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Ancora sulle adozioni omoparentali. Una replica

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di Girolamo Lo Verso

 

 

   Per intanto, ringrazio Luciano Sesta per l’interesse rivolto al nostro documento. Sono d’accordo per un confronto sereno e rispettoso, che non esclude le punte polemiche su un tema che è, in primo luogo, profondamente emotivo a livello individuale ed antropologico. Poi è anche scientifico, etico, politico. Per questo e per approfondire il dibattito, magari fatto in futuro in maniera più organizzata, invio anche a due impegnati politici che conosco da molto, cattolici e favorevoli alla legge, ad alcuni miei allievi, anch’essi cattolici, a due direttori di riviste. Ogni tanto mi viene chiesto come mai io, di antiche tradizioni talmente laiche da essere, spero, rispettoso e sereno, abbia molti allievi così credenti.

 

 

   Ci rispondiamo che la comune scelta etica ed antimafia (che condividiamo con Augusto Cavadi) ci unisce in un’epoca dove andiamo male a proposito di principi ed etica. Mi viene in mente lo straordinario dibattito che Scalfari fece con il cardinale Martini su etica, laicità e religiosità. È un grande esempio. Devo aggiungere che sono d’accordo in maniera commossa con Papa Francesco su tutto, tranne, appunto, sulle questioni di sessualità e famiglia che, però, se ci pensiamo rispetto ad alcuni decenni fa si sono straordinariamente evoluti e in tutti i settori.

 

 

   Gioco a carte scoperte. La mia etica è quella di un uomo che ha passato la vita a fare e studiare la psicoterapia analitica. Ma anche a conoscere e vivere mondi diversi, a sperimentare amore e dolore, ecc. Come psicoterapeuta sono arrivato alla conclusione, apparentemente banale, che è eticamente positivo ciò che produce benessere ed è negativo ciò che produce dolore. Credo non sia così lapalissiano come si può pensare. La guerra produce dolore ma non sempre è il male. Basti pensare alla resistenza o alla lotta alla criminalità organizzata. Tendenzialmente, però, una cosa per essere buona non deve fare bene ad uno e male ad altri. Vedi gli eccessi di ricchezza o il narcisismo.

 

   Ciò detto, entro nel merito seguendo l’intervento di Luciano Sesta e volendo, dicevo, avviare una riflessione più ampia ed approfondita di una legge che pure ormai nel suo insieme sembra ampiamente condivisa, anche a livello internazionale. Il dibattito è su un singolo punto. La riflessione nell’insieme, però, deve andare oltre la legge, ad una risoluzione prospettica dei problemi. Quando parliamo di ricerca internazionale lo facciamo perché, purtroppo, in Italia non ce ne sono. Facciamo da molti anni il lavoro di ricercatori e siamo profondamente consapevoli della non neutralità della scienza. Questa ci sembra una critica non generosa. Siamo anche analisti e ci occupiamo, persino, del livello inconscio. Il problema, certo, vale per tutti. Ed in maniera ancora più forte di quanto Luciano Sesta sottolinei. Personalmente ho studiato a lungo l’epistemologia ed il metodo della complessità e, quindi, ci tengo. Ci sono i condizionamenti politici ma anche sottolineo, ideologici, economici, antropologici, familiari, personali, inconsapevoli. Certo. Nel nostro lavoro ci ragioniamo su il più possibile e questo è l’unico antidoto che conosciamo. Pensiamo anche che “la verità è il cibo della mente”. A me è capitato un paziente più o meno pedofilo (non gravemente). Non è più tornato dopo il primo colloquio. Io non l’ho giudicato, ovviamente, poiché la mia etica professionale me lo impedisce. Il giudizio negativo, orrifico, può e deve esserci a livello sociale ed umano ma se si parla di emozioni e vissuti. Ed è diverso se una persona soffre e chiede aiuto. Nonostante ciò da anni mi chiedo se il mio “contro- transfert” non gli abbia comunicato i sentimenti negativi che vivevo e che inconsciamente e/o non verbalmente posso aver comunicato. Commettendo un errore, poiché un paziente ha diritto alle cure. Non so se sia andata così ma la cosa mi fa pensare e mi spiace.

