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Cardinale mendicante, è un esempio per tutti

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(tratto da Gente del 18/09/2012)

Don Antonio Mazzi

        Il rapporto del cardinale Carlo Maria Martini con me e con i miei ragazzi di Exodus, nella cascina del Parco Lambro, è stato particolare. Dire unico mai pare troppo, ma la paternità, l’affetto, l’amicizia, la sua attenzione alle storie e alle sofferenze era totale.

 

      L’ho amato, ascoltato e ho letto tutto di lui. L’ultima messa, a Gallarate, con lui senza un filo di voce e due persone che lo aiutavano a fare un passo dopo l’altro, l’ho detta poche settimane dopo la mia “operazione” al cuore. Prima di cominciare mi ha guardato come sapeva guardare lui e sempre con un filo di voce e con l’aiuto del microfono: “Stai bene! Sono contento!” . Ha voluto alzarsi dalla sedia per consacrazione del pane e del vino. Abbiamo elevato insieme la particola e il calice. Ha voluto, durante la preghiera dei fedeli, ricordare i ragazzi, me e la Chiesa intera. E’ stata l’ultima volta. Mi ha lasciato una sua pubblicazione, faticando un po’ per farmi l’autografo. Giovedì 30 agosto potevo fare un salto per trovarlo, ma ero altrove. La Provvidenza ha voluto che l’ultima volta fosse la messa insieme.

      E’arrivato a Milano nel ’79, lo stesso anno nel quale ero arrivato anch’io, dentro al parco Lambro, allora definito il più grande supermercato dell’eroina, a dirigere il Centro don Calabria con un migliaio di giovani. Almeno una volta all’anno o veniva lui o andavamo noi a trovarlo. Insieme abbiamo rischiato la vita a causa dei terroristi e, più volte, li abbiamo incontrati e io li ho anche avuti ospiti, nei miei centri, in alternativa al carcere.

      Un paio di anni fa (forse meno), il cardinale era già tornato dalla Terrasanta, in uno dei tanti incontri ho chiesto la benedizione per le mie attività (la situazione del disagio giovanile è sempre più disastrosa e non si ferma alla droga) e con molta calma, in una mezz’oretta, ci ha detto (eravamo in quattro) alcune frasi che ho ancora dentro, nel posto più dolce del mio cuore. “Bisogna amare i giovani perché sono migliori di quanto pensiamo e capaci di fare tanto bene. Amate la Chiesa. Non fermatevi agli uomini. Dentro alla Chiesa lo Spirito soffia ancora molto forte e fa cose meravigliose. Ho tanto sperato, e l’ho detto al Pontefice, in un nuovo Concilio e che la Chiesa diventasse povera, evangelicamente povera. Nel mondo c’è tanta fede, anche se con sfumature diverse. Il dialogo con tutti è fondamentale”.

       Un’altra frase straordinaria: “Si ama con la testa, il cuore e le mani. L’amore esige l’impegno totale, dire e fare. L’amore va riscoperto, tutto l’amore va riscoperto!”.

       Ora è in cielo. Il Vangelo che ha saputo spiegare in modo eccezionale, coniugandolo ai fatti contemporanei, spero continui a spiegarcelo anche da là. Al funerale c’era tanta gente, tanti preti, tanti vescovi, tanti cardinali. Abbiamo cantato, pregato e fatto discorsi. I soliti discorsi da preti. Discorsi che volano sui cornicioni, ma che non vogliono mai scendere e sporcarsi! La chiesa ufficiale non rischia! E lui, invece, per amore della verità voleva sporcarsi.

      Finisco. M’ha fatto piacere che Ferruccio De Bortoli, nel fondo del Corriere di sabato scorso, abbia citato un proverbio indiano che il cardinale aveva spiegato anche a me. “La nostra esistenza si divide in quattro tempi: nel primo tempo si studia, nel secondo si insegna, nel terzo si riflette, nel quarto si mendica”. Mi è sembrato strano il quarto tempo. Invece è stato il suo tempo più vero. Mendicante di infinito, libero dagli orpelli autoritari, in ascolto, povero, bisognoso di affetto. Un cardinale “mendicante”. Che meraviglioso messaggio!

      Aggiungo le cinque cose che piacerebbero, o meglio sarebbero piaciute, al cardinale Martini e delle quali abbiamo parlato in un incontro:

1. Indire un Concilio che affronti i grandi temi della fede, dell’amore, del confronto e del dialogo.

2. Portare la Chiesa a liberarsi da potere, ricchezza, burocrazia, per approfondire, con umiltà e pazienza, nuovi cammini.

3. Aiutare i giovani a dare significato alla vita. Non è sufficiente dare titoli di studio e lavoro, se sotto non ci sono motivi forti, solidali, impegnativi, degni di una vita vera.

4. Una riflessione profonda sulla vita religiosa, ecclesiale, pastorale e familiare.

5. Cercare ciò che unisce e non ciò che divide, come già diceva Papa Giovanni XXIII.{jcomments on}

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