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I Chiaroscuri – Gli occhi del bambino e le ragioni dei potenti

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Bambini bruciati dalle bombe

Ha fatto il giro del mondo l’immagine del bambino curdo ricoverato nell’ospedale di Hasakah, in Siria, i cui grandi occhi spalancati sono l’unico elemento intatto di un volto sfigurato. La pelle è stata portata via, cancellata da uno dei bombardamenti turchi sulla cittadina di Rais al-Ayn.

I medici dicono che queste ustioni sono state probabilmente causate da bombe al napalm, quelle vietate dalla convenzioni internazionali che, secondo i curdi, sono state usate dalle truppe di Ankara nella loro offensiva.

Erdogan lo nega. Ma quel che conta, al di là degli ordigni utilizzati, è che a essere stati colpiti sono dei bambini. Nell’ospedale di Hasakak ce ne sono ricoverati altri, anch’essi marchiati, in tutte le parti del corpo, dal fuoco scatenato dai turchi, piccole creature – dicono gli inviati che li hanno visti – adagiati in grandi letti dalle lenzuola azzurre, di cui il personale sanitario cerca di lenire con ogni mezzo le sofferenze atroci e che resteranno probabilmente segnati per sempre nella carne da ciò che è accaduto loro, improvvisamente, in un giorno d’autunno del 2019, senza che essi possano comprenderne la ragione.

Una telefonata fra Trump ed Edogan

Noi sì, la conosciamo. Ma se anche potessimo, non avremmo il coraggio di spiegare a quel bambino che la sua vita è stata distrutta, insieme a quella di migliaia di altri esseri umani, perché un giorno, improvvisamente – cogliendo di sorpresa i suoi stessi collaboratori – il presidente degli Stati Uniti Trump ha comunicato per telefono al presidente turco Erdogan che i soldati americani sarebbero stati ritirati dal confine tra Siria e Turchia, dove erano arrivati con l’aiuto dei curdi nella loro lotta contro l’Isis.

Con questa mossa si apriva la possibilità per i turchi di scatenare un’offensiva per superare quel confine. Ma pare che Trump, in quella telefonata, abbia fatto anche di più, incoraggiando addirittura il suo collega turco con un atteggiamento di particolare benevolenza e promettendo di superare i dissapori che si erano creati dopo il recente acquisto da parte di Ankara di una partita di missili prodotti dalla Russia.

Un cinico marchingegno diplomatico

Un modo, insomma, per restituire calore a un legame diplomatico tra Usa e Turchia che si era parecchio raffreddato, ma anche, dicono molti osservatori, per impegnare i turchi in un’impresa in cui avrebbero potuto impantanarsi e distrarsi da altri obiettivi. Insomma, un marchingegno diplomatico.

Particolarmente cinico, perché gli Stati Uniti avevano avuto dai combattenti curdi un aiuto decisivo nella lotta contro l’Isis e sapevano che, abbandonandoli, avrebbero esposti loro e le loro famiglie a un massacro da parte delle preponderanti forze turche.

In realtà, una catastrofe politica…

Un marchingegno, però, “alla Trump”, quindi dissennato. Il risultato di questa furbata, infatti, è stato disastroso innanzi tutto per gli Stati Uniti, perché i curdi sono stati costretti a lasciarsi sostenere dal nemico contro cui fino a ieri avevano combattuto, insieme agli americani, il premier siriano Assad, il quale a sua volta è sostenuto dai russi. Cosicché proprio i soldati di Mosca hanno potuto riempire i vuoti lasciati dal ritiro di quelli statunitensi.

Inoltre, le migliaia di prigionieri dell’Isis che erano sorvegliati dai curdi sono stati messi in condizione, dalla loro ritirata, di tornare in libertà, resuscitando il fantasma dello Stato islamico appena sconfitto.

E un boomerang per il presidente americano

Ma la mossa di Trump è anche ricaduta, come un boomerang, sulla sua persona, perché in America il tradimento nei confronti dei curdi è stato preso malissimo dall’opinione pubblica e ha suscitato le vivaci proteste di diversi senatori del partito repubblicano – quello che sostiene il presidente –, particolarmente allarmanti per quest’ultimo in un momento in cui da parte dei democratici è stato proposto un procedimento di impeachment nei suoi confronti e ogni voto in Senato può essere decisivo.

