In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
La Parola del Signore di questa domenica ci dona un messaggio importante e piano di speranza sulla rivelazione e sulla sequela. La forma è quella di una preghiera di lode del Figlio al Padre, in cui è sottolineata la loro intima unione e la benevolenza di Dio. Il “ristoro” che la vicinanza con Cristo offre, così come la dolcezza che deriva dalla sequela e dall’imitazione, rinfrancano il nostro cuore nel cammino del tempo ordinario.
Rivelazione e cecità
L’oggetto della lode al Padre è l’aver rivelato il Regno a coloro che la società e la religiosità aveva “escluso”. I piccoli di cui Gesù parla si contrappongono ai sapienti e ai dotti, ai quali, in qualche modo, il Regno resta nascosto. C’è un messaggio molto profondo e misterioso nei Vangeli, che parla della cecità di coloro i quali, dall’essere i destinatari teoricamente privilegiati del messaggio divino, diventano incapaci di accoglierlo. Questa chiusura delle orecchie e degli occhi deve sempre tenere in guardia il discepolo, soprattutto quando pensa ormai di “possedere” l’insegnamento di Cristo. Nello stesso capitolo del testo che ascoltiamo, Gesù si scagliava contro le città in cui sono avvenuti tanti prodigi e che non hanno, ciò nonostante, accolto il messaggio.
Essere piccoli
Essere (e costantemente ritornare) nello stato di “piccoli”, di coloro che tutto devono ricevere e imparare dal Padre, è condizione necessaria per ricevere la rivelazione. Il nostro cammino di fede non deve mai perdere di vista questa “piccolezza”, che prescinde dalla oggettiva condizione sociale, economica e culturale, ma è una predisposizione del cuore alla mitezza e all’umiltà.
Il ristoro di Dio
Nella seconda parte del testo Gesù si offre come fonte di vita e di ristoro per gli stanchi e gli oppressi. Nelle tante situazioni della vita in cui stanchezza e oppressione emergono dolorosamente, il Maestro ci invita a rivolgerci a Lui, a mettere nelle sue mani il nostro vissuto. L’attitudine più frequente, da parte nostra, è invece quella della lamentela, della rassegnazione o dell’espediente per cambiare la situazione in cui ci troviamo, tenendo Dio fuori dalla vicenda, lontano.
Dividere il giogo
Eppure Cristo è vicino alla nostra stanchezza, conosce e soffre della nostra oppressione. Lui è lì quanto siamo delusi, amareggiati, esausti, anche rabbiosi: i nostri pesi sono anche i suoi pesi. Se noi sentissimo e ricordassimo tutto questo, se fossimo capaci di “consegnargli” il giogo che inevitabilmente pesa sulle nostre vite, questo potrà esserci restituito “alleggerito” e dolce, perché da Lui conosciuto e accolto.
Rimanere saldi
Tante esperienza delle vite dei santi ci testimoniano che il tocco di Cristo trasfigura il dolore e la morte, e questo è un grande mistero. Per molti è anche difficile da accettare nel momento del dolore, dell’ingiustizia, della perdita, o quando si prova l’abbandono di Dio. Continuare ad aver fede in queste parole di Gesù, credere fermamente che per noi c’è riposo e dolcezza, che il peso può essere alleggerito, perché anche Lui lo porta con noi, deve tenerci saldi nella tempesta.
Imitare Cristo
Il Vangelo di oggi ci consegna anche un obbiettivo concreto: imitare la mitezza e l’umiltà di cuore di Gesù. Egli viene a noi non con l’imposizione e l’affermazione di sé, ma con l’amorevolezza e con la cura. Proprio a noi, che cerchiamo sempre di dimostrare la nostra forza e la nostra “adeguatezza” di fronte alla vita, è rivolto questo invito.
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