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Chiamati a «riscoprire la politicità del messaggio evangelico» – Intervista a Luca Kocci

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Quello tra fede e politica è un rapporto che, specialmente in Occidente, ha generato lungo i secoli aperture, novità, scontri e cambiamenti. Oltre ad essere abitato dall’esperienza popolare e democristiana, il Novecento italiano ha visto sorgere e, in breve, tramontare l’esperienza dei cristiani per il socialismo. Della vicenda e dell’attualità di quell’esperimento ne discutiamo con Luca Kocci. Insegnante di italiano e storia presso gli istituti superiori a Roma, Kocci collabora con Il Manifesto e Adista. Di recente, per la casa editrice Il pozzo di Giacobbe, ha pubblicato il volume Cristiani per il socialismo 1973-1984. Un movimento tra fede e politica.

– Professore Kocci, quali sono le radici ideali e storiche dell’esperienza dei cristiani per il socialismo?

La vicenda dei Cps costituisce una tappa importante nel lungo percorso delle relazioni fra cristianesimo e marxismo, che si sviluppano soprattutto in Europa nel corso del Novecento e si intensificano poi a partire dagli anni Sessanta.

In questo periodo, infatti, nel mondo comunista si verificano significativi mutamenti che aiutano a superare alcune diffidenze del passato nei confronti dei cattolici. A livello internazionale, il processo di destalinizzazione avviato con il XX congresso del Pcus del 1956. In Italia il X congresso del Pci del 1962, nel quale si riconosce che l’aspirazione a una società socialista «può farsi strada in uomini che hanno una fede religiosa» e che anzi «può trovare uno stimolo nella coscienza religiosa stessa, posta di fronte ai drammatici problemi del mondo contemporanei»; e, l’anno successivo, il discorso di Palmiro Togliatti a Bergamo, dal titolo Il destino dell’uomo, che lancia ai cattolici un appello «alla comprensione reciproca e all’intesa» su alcuni temi, a cominciare dalla minaccia nucleare.

Vi sono svolte importante anche nella Chiesa. Il pontificato di Giovanni XXIII, l’enciclica Pacem in terris e il Concilio ecumenico Vaticano II inaugurano infatti una fase di apertura al mondo moderno e allentano il rigido anticomunismo della stagione di Pio XII, facilitando così il dialogo fra cattolici e marxisti e innescando nuove riflessioni all’interno delle grandi associazioni ecclesiali: l’esempio più eclatante è quello delle Acli che rinunciano al collateralismo con la Dc e formulano l’«ipotesi socialista». Poi c’è l’irruzione del Sessantotto, che produce anche una significativa «contestazione cattolica», il cui esito più evidente è la nascita delle Comunità cristiane di base, le quali, perlomeno nella fase iniziale, hanno un peso importante nei Cps.

Questo è il terreno nel quale i Cps italiani affondano le proprie radici. Ispirandosi però, anzi ponendosi in diretta continuità, con un’omonima esperienza. Due anni prima, infatti, i Cps erano già nati nel Cile di Allende e si erano diffusi in altri Paesi dell’America latina, abbeverandosi per così dire alla teologia della liberazione, un nuovo modo di fare teologia a partire dalla realtà sociale dei poveri – analizzata anche con gli strumenti delle scienze sociali, marxismo compreso – e diretto alla costruzione di una prassi di liberazione nella storia, con evidenti ricadute politiche. I Cps italiani si pongono esplicitamente in continuità con l’esperienza latinoamericana.     

– In Italia, i cristiani per il socialismo hanno avuto una breve ma significativa parabola tesa tanto alla riforma della politica quanto a quella della Chiesa. Quali furono i temi politici ed ecclesiali che proposero in quegli anni alla società italiana?

I Cps sono stati un movimento politico e non ecclesiale, ma è vero che hanno sempre camminato su due gambe: quella dell’impegno politico e quella dell’impegno ecclesiale, con l’obiettivo di trasformare la società in senso socialista e rinnovare la Chiesa in senso evangelico.

