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I Chiaroscuri – La Brexit racconta…

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savagnone-3-small-articoloLa tradizionale disattenzione della nostra opinione pubblica a ciò che riguarda gli altri Paesi si è ancora una volta manifestata nella scarsa risonanza, in Italia, delle ultime notizie provenienti dal Regno Unito in tema di Brexit. Mentre i principali giornali dell’Occidente danno un grande rilevo a queste notizie, la stragrande maggioranza dei nostri è rimasta concentrata sulle tensioni che in questi giorni dividono Lega e 5stelle, nonché sui problemi interni dei pentastellati. Ma forse questa volta vale la pena uscire da questa autoreferenzialità e guardare cosa accade altrove – in questo caso in Inghilterra – proprio per rendersi meglio conto della portata e delle conseguenze delle scelte che si stanno facendo in Italia. E cominciamo qui col ricordarlo.

È noto che il governo giallo-verde ha deciso di cambiare la linea a cui finora i loro predecessori, sia di centro-sinistra che di centro-destra, si erano rigorosamente attenuti nei rapporti con l’Unione Europea, rifiutandosi di rispettare gli accordi sottoscritti dall’Italia in materia finanziaria e varando una legge di bilancio che sfora vistosamente rispetto al tetto massimo previsto in quegli accordi. Non è mio intento, in questo momento, illustrare dettagliatamente i pareri fortemente negativi che sono stati formulati nei confronti di questa legge da uffici e organismi competenti, dal Fondo Monetario Internazionale fino alla nostra Banca d’Italia e all’Istat. Quello che voglio sottolineare è che l’Italia si sta venendo a trovare in rotta di collisione con l’Europa, di cui finora era stata un pilastro e a cui legano non solo motivi storici del passato, ma concreti interessi del presente.

Naturalmente ci sono delle ragioni che spiegano la decisione dei nostri governanti, e non vanno sottovalutate. La principale mi sembra la volontà di uscire da una logica troppo remissiva nei confronti di due Paesi – Germania e Francia – che finora hanno dominato la scena europea imponendo regole che spesso sono sembrate funzionali ai loro interessi. Di questa logica sarebbe stata espressione la linea di austerity dettata dagli organi politico-economici europei, giustificando le polemiche espressioni di Salvini e Di Maio nei confronti dei «burocrati di Bruxelles». A questa linea i nostri due vicepremier e il nostro ministro dell’economia (che per la verità a lungo aveva resistito a questa svolta) oppongono la previsione che l’aumento del nostro deficit al 2,4% consentirà dei nuovi investimenti in grado di determinare, finalmente, la ripresa economica dell’Italia.

La stragrande maggioranza degli italiani – compreso chi scrive – non ha la competenza per valutare la fondatezza sia delle critiche provenienti da Bruxelles, sia della risposta del nostro governo. Francamente, sembrerebbe smentire l’ipotesi di un accanimento meramente burocratico dei vertici dell’Unione Europea il fatto che due Paesi come l’Olanda e soprattutto l’Austria – quest’ultima guidata da un governo sovranista in piena sintonia con Salvini nella polemica con l’Europa – si siano precipitati a chiedere l’avvio della procedura di infrazione contro l’Italia.

Quanto al fatto che altre nazioni in passato si siano accollati dei deficit pari o maggiori rispetto a quello ora previsto dal governo italiano, non sembra peregrina la risposta di Bruxelles che ricorda il nostro enorme debito pubblico, molto superiore a quello delle nazioni in questione. Tanto più che, invece di andare a investimenti produttivi, i soldi del deficit saranno investiti nel reddito di cittadinanza e nella riforma del sistema pensionistico Fornero, adempiendo così promesse fatte dai 5stelle ai loro elettori, ma rendendo problematica la promessa di una forte ripresa produttiva. E costituisce un ulteriore motivo di forte perplessità il fatto che non ci sia stato un solo organismo nazionale o internazionale d’accordo sulla plausibilità di questa previsione.

