa”…). La stessa terminologia degli organi funzionali dell’istituzione scolastica fa riferimento a questa rete di rapporti: “collegio”, “consiglio di classe”… tutto si tiene insieme attraverso fili di relazioni, e tanto più queste relazioni sono positive e funzionanti, tanto meglio funziona il tutto.
E gli alunni? Credo proprio che l’interesse per i processi di apprendimento, nella motivazione per cui gli alunni amano la mattina la campanella dell’entrata, sia assolutamente secondario; a loro piace sapere che staranno tutti insieme, magari anche con un insegnante particolarmente simpatico o stimolante, sicuramente con altri coetanei con cui si condividono età, dolori, gusti, desideri.
Senza contare tutto ciò che sta “oltre” i cancelli delle scuole: dalle chiacchiere delle mamme casalinghe, che si fermano a prendere il caffè dopo aver lasciato i figli, ai gruppi su What’s App per scambiarsi i compiti il pomeriggio, a Facebook… fino alle feste dei diciottenni.
Un universo di relazioni che a scuola nascono e si nutrono, fuori dalla scuola vivono o muoiono, ma comunque hanno lasciato una traccia nei singoli esseri umani, un patrimonio di potenzialità educative e formative non solo per gli alunni, ma anche per gli insegnanti, e che questi dovrebbero tutelare e valorizzare.
Se solo noi docenti riuscissimo a guardare oltre le innegabili difficoltà contrattuali e le opprimenti frustrazioni professionali, ci renderemmo conto che la scuola è un contesto di lavoro privilegiato, in cui uomini e donne, di varia età e istruzione, si trovano insieme per innescare processi di miglioramento reciproco. La differenziazione delle competenze e le diversità di stili tra gli adulti dovrebbero arricchire l’offerta educativa e formativa verso gli alunni, i quali, a loro volta, semplicemente stando lì, nei loro banchi, aspettandosi da noi qualcosa che li faccia sentire rispettati e dignitosi, ci offrono l’opportunità di dare il meglio di noi stessi.
In ogni mestiere esercitato onestamente c’è indubbiamente un intrinseco valore etico, sia perché esso consente ad un individuo di esprimere le qualità proprie e di avere un ruolo in una società, sia perché permette ad un nucleo familiare di avere un oggi sereno e un domani speranzoso; nel mestiere dell’insegnante c’è una responsabilità aggiuntiva, poiché la sua attività lavorativa inizia e finisce ogni giorno sulla vita di altre persone, che gli vengono affidate affinché, dopo essere state con loro a scuola, diventino migliori.
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