Il Vangelo di oggi: Gv 15, 9-17
9Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. 10Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
12Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. 13Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. 14Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. 15Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. 16Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. 17Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.
La liturgia di questa sesta domenica dopo Pasqua ci permette di portare a termine il cammino ideale svolto nelle settimane precedenti: dopo avere mostrato nel cammino del discepolo la fede, la rivelazione, la verità e la fedeltà, attraverso i testi giovannei, siamo condotti al vertice della vita cristiana, l’amore. Giovanni ha offerto tante definizioni per avvicinarsi al mistero di Dio, Spirito (Gv 4,24), luce (1 Gv 1,5)…, ma è soprattutto la definizione di amore ad essere preferita dall’evangelista. “Dio è amore”, espressione altamente suggestiva ma che rischia con facilità di essere fraintesa. Cosa significa il termine amore? Giovanni non lascia al caso il senso di questa formulazione, ma cerca di specificarne il significato autentico.
L’amore di Dio si manifesta nella storia e in maniera particolare in un evento che alcuni testimoni hanno visto, hanno toccato, hanno udito, cioè che il Verbo della vita si è incarnato ed è morto per la salvezza di ogni uomo.
Nella prima lettera di Giovanni (cfr. 1Gv 4,7-10), per due volte viene sottolineato come prova dell’amore di Dio per l’uomo l’invio del Figlio: “Dio ha mandato nel mondo il suo unigenito Figlio, perché noi avessimo la vita”. Dio ha scelto consapevolmente di entrare nella storia dell’uomo, assumendo anche il negativo, per amore.
L’amore di Dio per l’uomo si è manifestato in un cammino segnato non dalla fuga dal mondo, ma dall’assumere la condizione umana nella sua integralità, anche sotto l’aspetto della sua caducità e temporalità, della sua povertà e contingenza. «Il Figlio di Dio … ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato» (Gaudium et spes, 22). Questo amore di Dio è gratuito ed universale, un dono che non deriva dai nostri meriti ne è vincolato da reciprocità, ma piuttosto è un amore che libera e fa vivere. Dio ci ha liberato dalla morte e dalla paura di non essere degni del suo amore: niente, neppure il peccato, può condannare l’uomo perché Dio si è messo dalla sua parte, in una creazione libera, dove il peccato e la morte non hanno più potere.
Questo amore divino, nella pericope del vangelo odierno, viene additato da Gesù come distintivo dei suoi discepoli: “da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). L’amore per i cristiani si fonda sul modello di Cristo (Gv15,12), che ha dato la vita per i suoi; l’autodonazione di Gesù diventa il modello dei rapporti vicendevoli, riflesso della vita trinitaria. Per questo il comandamento di Gesù è nuovo, perché, superando ogni facile sentimentalismo, qualitativamente ci rimanda al rapporto d’amore tra il Padre e il Figlio, su cui Gesù fonda la qualità e la novità dell’amore vicendevole cristiano.
In questo modello d’amore reciproco non c’è spazio per il potere: l’amore di Cristo, mediante la sua morte, elimina ogni strumentalizzazione dell’altro, perché il dono della vita genera un nuovo ordine di rapporti. Gesù donando la sua vita si pone come fondamento di un nuovo tipo di relazione non più basata sulla volontà di potenza, ma sul dono di sé. La comunione cristiana non è solo affettiva ma effettiva, perché chiamata a vivere una koinonia concreta, oltre i discorsi di circostanza e la vuota retorica.
“Spiritualità della comunione significa inoltre capacità di sentire il fratello di fede nell’unità profonda del Corpo mistico, dunque, come “uno che mi appartiene”, per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia… Spiritualità della comunione è infine saper ‘fare spazio’ al fratello, portando “i pesi gli uni degli altri” (Gal 6, 2) e respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie” (Giovanni Paolo II).
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