Ripeto, però, di non avere la competenza per dare un giudizio definitivo sulla validità o meno della scelta di Salvini e Di Maio di «tirare dritto» mostrando i denti all’Europa. È qui, però, che entrano in scena le notizie provenienti in questi ultimi giorni da Londra a proposito degli esiti della Brexit, a cui dicevo che tutti gli italiani faremmo bene a prestare la massima attenzione.

Prime Minister Theresa May attended the Munich Security Conference. di Number 10, su Flickr
Prime Minister Theresa May attended the Munich Security Conference. di Number 10, su Flickr

Perché la scelta del Regno Unito di uscire dall’Europa fu, due anni fa, motivata dalla stessa insofferenza verso i «burocrati di Bruxelles» di cui Salvini e Di Maio dicono di essere stufi. E la prospettiva sbandierata da quanti – con toni definiti “populisti” dagli osservatori – avevano convinto la maggioranza degli inglesi a riprendersi la loro autonomia (del resto mai del tutto cessata: l’Inghilterra aveva mantenuto la sua moneta) era la stessa oggi proposta da Lega e 5stelle: la difesa degli interessi dei propri cittadini contro le imposizioni provenienti dall’esterno. Già allora c’era, nel Regno Unito, chi sosteneva che dalla Brexit non poteva venire nulla di buono per l’Inghilterra. Ma era stato smentito con toni perentori e deriso.

Ebbene, noi oggi siamo in grado di constatare che cosa è accaduto e chi aveva ragione. Dopo venti mesi di faticosi negoziati, la premier inglese Teresa May si è presentata ai suoi con il migliore accordo possibile strappato alla controparte dell’UE. Un accordo così disastroso da indurre due ministri e due sottosegretari del suo stesso governo a dimettersi (ma di altri cinque si sa che sono contrari) e da provocare una rivolta nel partito conservatore di cui la May è leader, nonché nell’intera Inghilterra. Il quotidiano «Guardian» ha titolato significativamente: «Governo diviso, partito diviso, nazione divisa». E il «Daily Telegraph», che era stato un sostenitore della Brexit, ha definito questo accordo «un tradimento». La risposta della May – su cui lei conta per piegare le resistenze – è semplicemente che, se questo accordo non viene accettato dall’Inghilterra, si andrà a una separazione «al buio», con danni ancora peggiori. Insomma, “o così o pomì”.

Da parte sua l’autorevole «Financial Time» parla di «illusioni della Brexit che vanno in frantumi», ora che questo accordo – che pure il giornale riconosce come il migliore possibile – mette l’Inghilterra di fronte alla realtà ed evidenzia i costi enormi del distacco. «Abbiamo sbagliato i calcoli», scrive ancora il Financial Time. E fa notare che il danno non è solo economico, ma anche politico, perché con la Brexit il Regno Unito rischia di avere un peso molto minore nelle questioni internazionali.

Dove sono finiti quelli che avevano urlato agli inglesi, nelle piazze e su social, le loro entusiasmanti promesse? Quelli di loro che hanno il coraggio di farsi ancora sentire, cercando di gettare sulla incapacità della May nel negoziare la colpa di questo disastro. Insomma, si cerca un capro espiatorio. E certamente così accadrebbe in Italia, dove un futuro analogo – se, “mostrando i denti”, alla fine si arrivasse alla rottura – verrebbe addebitato non alla cecità e all’ostinazione del governo, ma a complotti internazionali (di cui già si è cominciato a parlare), a resistenze interne (chi si oppone al governo già viene additato come un nemico del popolo italiano…), insomma a qualcun altro.

Non possiamo escludere che gli italiani ci crederebbero, come hanno già creduto in questi mesi ad altre menzogne. E forse ad essere linciati (almeno mediaticamente) dalla folla inferocita potrebbero essere proprio coloro che oggi stanno denunziando i pericoli della Legge di bilancio. Questo non esime chi è in grado di farlo dal guardare la realtà. E di chiedere ai propri connazionali, se non credono alle previsioni negative, di fare almeno il piccolo sforzo di guardare ai fatti, là dove queste previsioni si sono realizzate.

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