Una storia d’Amore appassionato, a volte tormentato, sempre fedelissimo quella di don Divo Barsotti durata 92 anni, tutta la sua vita, sentimento vivo e vivace, sempre giovane, che trasuda dai suoi diari e dalle innumerevoli meditazioni di testi biblici.
Nato il 25 aprile del 1914 il padre (così lo chiamano i suoi figli spirituali) comprende giovanissimo di volere appartenere totalmente a Dio e a soli undici anni entra in seminario, ma i diari di quegli anni riportano battaglie e lotte soprattutto contro la tiepidezza.
Divo percepisce che i progetti di Dio su di lui sono grandiosi ma la scelta dell’ordine sacerdotale (abbracciato nel 1937) non fa cessare in lui i rumori della lotta interiore che lo agita.
A 19 anni avverte chiaramente che il Signore gli chiede tutto, di non appartenersi più e di spezzarsi per gli altri ma….in quale forma, in quale ordine il Signore lo chiama?
Quello che gli è assolutamente chiaro è che vuole essere santo: “Io voglio essere santo, santo, santo a tutti i costi”. Desidera essere consumato dall’amore per Dio e per le anime, vuole andare missionario e al tempo stesso ha un animo profondamente contemplativo… divora libri e la sua Messa è troppo lunga: il vescovo stesso non sa dove fermare questo giovane impetuoso che si è nutrito della spiritualità dei Verbiti, dei Gesuiti, che stima grandemente ma non sente sua.
Finalmente nella preghiera incessante a Dio ed alla Vergine, isolandosi anche alcuni anni a Palaia, con la sua famiglia, meditando a lungo i vangeli, comincia ad intuire cosa Dio vuole da lui, scrive nel 1942: “Non so desiderare la vita in una società religiosa, è una famiglia chiusa che limiterebbe la mia comunione con gli uomini. Voglio essere il fratello, il servo di tutti e vivere per tutti non in un chiostro, ma nel mondo. Voglio che tutto il mondo sia la mia casa e tutta l’umanità la mia famiglia (…) la vita contemplativa nel mondo”.
Intende proporre ai battezzati un cristianesimo puro, radicale. Scrive: “Pochissimi sono i cristiani. Tanti pur senza saperlo non hanno più di cristiano che il nome. Quanto difficilmente uno è guidato nel suo sperare, nel suo operare dalla fede! E come pochi sono coloro che sentono la loro miseria! Non la conoscono, non conoscono più il peccato, tutto per loro si esaurisce, almeno praticamente, in questa vita presente, e anche la religione non sembra avere per loro altra finalità che quella di prestare qualche vantaggio alla vita… Bisogna che il mondo riconosca la verità del Discorso della montagna e lo veda nei veri cristiani. Non bisogna patteggiare con lo spirito del mondo…”.
Il Concilio Vaticano II indicherà nella santità dei laici non solo un cammino possibile ma una necessità ed una ricchezza indispensabili per la vita della Chiesa, ma don Divo già nel 1942 ne avverte tutta l’urgenza, sente che Dio stesso lo vuole, in una famiglia religiosa nuova. Con questa profonda intuizione darà vita nel 1947 alla Comunità dei figli di Dio: “ ..Non scopo particolare, ma unione di anime regali, uomini, in una vita religiosa comune (contemplativa) per alimentare in loro la fiamma di una carità eroica che ci faccia testimoni di Cristo, rivelatori di Dio nel mondo. (…) le anime, pienamente libere, debbono, non servire l’opera e le sue realizzazioni , ma il mondo… entrare così come lievito nella pasta (….) operai nelle officine, professori negli istituti di educazione e nelle università (…) scrittori nelle riviste e nei giornali, penetrare in tutti gli ambienti (…) queste anime che unite fra loro alimentano in una seria assoluta dedizione a Dio, (…) la carità divina che solo può far collaborare l’uomo con Dio alla salvezza e redenzione del mondo: l’opera più alta e universale che tutte le abbraccia…”.
Richiamo continuo del padre e pilastro della spiritualità della CFD il vivere “alla divina presenza”. Non separazione tra vita spirituale e vita ordinaria, ma perfetta osmosi. Vivere la Divina Presenza in ogni condizione di vita, e addirittura in ogni atto di vita. Tendere umilmente ma costantemente ad una unione trasformante per non essere più noi ad agire ma Dio stesso in noi e per mezzo nostro.
Mezzo efficace per questa unione trasformante è la liturgia. Il padre esorta: “Bisogna conoscere la grandezza dell’atto liturgico che è la Messa, e imparare a viverlo”. La Liturgia Eucaristica al primo posto in comunità ma anche (già nel 1947!) la liturgia come recita di Lodi, Vespri e Compieta perché è urgente per il cristiano usare i mezzi di cui la Chiesa dispone per vivere un cristianesimo integrale. Oltre all’impegno personale di preghiera si cresce nell’incontro settimanale nei gruppi ove si prega, si legge e medita tutta la Bibbia in sei anni, si beneficia delle meditazioni lasciate dal padre, si fa comunione tra fratelli e sorelle che portano lì la ricchezza dei diversi stati di vita. Ogni mese un incontro della famiglia locale con la partecipazione alla santa Messa e la trattazione di un tema. Altro incontro mensile per gli esercizi spirituali, gli esercizi “piccoli”, mentre una volta all’anno gli esercizi della durata di alcuni giorni.
La consacrazione a Dio, precisamente al Verbo alla Vergine ed alla Chiesa, dopo un periodo di discernimento accompagnato da un consacrato, ci unisce indissolubilmente alla Comunità, è un atto sacro, un atto in cui l’anima si dona interamente e per sempre a Dio, lasciando che sia lui a condurre la sua vita. Chi fa l’atto di consacrazione dichiara di “cercare Dio solo”, nella Comunità dei figli di Dio.
La comunità è stata la risposta di un uomo (don Divo Barsotti) ad una domanda di Dio, dunque il consacrato sia esso laico, sacerdote, sposato o singolo, a motivo della consacrazione e in forza di questa deve brillare di luce non propria nel mondo, per vivere, in qualsiasi stato di vita sia stato chiamato (una novità per la spiritualità occidentale) la vita propria della tradizione monastica:
ascolto della parola di Dio
esercizio del primato delle virtù teologali
fedeltà alla liturgia e ai sacramenti
contemplazione e preghiera.
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