Per quanto riguarda la politica, l’intento principale era quello di demolire il “comandamento” che prescriveva l’unità politica dei cattolici nella Dc e di orientare a sinistra la militanza politica dei credenti, senza privilegiare un partito in particolare e senza voler costruire una sorta di componente o di corrente cattolica nella sinistra, anzi contestando la stessa categoria sociologica e politica di cattolico. Nello stesso tempo volevano sollecitare le forze della sinistra ad affrontare la “questione cattolica” e aiutarle a superare una sorta di miopia, cercando di far comprendere che il cosiddetto mondo cattolico non era un unico blocco monolitico reazionario, ma che al suo interno vi erano sensibilità e posizioni differenziate con cui era possibile intraprendere percorsi comuni. Per quanto riguarda i principali temi sociali e politici su cui i Cps si sono impegnati, oltre alle campagne elettorali del 1975 e 1976 per il voto a sinistra, direi il referendum per il no all’abrogazione della legge sul divorzio (nel 1974), la battaglia contro il Concordato – evidenziando però posizioni differenziate fra chi puntava a una radicale revisione e chi invece a una totale abrogazione – e ancora l’impegno per una legge sull’aborto, che viene approvata nel 1978, e poi la campagna per confermare la legge nel referendum del 1981, sebbene il movimento in questi anni fosse già in crisi.

Per quanto riguarda i temi più ecclesiali, direi l’elaborazione di una densa riflessione su alcune tematiche particolari: il rapporto fra fede e politica, l’alienazione e l’ideologia religiosa – per la riscoperta di un’autentica fede evangelica, liberata da “incrostazioni borghesi” accumulatesi nel tempo –, la religiosità popolare, la lettura materialistica della Bibbia, la laicità.

– I documenti del Concilio Vaticano II rappresentarono una svolta a sostegno dell’impegno plurale dei cattolici nella politica. Le acquisizioni dell’assise conciliare come influirono sul cammino dei cristiani per il socialismo?

Premesso che la ricezione del Concilio è stata tutt’altro che pacifica e univoca – come dimostrano le forti tensioni che attraversarono la Chiesa e il mondo cattolico nella tumultuosa fase del post Concilio –, tuttavia quell’assise ha in un certo senso dichiarato la fine di un’epoca, affermando, soprattutto nella costituzione Gaudium et spes, l’autonomia dei laici nelle attività e nelle scelte politiche: alle gerarchie ecclesiastiche non spetta fornire indicazioni specifiche, ma solo formare le coscienze cristiane dei fedeli, il cui compito è quello «di inscrivere la legge divina nella vita della città terrena». Vengono quindi modificati alcuni importanti aspetti dell’eredità intransigente sul rapporto fra Chiesa e società: è riconosciuta la legittimità di forme di autodeterminazione nell’organizzazione del consorzio civile, svincolando l’azione politica dei cattolici dalla diretta dipendenza dalla gerarchia, anche se non viene completamente superato il controllo generale sulle forme della vita collettiva da parte dell’autorità ecclesiastica, che si riserva il giudizio morale sui diritti fondamentali dell’uomo e la decisione finale circa gli scopi dell’attività politica dei fedeli. In ogni caso il Concilio afferma che la fede non può essere usata come puntello dell’azione politica. I Cps, pur con le loro contraddizioni, si inseriscono in questa faglia

– Nel suo recente volume Cristiani per il socialismo 1973-1984. Un movimento tra fede e politica emerge un modo peculiare di intendere la relazione fra fede e politica da parte di cristiani per il socialismo. Quali sono le loro principali maturazioni su questo tema?

L’obiettivo era quello di riuscire a vivere la militanza politica in stretto rapporto con una fede liberata da ideologie religiose, senza dualismi, cioè separando la fede dalla politica e viceversa; senza intimismi, riducendo quindi la fede a fatto privato; senza integrismi, facendo cioè derivare dalla fede le scelte politiche; ma riscoprendo tutta la politicità del messaggio evangelico. In generale i Cps hanno posto ai cristiani il tema di come poter essere insieme credenti nella sinistra e socialisti nella Chiesa, senza logiche identitarie o correntizie e senza dover abiurare la fede o rinunciare alle convinzioni politiche.

– Quale messaggio offrono all’attuale momento politico, le tesi e l’esperimento dei cristiani per il socialismo?

In una fase di crisi della partecipazione politica e di ripiegamento individualistico nel proprio particolare, direi che l’esperienza dei Cps prima di tutto rilancia il tema dell’“amore politico”, ovvero della politicità del messaggio evangelico di cui si parlava prima. In secondo luogo ricorda che il cristianesimo non è una religione civile identitaria, magari da utilizzare come clava nei confronti degli avversari, bensì una fede che spinge anche all’azione politica, ma che questa va condotta in maniera laica, senza quindi farsi portatori di specifici valori o interessi cattolici. Infine l’«opzione preferenziale per i poveri», per dirla al modo della teologia della liberazione.    

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