Il mancato aiuto dei curdi in Normandia

Da qui prima le maldestre precisazioni volte a sminuire la portata del ritiro annunciato, poi l’annuncio dei paletti posti all’operazione turca, poi le reiterate minacce di sanzioni economiche se l’operazione non fosse stata fermata. Una penosa e confusa marcia indietro che non ha potuto impedire le conseguenze politiche disastrose di cui si parlava prima. Peggio di così…

Senza parlare delle ancora più maldestre argomentazioni portate al presidente americano per sostenere che non c’era stato da parte sua alcun vero “tradimento” di un alleato, per il semplice fatto che i curdi non possono essere considerati, a suo avviso, degli “alleati”.

È vero che sono stati valorosi combattenti a fianco degli americani e più di loro nelle recenti battaglie contro l’Isis, però, ha notato Trump – lasciando di sasso amici e avversari – «i curdi non ci aiutarono nella Seconda Guerra mondiale, non ci aiutarono in Normandia, per esempio».

Qualcosa di peggio

In realtà, qualcosa di peggio dei disastri politici e delle pessime figure il marchingegno di Trump lo ha provocato. Ne troviamo il segno nei corpi martoriati dei bambini curdi bruciati dalle bombe dell’esercito turco. È stato il massacro o la fuga di migliaia e migliaia di civili (250.000 gli sfollati), i cui villaggi sono stati investiti dall’offensiva voluta da Erdogan contro quelli che lui da sempre definisce “terroristi”.

Un popolo senza Stato

È vero che alcuni atti di terrorismo i curdi in questi anni li hanno compiuti. E il terrorismo non può essere mai giustificato per alcun motivo, perché uccide sempre degli innocenti. Però, nel condannarlo senza “se” e senza “ma”, è giusto fare lo stesso con i comportamenti violenti di chi lo provoca. E, nel caso dei curdi, questi comportamenti sono di una gravità eccezionale.

Perché questo popolo è tra gli ultimi gruppi etnici rimasti nell’attuale contesto geopolitico a non vedersi riconosciuto l’identità di Stato, perché il territorio – il Kurdistan – su esso si trova stanziato è in realtà distribuito sotto la sovranità di quattro Stati – Turchia, Siria, Iran e Iraq, nessuno dei quali intende rinunziarvi.

C’è dunque un popolo, stimato tra i 25 e i 30 milioni di persone, che non ha una espressione politica e che da decenni cerca disperatamente ottenerla, lottando contro l’ostilità dei Paesi che dovrebbero concederla e contro l’indifferenza di tutti gli altri – le responsabilità dell’Europa sono gravissime – , che preferiscono mantener i buoni rapporti con quei Paesi. Salvo a sfruttare il coraggio e il valore militare dei curdi quando ce n’è bisogno.

Le “ragioni” di Erdogan

È in questo quadro che va letta l’offensiva di Erdogan. Essa, secondo gli osservatori, è stata lanciata anche per motivi di prestigio personale, perché una guerra sovranista ottiene sempre un largo margine di consenso, e il presidente turco, reduce dalla recente sconfitta nelle elezioni del sindaco di Istanbul, ne aveva bisogno.

Ma il suo scopo era anche di impedire che la creazione di un’area autonomamente gestita dai curdi nel nord della Siria potesse costituire un’attrattiva per quelli sottoposti allo Stato turco, col conseguente rafforzamento delle spinte separatista caldeggiate dal partito filo-curdo. Nella fascia di territorio strappata ai curdi in questi giorni, il presidente turco conta di trasferire le centinaia di miglia di rifugiati siriani attualmente stanziati nei confini della Turchia, col duplice vantaggio di liberarsene e di far stanziare, sulla terra dei curdi, gente che non ha nessuna rivendicazione da avanzare. Insomma, una vera e propria “pulizia etnica”.

Non possiamo raccontare questa storia

“Ciliegina sulla torta” di questa assurda guerra è la finta tregua, proclamata con enfasi ai media, ma ignorata di fatto dai turchi, che hanno continuato imperterriti a colpire e ad avanzare. L’unico che ha mostrato di crederci e ha esultato per questo immaginario successo del proprio ruolo di pacificatore è stato Trump: «È un risultato fantastico, ringrazio la Turchia, ringrazio i curdi, milioni di vite sono salve».

Tornano alla mente gli occhi del bambino senza nome ricoverato nell’ospedale di Hasakah. No, non avremmo, anche potendo, il coraggio di raccontargli questa storia, per spiegargli perché il suo volto è stato sfigurato e non ritornerà mai più ad essere quello di prima. Perché dovremmo, come uomini, prima ancora che come occidentali, vergognarci.

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