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Caricatura e linguaggio neoclassico nel Settecento

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Questa rubrica vuole porre all’attenzione dei lettori di Tuttavia la capacità della poesia e delle arti figurative di rappresentare l’immaginario delle varie epoche storiche e delle stagioni culturali che si sono succedute nel nostro Occidente a partire dal Basso Medioevo, cioè da quando si è andata costruendo la civiltà delle città e del ceto medio che in esse si è andato affermando. Abbiamo definito pittura e poesia “linguaggi dell’anima” per la loro capacità di coinvolgere in modo integrale chi ne fruisce, ovvero in modo da mobilitare, oltre alla dimensione razionale del comprendere, anche gli aspetti affettivi, emotivi e volitivi dell’esistenza.

A tale scopo saranno sottoposti quindicinalmente dei testi poetici e iconici paralleli, reinterpretati quali “oggetti culturali” per la loro capacità di esemplificare l’immaginario di un’epoca. Alla poesia e alla pittura potrà affiancarsi anche la musica, quando gli autori riterranno di proporre qualche fonte musicale, coeva oppure a noi contemporanea, capace di evocare efficacemente lo spirito dell’epoca trattata. Il parallelismo potrà anche strizzare l’occhio agli insegnanti – quali sono i due autori – che volessero istituire nessi più stringenti tra i vari linguaggi, nella convinzione che i ragazzi amano le contaminazioni e soprattutto si lasciano coinvolgere volentieri nello spazio della creatività e dell’interpretazione.


Il Settecento irriverente

Poesia e arti figurative testimoniano l’attitudine satirica del Settecento, con la sua irriverenza verso retaggi del passato che si vogliono mettere alla berlina. Ciò convive, e forse ne viene rafforzato, con il mantenimento di forme auliche di matrice neoclassica, come mostrano il brano del “Giorno” di Giuseppe Parini ed il dipinto “Danae e Giove” di Giambattista Tiepolo.

Giuseppe Parini: Attualità del contenuto in forma neoclassica (Da “Il Giorno”, 1763)

Il Mattino, vv.1-32

Giovin Signore, o a te scenda per lungo
di magnanimi lombi ordine il sangue
purissimo celeste, o in te del sangue
emendino il difetto i compri onori
e le adunate in terra o in mar ricchezze
dal genitor frugale in pochi lustri,
me Precettor d’amabil rito ascolta.

Come ingannar questi noiosi e lenti
giorni di vita, cui sí lungo tedio
e fastidio insoffribile accompagna,
or io t’insegnerò. Quali al Mattino,  

quai dopo il Mezzodí, quali la Sera
esser debban tue cure apprenderai,
se in mezzo a gli ozi tuo ozio ti resta
pur di tender gli orecchi a’ versi miei.

Già l’are a Vener sacre e al giocatore
Mercurio ne le Gallie e in Albïone
devotamente hai visitate, e porti
pur anco i segni del tuo zelo impressi:
ora è tempo di posa. In vano Marte
a sé t’invita; ché ben folle è quegli
che a rischio de la vita onor si merca,
e tu naturalmente il sangue aborri.

Né i mesti de la dea Pallade studi
ti son meno odïosi: avverso ad essi
ti feron troppo i queruli ricinti
ove l’arti migliori e le scïenze,
cangiate in mostri e in vane orride larve,
fan le capaci volte eccheggiar sempre
di giovanili strida. Or primamente
odi quali il Mattino a te soavi
cure debba guidar con facil mano.

Parafrasi in prosa

Giovane Signore, sia che il tuo purissimo sangue nobile ti provenga da una lunga serie di magnanime attività lombari, sia che le ricchezze accumulate in poco tempo dall’avaro padre abbiano corretto il difetto del sangue, ascolta me maestro di amabile stile.

