di Valeria Viola
L’immagine artistica è da sempre portatrice di un messaggio – esplicito od implicito -, fa luce su un modo di pensare, di vivere, di comportarsi. Ovviamente la lettura delle immagini può avere diversi livelli, che si svelano al lettore asseconda delle sue capacità e del suo retaggio culturale.
Succede così che il fruitore moderno a volte trovi il messaggio oscuro, in qualche modo incerto, perché l’opera è di per sé criptica o risale ad un periodo storico lontano di cui sa poco; a volte, invece, il messaggio è immediatamente decifrabile perché espresso in modo semplice o perché il suo contesto culturale è stato approfonditamente indagato o perché l’immagine parla la nostra stessa lingua e riferisce di fatti attuali e conosciuti.
I contenuti che le immagini trasportano con sé possono essere i più diversi: da casuali informazioni su credenze o abitudini di evi più o meno lontani, fino ad asserzioni ben determinate di valore politico e/o religioso. Ricordiamo, infatti, che nei secoli l’arte è stata anche deliberatamente usata come strumento per trasmettere messaggi di potere, in questo caso le scene di caccia in cui il re assiro Assurbanipal è ritratto nell’atto di uccidere spavaldamente un leone non sono tanto diverse dal Napoleone Bonaparte ritratto da Antonio Canova nelle vesti di Marte pacificatore. Anche la religione ha usato l’arte per propagandare la propria “verità”, soprattutto nei momenti di maggiore scontro tra fedi diverse o tra diverse forme della stessa fede: emblematico, ad esempio, fu il “confronto artistico” tra Cattolicesimo e Chiesa protestante nel XVII secolo.
Si tratta, invero, di un’acquisizione relativamente recente quella che vuole l’arte visiva libera di esprimere il pensiero dell’artista e di bacchettare la società quando commette errori, e questa acquisizione si deve in buona parte alla lezione illuminista del XVIII secolo. Pur ammettendo tutti i suoi lati “oscuri” ed i suoi eccessi, infatti, è giusto ricordare che il secolo dei lumi ha dato agli intellettuali occidentali la responsabilità di guidare la società fuori dall’oscurantismo dell’irrazionale: dal pensiero settecentesco sono scaturite le spinte verso lo spirito critico, la circolazione del sapere, la necessità di uno Stato laico.
Da allora il messaggio dell’arte è divenuto sempre più libero: è stato un lento processo che per certi versi non si può dire ancora concluso neppure in Occidente, certo però non sarebbe concepibile senza le premesse di Kant o di Rousseau la frase che il giornalista britannico Jonathan Jones ha recentemente scritto sul Guardian riguardo ai recenti e sanguinosi fatti accaduti a Parigi, ovvero “una delle cosa più importanti che può fare l’arte è testare i limiti del pensiero libero”.
Questa libertà è ormai nel DNA di noi europei, qualunque sia il nostro credo, politico o religioso. Per questo motivo, seppur possa essere contestato che l’arte contemporanea ha esercitato a volte questo suo nuovo potere in modo irrispettoso verso le convinzioni degli altri, esasperando l’aspetto provocatorio delle immagini, nessuno dei figli della cultura illuminista può fare altro che rimanere costernato davanti alla reazione violenta che è stata mostrata nei confronti di una vignetta.
I fumettisti uccisi nella sede della rivista satirica Charlie Hebdo, come gli artisti perseguiti o “imbavagliati” per motivi religiosi in tutto il mondo, mostrano che, in nome di una religione, in realtà si sta muovendo guerra contro quei diritti che fanno ormai parte della nostra identità europea, un identità maturata nei secoli anche superando scontri sanguinosi, deportazioni ed altre terribili ingiustizie.
Non si può tornare indietro.
Non si possono sconfessare tutte le conquiste raggiunte.
Non si può oscurare l’immagine.
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