 

   Le ricerche che noi conosciamo, e che usiamo il più professionalmente possibile, portano alla conclusione che non si può, a priori, stabilire quale tipo di famiglia sia migliore. Quello che è chiaro è che non è mai esistita una famiglia “naturale” ma infiniti tipi di famiglia (tribale, allargata, senza presenze maschili dirette, famiglie complesse, monogenere, ecc.). Non sappiamo, anche qui, se ce ne sia una che produce più salute psichica. Siamo d’accordo che una ricerca che faccia un uso della statistica come quello citato non avrebbe alcun valore e che l’identità antropologica sia importante e  le culture (nostre ma anche del terzo mondo) siano da rispettare. Su un punto dissento con convinzione, poiché penso che si potrebbero evitare sofferenze non necessarie. Non si può imporre alcun tipo di morale agli altri. A meno che, ovviamente, questa morale non sia una norma (il grande Bobbio diceva che non c’è democrazia senza norma) per impedire che venga fatto del male a qualcuno (del tipo, non uccidere, non rubare, ecc.).

 

   Confermo. Credo che l’omofobia sia un bel problema psicologico, non certo per chiudere  un dibattito che continuo ad aprire, ma poiché porta sofferenza inutile ad altri. E dare sofferenza inutile è psicologicamente atroce. È una visione aggressiva dell’altro “diverso”. Io ho parlato di problema non di malattia e continuo a chiedermi perché qualcuno debba preoccuparsi della vita sessuale di altri e produrgli sofferenza. A meno che non si vada nella distruttività, vedi, ad esempio, pedofilia e violenze. Un altro dato che ritengo sia confermabile è sulle coppie dello stesso genere. Un mio autorevole maestro diceva “siamo tutti figli adottivi”.

 

 

   Con ciò si riferiva al fatto che se da un punto di vista psicologico non si viene accettati, accuditi, educati, resteremo “orfani” anche se abbiamo una famiglia ricca, numerosa ed iper-tradizionale. Ed, in conseguenza, ci ammaleremo psichicamente. Già Freud parlava di “figura materna e paterna”. E non del tipo di fisicità di cui si è portatori. Certo anche la psicoanalisi, se da un lato ha svolto un enorme ruolo di emancipazione, dall’altro ha avuto i suoi ritardi e le sue influenze antropologiche, ad esempio, pensando, nella prima metà del Novecento, che l’ omosessualità fosse perversione ed andasse curata. Cosa che oggi avrebbe il dissenso in qualunque analista contemporaneo. Confermo la mia idea (che spero sia un giudizio maturato in una vita di lavoro e studio e non un pre-giudizio). L’unica cosa che è preferibile è che un bimbo sia adottato da qualcuno e cioè, voluto, amato, cresciuto con interesse centrato su di lui e non principalmente sui bisogni familiari e sociali ( nella scuola in cui Augusto c’è ancora la scritta prebellica che parlando degli allievi dice “ voi siete, soprattutto, l’ esercito di domani”, l’epistemologia pedagogico dell’allevare carne da macello e che produce macelli?). Ho, dopo molti anni di studio di Cosa Nostra, coniato la locuzione di “psiche fondamentalista”. Essa caratterizza chiunque ritenga che l’altro, perché diverso, sia il male da aggredire e distruggere e non invece, come noi riteniamo, che la diversità possa essere una ricchezza ed una risorsa per l’uomo. La mescolanza, del resto, è la storia della nostra specie. Nell’ elaborazione teorico-clinico-psicologica (ma anche delle neuroscienze o nelle scienze umane, in generale) ciò che è centrale per la vita è la relazione.

 

 

   Personalmente ho lavorato molto sull’idea di quanto sia centrale per il nascente e per al crescita il con-cepimento psichico e culturale che riceve. Probabilmente una soluzione utile ed “oggettivamente” preferibile sarebbe, ritengo, quella di aiutare ogni coppia, ogni famiglia, di qualunque tipo, nel lavoro di con-cepimento (adozione?) che fa di un bimbo. Sono d’accordo per un laico rispetto reciproco. Da laico sono con Voltaire e con la sua idea che ci si possa battere perché l’altro abbia diritto alla sua opinione anche se diversa dalla mia. Aggiungerei anche che ha il diritto di essere anche se è diverso da me. Oltretutto, lo studio della psicoterapia ci ha portato, oggi, a considerare il rapporto io-altro e le sue con-vergenze e differenze come un punto rilevantissimo della vita psichica. Ciò detto concludo affermando le mie differenze. Una relazione (o adozione) è meglio del non essere con-cepiti e l’esperienza clinica, nel nostro caso assai ampia sia per la nostra lunga storia professionale che per le tante supervisioni fatte, conferma le ricerche che citiamo: la qualità della vita psichica non dipende dalla biologia delle persone con cui si cresce ma dalla relazione, dalle identificazioni e dal concepimento con cui si cresce. Devo dire che inoltre penso che con  la futura evoluzione anche in Italia questo problema sarà meno sconvolgente e potremmo occuparci, soprattutto, di come far diminuire infelicità e sofferenza. In questo siamo, tutti quelli che hanno un’etica ed un impegno, con Papa Francesco.

 

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