Ora io ti insegnerò come ingannare questi noiosi e lenti giorni di vita accompagnati da noia e fastidio insopportabili. Imparerai quali debbano essere le tue occupazioni al mattino, a metà giornata e alla sera, se in mezzo ai tuoi ozi ti resta l’ozio per tendere gli orecchi ai miei versi.

Già tu hai visitato con devozione in Francia e in Inghilterra gli altari sacri all’amante Venere e al giocatore Mercurio, e porti ancora addosso i segni del tuo impegno: ora è tempo di riposarti. Invano Marte ti chiama a sé; che davvero matto è colui che si guadagna la gloria rischiando la vita, e tu naturalmente hai orrore del sangue.

E non ti sono meno odiosi i tristi studi della dea Minerva: ti resero avverso ad essi le prigioni piene di lamenti in cui le migliori arti e le scienze, trasformate in mostri ed in orribili fantasmi, fanno sempre risuonare gli ampi soffitti delle urla dei giovani. Ora principalmente ascolta quali soavi occupazioni il Mattino ti porterà con agile tocco.

Giuseppe Parini è un autore che si studia a scuola e poi non lo si incontra più, come magari può capitare con un Dante (operazione Benigni) o Leopardi (fiction cinematografica). E questo è già un motivo serio per proporlo in questo spazio che cerca di scrutare i segni dei tempi attraverso i linguaggi della poesia e delle arti figurative. Magari quelli meno celebrati.

Il Settecento qui è di scena, con i suoi miti filosofici e poetici, con il culto della Ragione e del Progresso civile che ama rivestirsi di forme eleganti, sobrie, riconducibili alle armonie poetiche del mondo classico. Per questo si suole parlare di neoclassicismo, con espressione che si situa ad un livello terzo rispetto al classico vero e proprio e al primo classicismo, che è quello rinascimentale. Tra i due classicismi si situa l’esperienza poetica del Barocco, volta a sperimentare forme nuove, magari anche bizzarre, pur di spezzare il trend classicistico.

Nativo della provincia di Como, Parini fu un frequentatore, in qualità di precettore, di ambienti nobiliari, e perciò ebbe modo di conoscere una classe sociale al tramonto, parassitaria, fatta oggetto di feroci critiche da parte dei filosofi illuministi e destinata ad essere travolta, sia pur non definitivamente, dalla Rivoluzione francese. Il poemetto pariniano, incompiuto, dal titolo “Il Giorno” si colloca un quarto di secolo prima della Rivoluzione. Siamo nel 1763.

Quel che propongo è l’inizio dell’opera, progettata nelle tre parti del giorno: Mattino, Mezzogiorno, Sera (quest’ultima non realizzata). Il poeta si autopropone come precettore di un giovin signore, proprio quel che Parini aveva fatto nella vita. Il linguaggio è volutamente aulico e solenne perché la materia, appunto, riconduce al lussureggiante mondo nobiliare. Il giovin signore, sia che sia diventato nobile per sangue sia che abbia acquistato il titolo, è chiamato ad affidarsi al precettore per imparare come poter trascorrere le sue giornate, ovvero come poter dare un contenuto al suo ozio.

La satira antinobiliare pariniana è evidente fin dalle prime battute. Il nostri giovin signore ha bisogno di riposarsi. Ha girato l’Europa tra bordelli (Venere) e sale da gioco (Mercurio), e certamente non potrebbe rischiare la vita arruolandosi (Marte), anche perché ha orrore del sangue. Che farà allora? Studierà? Non se ne parla. Persino lo studio (Minerva) lo traumatizza, se soltanto pensa a quelle aule scolastiche in cui i giovani del tempo urlano di dolore dinanzi alle discipline scolastiche trasformate in mostri che terrorizzano.

No, il giovin signore non può assumere responsabilità civili, militari o culturali. Egli deve trascorrere le sue giornate in modo da tenersi al riparo dai inutili stress. E questo gli sarà insegnato dal suo abile precettore.

