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Chiese moderne da curare

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di Valeria Viola

 

Posta sulla cima di una collina della Francia orientale, la Cappella della Nostra Signora dell’Alto, realizzata da Le Corbusier a Ronchamp nel 1954, è stata meta di pellegrinaggi di migliaia di cattolici ed architetti di qualunque confessione per 60 anni, largamente considerata la più importante opera di uno dei più influenti architetti del XX secolo.

A metà gennaio, una delle sue vetrate dipinte a mano dall’artista è stata frantumata da ignoti vandali che si sono introdotti all’interno della chiesa ed hanno poi gettato verso l’esterno il contenitore per la raccolta delle offerte. L’oggetto, di per sé quasi vuoto ma pesante perché realizzato in calcestruzzo, ha distrutto l’unica vetrata che riportava la firma originale di Le Corbusier, un piccolo riquadro blu dove erano dipinti una figura umana ed una luna.

Il fatto ha provocato un ampio dibattito sulla difesa delle opere moderne e di questa chiesa in particolare. Al centro della polemica è finita l’Associazione L’Oeuvre de Notre-Dame du Haut, colpevole, secondo lo storico J.R. Curtis, di aver lasciato trasformare la cappella in una “macchina-per-soldi”, spendendo più di 10 milioni di euro per dei lavori di ampliamento delle infrastrutture e non curandosi però della manutenzione e del sistema di sicurezza della Cappella.

Aldilà delle diverse polemiche, il fatto mette in luce come il patrimonio sacro del Novecento sia stato raramente oggetto di attenzione e tutela, nonostante i capolavori che contiene: la questione riguarda soprattutto la nostra realtà italiana dove appena si parla delle chiese del secolo scorso le persone storcono il naso e non ne ammettono l’importanza artistica. E’ da ammettere che la maggior parte delle chiese realizzate nel secondo dopoguerra sul nostro territorio ha dimostrato un’incredibile superficialità nel trattare il tema sacro e ciò ha fatto sì che l’opinione dell’uomo comune si radicalizzasse nel rifiuto delle chiese moderne a favore delle fabbriche antiche (rifiuto che ha, comunque, investito quasi tutta la produzione architettonica contemporanea, non soltanto quella religiosa).

Eppure, noi figli del Concilio Vaticano II dovremmo riuscire ad individuare nella – purtroppo ampia – casistica di esperimenti non riusciti, quegli importanti momenti di riflessione progettuale che, sebbene turbati dalla “gestualità” di alcuni casi, tentarono di dare una risposta all’inquietudine del mondo moderno, subito prima di quella che è stata la proposta della Sacrosantum Concilium.

E’ pur vero che anche negli anni del dopo Concilio sono stati registrati, al livello operativo, alcuni fraintendimenti delle direttive conciliari che hanno causato il nascondimento della chiesa rispetto alla città, la ricerca dell’anonimato o “del sembrare altro” quasi come una risposta alla visibilità eccessiva dei secoli precedenti.

Tali deformazioni del messaggio conciliare sono state forse conseguenti alla secolarizzazione propria del XX secolo, alla tendenza ad escludere Dio dal giudicare il mondo relegandoLo in un ambito esclusivamente privato, enfatizzando una dimensione “colloquiale” dell’evento sacro.

Ultimamente, però possiamo indicare esempi di una giusta progettualità sacra contemporanea, verificatasi significativamente quando il compito è stato affidato ad uno staff competente, in cui non è solo un architetto attento o delle maestranze affidabili, ma spesso anche un consulente che esplora i problemi ecclesiologici e liturgici.

Uno di questi esempi è la parrocchia romana Dives in Misericordia (2003) di Richard Meier, chiesa voluta da Papa Giovanni Paolo II per il giubileo del 2000 e che “risolve sia il tema essenziale dell’accoglienza sia quello del dialogo con il quartiere”, ponendosi quale cerniera tra campagna e periferia.

Quando l’ho vista un paio di mesi fa ne sono stata notevolmente colpita. Il tema del cammino, proprio della tradizione cristiana è presente ma è significativamente invertito aprendo la chiesa al contesto: la “barca-chiesa” con le 3 grandi vele ha la prua-ingresso verso oriente (laddove è il quartiere di Tor Tre Teste) mentre l’altare-motore è ad occidente. A quanto è detto dalla stessa parrocchia, la chiesa ha trainato il quartiere anche in un senso meno metaforico: ricercata da un particolare tipo di turisti seppur lontana dagli itinerari classici, ha portato a questo quartiere periferico una nuova porta verso il mondo.

Dato il caso di Ronchamp, è opportuno però mettere in evidenza che le architetture moderne sembrano avere più di quelle antiche necessità di manutenzione e, soprattutto, devono essere molto spesso preservate dall’intervento dell’uomo. Questi in buonafede a volte manomette, sposta o modifica opere d’arte senza tener conto che esse sono realizzate secondo un progetto iconografico preciso; peggio ancora quando l’uomo ruba, danneggia o vandalizza queste stesse opere.

Non ho visto sistema di sorveglianza nella chiesa del giubileo, ma spero tanto ci sia.

 

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