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Biologia e diritto: un divorzio impossibile

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di Luigi d’Andrea

 

 

E una donna che reggeva un bambino al seno disse: Parlaci dei Figli./ E lui disse:/ I vostri figli non sono figli vostri./ Sono figli e figlie della sete che la vita ha di se stessa./ Essi vengono attraverso di voi, ma non da voi, e benché vivano con voi non vi appartengono./ Potete donar loro l’amore ma non i vostri pensieri: essi hanno i loro pensieri./ Potete offrire rifugio ai loro corpi ma non alle loro anime: esse abitano la casa del domani, che non vi sarà concesso visitare neppure in sogno./ Potete tentare di essere simili a loro, ma non farli simili a voi: la vita procede e non s’attarda sul passato./ Voi siete gli archi da cui i figli, come frecce vive, sono scoccati in avanti./ L’Arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinito, e vi tende con forza affinché le sue frecce vadano rapide e lontane./ Affidatevi con gioia alla mano dell’Arciere; poiché come ama il volo della freccia, così ama la fermezza dell’arco.

 


Così, in splendida forma e con potente sintesi, come all’alta poesia si conviene, K. Gibran, nel suo capolavoro Il Profeta, esprime e rappresenta il complesso fenomeno – verrebbe da dire: l’intrigante e vertiginoso mistero… – della generazione umana, del germogliare di nuovi esseri umani da persone già adulte . E le immaginifiche e suggestive metafore offerte dal brano poetico (a partire da quelle dell’arco e delle frecce…) manifestano la complessità del fenomeno procreativo, in cui coesistono – in un teso ma inestricabile rapporto – da un lato la singolarità e originalità di ogni individuo appartenente alla specie umana – e dunque anche l’originalità dei figli rispetto alle idee, aspirazioni e tendenze dei genitori – e dall’altro l’insieme di sentimenti, aspettative e lasciti ideali che tengono strettamente legate tra loro le generazioni. Naturalmente, del tutto peculiare risulta la condizione del minore, strutturalmente debole (sia pure in forma e misura variabili…) in seno al lungo, complesso e faticoso processo generativo ed educativo, che conduce l’ovulo femminile fecondato, attraverso la gestazione del feto e quindi attraverso la nascita, alla persona adulta, pienamente maturata sotto il profilo psicofisico e quindi del tutto capace di intendere e volere.

 


Ed a partire dalla considerazione di tale peculiare debolezza, occorre assicurare anche sul terreno giuridico il riconoscimento e la garanzia della dignità che al frutto del fenomeno procreativo comunque appartiene, in ogni fase di quel processo (sia pure con gradi e forme di tutela variabili nelle diverse fasi e nei diversi stadi dello sviluppo), e che necessariamente implica il riconoscimento e la tutela dell’originalità e dell’irripetibilità che connotano ogni essere umano, fondandone l’irriducibile libertà.

La nostra Costituzione prevede che a tale scopo siano finalizzati i compiti che, nell’articolo 30, I comma, essa affida ai genitori (“mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio”); ; ed in tale prospettiva dunque essi vanno correttamente ri-orientati, sia attraverso la legislazione quanto sul terreno della concreta gestione delle relazioni familiari.

 


Benché spesso risulti necessario che sia il sistema giuridico ad assicurare l’equilibrio tra prerogative genitoriali e garanzia dell’irriducibile e singolare dignità del figlio, tale equilibrio – spesso non agevole – non è affidato soltanto alla sfera giuridica: piuttosto esso non può che risultare da un virtuoso concorso della dimensione morale, della sfera culturale (in senso antropologico), del progresso scientifico e tecnologico e, naturalmente, dello stesso universo giuridico: soltanto se l’ordinamento giuridico, l’etica civile, la cultura diffusa nella comunità dei cittadini ed i progressi scientifici e tecnologici sapranno positivamente entrare in rapporto, o meglio, “dialogare”, secondo una prospettiva autenticamente interdisciplinare, essi potranno positivamente convergere in direzione di un effettivo inveramento dei valori sanciti dalla Costituzione.

 


È del tutto evidente l’importanza assunta al riguardo, soprattutto in forza dei formidabili progressi compiuti negli ultimi decenni, dalla scienza medica (e dalle relative applicazioni tecnologiche), oggi in grado di intervenire incisivamente ed efficacemente sui naturali processi biologici, a volte con lo scopo di supportarli, correggerli od integrarli, a volte con lo scopo di (sia pure parzialmente… ) surrogarli. Per tale via, l’opera dei medici consente al presente (e verosimilmente ancora di più nel futuro consentirà) di soddisfare, appunto in forza dell’intervento umano laddove precedentemente non si poteva che affidarsi ai dinamismi naturali, diritti di sicuro rilievo costituzionale, a partire dal diritto alla vita ed alla salute del nascituro e dal diritto a procreare da parte di coppie naturalmente sterili.

 


Per quanto apprezzabili siano questi risultati, tuttavia non si tratta di celebrare – come alcuni oggi vorrebbero – il “divorzio” tra la dimensione giuridica (ed in generale culturale) e la sfera biologica: i processi in atto nella sfera biologica non sono irrilevanti rispetto alla dimensione normativa che caratterizza il diritto (si consideri, ad esempio, come l’imprevedibilità dell’intreccio del DNA dei due genitori manifesti da un lato il fortissimo legame che lega genitori e figli e dall’altro l’originalità assoluta del generato). Così, fondamentale rimane il riferimento sul piano giuridico alla conformazione in sede biologica del fenomeno procreativo: per esempio, perché i genitori devono essere due (anche se magari non più qualificati come “padre” o “madre”…), e non piuttosto decine, centinaia o migliaia? In realtà, mi sembra che senza la prudente assunzione del – per così dire – paradigma biologico del processo procreativo, si rischia di pericolosamente compromettere e/o alterare i delicati equilibri tra gli interessi giuridicamente tutelati dei diversi soggetti coinvolti, per secoli assicurati appunto dalla peculiare conformazione in sede biologica del fenomeno riproduttivo.

 


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