Ci capita di meditare talvolta sulla vita che fanno i vip, e questo poemetto pariniano sembra lavorare su questa idea degenerata (rispetto all’accezione classica) di otium, che stride con la fatica del vivere quotidiano cui è sottoposto chiunque debba assumere un ruolo attivo nella società. Parini non era un nobile, e soltanto l’accesso alla carriera sacerdotale ed i suoi successi letterari gli permisero di avere una vita mediamente agiata. Non era certo un rivoluzionario, ma ci ha lasciato pagine di raffinatissima satira, che risultano oggi tanto più gustose quanto più il suo linguaggio poetico appare avvolto dalla stessa nobiltà e aulicità che egli irride nel suo parassitario vip ante litteram.

Dal web: La satira in letteratura

Il caricaturale nell’iconografia settecentesca: Giambattista Tiepolo

Giambattista Tiepolo, Danae e Giove, 1736,Olio su tela, Museo dell’Università di Stoccolma.

Il genere iconografico che, in quanto strumento espressivo dell’ironia, più si presta alla satira antinobiliare, è senza dubbio la caricatura. Sebbene Bernini sia considerato l’iniziatore del ritratto irriverente, è nel Settecento che la caricatura diventa una pratica artistica sistematica dall’impostazione intellettualistica. Sono infatti della seconda metà del secolo ben trecento caricature di Giambattista Tiepolo, versatile pittore veneziano ai vertici dell’arte europea di quel tempo. Tiepolo si presenta nella veste di disegnatore di maschere, di signori altezzosi e mediocri, di nobili imparruccati, frati, servi, gobbi, ubriaconi. Esemplare è la caricatura di gentiluomo con tricorno sotto il braccio e spadino. Le caricature di Tiepolo non prendono di mira l’individuo, ma le classi sociali, e soprattutto l’aristocrazia cattolica veneziana con la “bauta”, la tipica veste con mantello.

Al contrario, nella caricatura romana del periodo il bersaglio non è la società, ma il singolo personaggio, come possiamo osservare nei disegni di Pier Leone Ghezzi (Cavaliere delle caricature) protagonista del genere, di Carlo Marchionni e Giuseppe Barberi. Ad ogni modo, dall’accentuazione dei caratteri fisiognomici, e dalle annotazioni manoscritte al margine dei disegni possiamo cogliere aspetti dell’animo umano e ricostruire una giocosa cronaca dell’epoca.

Ciò che contraddistingue Tiepolo è però un particolare tipo di satira, che si esprime non solo nel ritratto caricaturale, ma nella rappresentazione della mitologia antica con intenti parodici, e con lo stesso linguaggio aulico e solenne utilizzato da Parini nei versi proposti. Un esempio significativo si ha in Danae e Giove. L’artista dipinge il mito tratto dalle Metamorfosi di Ovidio in chiave umoristica, mantenendo astrazione, teatralità e illusionismo. Venezia è in piena decadenza, così feste, lusso e mondanità sono il modo del patriziato per non vedere la crisi, e dunque l’ironia mascherata è il modo di Tiepolo per evidenziare il degrado del suo tempo. Ma il riferimento al mondo contemporaneo con intento dissacratorio entra attraverso la pittura mitologica. L’artista attualizza il mito e ne cambia il contesto, analogamente a quanto avviene nei versi di Parini quando fa riferimento a Venere, Mercurio, Marte e Minerva. La parodia del mito è abbastanza esplicita: la pioggia d’oro con la quale Giove feconda Danae, è tradotta in denaro che piove dal cielo, e che la serva avidamente si affretta a raccogliere con un piatto; Danae è talmente pigra da restare indifferente a Cupido che, malizioso, la scopre; Giove è un vecchio, brutto ma ricco; il cagnolino è spaventato alla vista dell’aquila di Giove e le abbaia contro.

L’unione tra un dio e una principessa si è elegantemente trasformata in una scena (frequente nella società del tempo) di prostituzione d’alto bordo.

 

IN MUSICA: Momenti di ozio di Alice    

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