Il prossimo 5 novembre si terranno le elezioni regionali in Sicilia ma, aldilà delle legittime opzioni personali e dei diversi orientamenti politici, come cattolici siciliani con quale atteggiamento ci stiamo preparando all’importante appuntamento elettorale? Un riferimento fondamentale è rappresentato, come sappiamo, dalla dottrina sociale della chiesa che ci spinge all’impegno per il bene comune e ci incoraggia ad assumere precise responsabilità per contrastare ogni tipo di disfattismo e qualunquismo, oggi purtroppo largamente diffusi anche in Sicilia. Un richiamo ineludibile viene da papa Francesco che circa un anno fa (il 19 marzo 2016) ha scritto una Lettera al card. Marc Ouellet, presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina, sul tema «L’indispensabile impegno dei laici nella vita pubblica» dei Paesi latinoamericani che contiene aspetti rilevanti anche per i cattolici siciliani. Proverò a riprendere sinteticamente alcuni dei punti più interessanti di questa lettera per continuare, mi auguro, anche sulle pagine di questo giornale, la riflessione per favorire un’urgente e più incisiva ripresa dell’impegno dei cattolici alla vita pubblica in Sicilia, in una fase a dir poco difficile e complessa per l’intera realtà isolana. La prima immagine che Francesco usa è riferita “al Santo Popolo fedele di Dio che come pastori siamo continuamente invitati a guardare, proteggere, accompagnare, sostenere e servire”…”guardare continuamente al Popolo di Dio ci salva da certi nominalismi dichiarazionisti (slogan)”. E qui il papa nel ricordare la famosa frase: “è l’ora dei laici”, aggiunge con ironia “sembra che l’orologio si sia fermato”.
Francesco sottolinea poi che “il primo sacramento, quello che sugella per sempre la nostra identità, e di cui dovremmo essere sempre orgogliosi, è il battesimo… la nostra prima e fondamentale consacrazione affonda le sue radici nel nostro battesimo”…“Il Santo Popolo fedele di Dio è unto con la grazia dello Spirito Santo, e perciò, al momento di riflettere, pensare, valutare, discernere, dobbiamo essere molto attenti a questa unzione”. Il papa considera molto negativamente il clericalismo: “questo atteggiamento non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale che lo Spirito Santo ha posto nel cuore della nostra gente. Il clericalismo porta a una omologazione del laicato; trattandolo come “mandatario” limita le diverse iniziative e sforzi e, oserei dire, le audacie necessarie per poter portare la Buona Novella del Vangelo a tutti gli ambiti dell’attività sociale e soprattutto politica. Il clericalismo, lungi dal dare impulso ai diversi contributi e proposte, va spegnendo poco a poco il fuoco profetico di cui l’intera Chiesa è chiamata a rendere testimonianza nel cuore dei suoi popoli”.
Francesco invita quindi a riflettere sulla “pastorale popolare” che, come ha scritto Paolo VI in Evangelii nuntiandi, “ha certamente i suoi limiti”…ma “se è ben orientata, soprattutto mediante una pedagogia di evangelizzazione, è ricca di valori”. La pastorale popolare può diventare, per papa Francesco, la “chiave ermeneutica che ci può aiutare a capire meglio l’azione che si genera quando il Santo Popolo fedele di Dio prega e agisce. Un’azione che non resta legata alla sfera intima della persona ma che, al contrario, si trasforma in cultura”; “una cultura popolare evangelizzata contiene valori di fede e di solidarietà che possono provocare lo sviluppo di una società più giusta e credente, e possiede una sapienza peculiare che bisogna saper riconoscere con uno sguardo colmo di gratitudine” (Evangelii gaudium, n. 68).
Ma “che cosa significa, si chiede il papa, per noi pastori il fatto che i laici stiano lavorando nella vita pubblica? Significa cercare il modo per poter incoraggiare, accompagnare e stimolare tutti i tentativi e gli sforzi che oggi già si fanno per mantenere viva la speranza e la fede in un mondo pieno di contraddizioni, specialmente per i più poveri, specialmente con i più poveri”. Per Francesco c’è “bisogno di riconoscere la città” – e pertanto tutti gli spazi dove si svolge la vita della nostra gente … “a partire da uno sguardo contemplativo, ossia uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze… Egli vive tra i cittadini promuovendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia. Questa presenza non deve essere fabbricata, ma scoperta, svelata” (Evangelii gaudium, n. 71). Il papa ripete con forza che non è “il pastore a dover dire al laico quello che deve fare e dire, lui lo sa tanto e meglio di noi. Non è il pastore a dover stabilire quello che i fedeli devono dire nei diversi ambiti”. Sarebbe errato vedere la figura del laico impegnato in “colui che lavora nelle opere della Chiesa e/o nelle cose della parrocchia o della diocesi, e abbiamo riflettuto poco su come accompagnare un battezzato nella sua vita pubblica e quotidiana; su come, nella sua attività quotidiana, con le responsabilità che ha, s’impegna come cristiano nella vita pubblica. Senza rendercene conto, abbiamo generato una élite laicale credendo che sono laici impegnati solo quelli che lavorano in cose “dei preti… e abbiamo dimenticato, trascurandolo, il credente che molte volte brucia la sua speranza nella lotta quotidiana per vivere la fede. Sono queste le situazioni che il clericalismo non può vedere, perché è più preoccupato a dominare spazi che a generare processi. Dobbiamo pertanto riconoscere che il laico per la sua realtà, per la sua identità, perché immerso nel cuore della vita sociale, pubblica e politica, perché partecipe di forme culturali che si generano costantemente, ha bisogno di nuove forme di organizzazione e di celebrazione della fede”…. “Non si possono dare direttive generali per organizzare il popolo di Dio all’interno della sua vita pubblica. L’inculturazione è un processo che noi pastori siamo chiamati a stimolare, incoraggiando la gente a vivere la propria fede dove sta e con chi sta. L’inculturazione è imparare a scoprire come una determinata porzione del popolo di oggi, nel qui e ora della storia, vive, celebra e annuncia la propria fede”…”l’inculturazione è un lavoro artigianale e non una fabbrica per la produzione in serie di processi che si dedicherebbero a “fabbricare mondi o spazi cristiani”.
“Nel nostro popolo, conclude il papa, ci viene chiesto di custodire due memorie. La memoria di Gesù Cristo e la memoria dei nostri antenati… perdere la memoria è sradicarci dal luogo da cui veniamo e quindi non sapere neanche dove andiamo”. La densissima lettera di papa Francesco sembra indirizzata anche a noi cattolici siciliani, e non solo laici.
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