di Giuseppe Savagnone
Ancora una volta, comincia un nuovo anno. Già l’“ancora una volta” dice, però, che si tratta di un finto inizio. Nel succedersi delle stagioni, tutto è ciclico. E il nostro calendario, adattandosi ad esso, non dà molti appigli per supporre che ciò che avverrà nel nuovo anno non sia già accaduto innumerevoli volte in quelli passati. Siamo stati noi a inventare la festa del capodanno per celebrare una novità che la natura non conosce. Siamo stati noi ad enfatizzare, incollati ai quadranti dell’orologio (anche quella, una nostra invenzione, per tentare di misurare e controllare un tempo che in realtà ci sfugge), il passaggio dagli ultimi secondi dell’anno “vecchio” ai primi di quello successivo, innaffiandolo con litri di spumante, nel frenetico scambio dei brindisi e degli auguri reciproci.
C’è qualcosa di patetico nella forzata allegria di questa eccitazione collettiva. Sappiamo tutti che il passare del tempo non può risolvere i nostri problemi individuali e comunitari. Sappiamo tutti che il 2014 non sarà diverso dal 2013 se non saremo noi a renderlo tale. E sappiamo tutti che per farlo dovremmo riuscire a operare, almeno in noi stessi e nelle situazioni che dipendono da noi, quei cambiamenti che invece, finora, non siamo stati in grado di realizzare. E che dunque probabilmente tutto resterà uguale e si ripeterà, nella nostra vita e in quella della nostra società.
Eppure l’esistenza stessa della festa di capodanno dice che l’esigenza di non restare imprigionati nel ciclo dell’eterno ritorno, come gli altri elementi della natura, è una caratteristica insopprimibile dell’essere umano. Non risulta che alcun altro animale abbia la capacità di dare un valore simbolico al trascorrere del tempo. Se di illusione si tratta, dunque, il capodanno è una di quelle illusioni che rendono la nostra specie irrimediabilmente diversa dalle altre (anche se forse per sua sfortuna). Siamo noi ad avvertire la sproporzione lacerante tra i nostri sogni e la realtà e ci sentiamo perciò costretti a sperare che il futuro sarà immensamente migliore del presente e del passato.
Ma davvero questa speranza è a priori vana? Veramente è impensabile che le nostre frustrazioni e i nostri fallimenti possano trovare un riscatto, almeno parziale, in questo 2014 appena iniziato? La risposta l’abbiamo appena data: dipende da noi, non dallo scorrere del tempo. «Anno nuovo, vita nuova!», diceva uno slogan che sembra passato di moda. La verità è che solo se noi faremo la nostra parte, la nostra vita ,e forse quella di chi ci sta intorno, sarà nuova.
Come? Innanzi tutto smettendo di attribuire ad altri la responsabilità delle nostre difficoltà e delle nostre disgrazie, personali e collettive (che in larga misura si intrecciano). Ci lamentiamo, in Italia, delle tasse, della mancanza di lavoro, della corruzione e del cinismo della nostra classe politica (e tutte queste piaghe in Sicilia sono immensamente più gravi ed evidenti che nel resto del Paese). Ma siamo forse le vittime innocenti di una dittatura? I nostri rappresentanti, in questi anni, li abbiamo scelti noi, direttamente o indirettamente (lasciando che altri li scegliessero). Lo stile della nostra vita comunitaria – che comincia già dal gettare o no per terra il pezzo di carta o dal passare col giallo, bloccando la fila delle auto che ci incrocia – lo determiniamo ogni giorno sempre noi. Che cosa abbiamo fatto, in tutti questi anni, in questi decenni, per cambiare le cose? Che cosa facciamo? Che cosa ci proponiamo di fare, nel 2014, per renderlo diverso?
Provate a fare questa domanda ai vostri conoscenti, magari mentre si scambiano con voi le geremiadi sull’immondizia che si accumula nelle nostre strade o sulla lentezza dell’amministrazione pubblica. Chiedetegli, per esempio, se leggono i giornali, se provano a formarsi un’opinione politica, se cercano di aggregarsi ad altri con cui condividerla e, possibilmente, farla valere. Chiedetegli con che criteri hanno votato alle ultime elezioni. Nella maggior parte dei casi vi guarderanno allibiti. Vi daranno dell’idealista, del sognatore. Ribadiranno con fierezza la loro scelta di “farsi i fatti propri” e di cercare un lavoro al figlio cercandogli una raccomandazione.
È così che è cresciuta in Italia – e la Sicilia ha fatto da battistrada – la linea di quelli che i giornali non li leggono e che votano per l’“amico”, o che non votano, perché “tanto sono tutti ladri”, o di quelli che gridano a gran voce, riferendosi ai rappresentanti eletti dalla maggioranza, “tutti a casa!”, senza chiedersi cosa succederebbe esattamente quando davvero restasse al potere, da solo, chi lo grida, che non è stato eletto da nessuno (da noi è già successo: col fascismo).
E ora permettetemi di chiedere anche a voi, che mi state leggendo (oltre che a me stesso), che cosa vi proponete di fare per rendere diverso il vostro 2014. Forse sarebbe già una bella novità, per molti, fermarsi e porsi davvero questo interrogativo. Che, in realtà, non riguarda solo il proprio stile civile e politico, ma il senso che ognuno vuole dare alla propria vita. Perché il qualunquismo e il populismo trionfanti a livello pubblico hanno le loro radici in una superficialità e in una irresponsabilità verso gli altri che coinvolgono tutti gli aspetti dell’esistenza di tante persone. Spero, perciò, che non vi offendiate se vi auguro di chiedervi se per caso siete anche voi tra queste e, ove la risposta dovesse essere, almeno in parte, onestamente affermativa, di cominciare a cambiare, voi per primi, i vostri comportamenti. Perché solo così potremo sperare che questo sia davvero un buon anno.
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