Il passo del Vangelo: Mt 14, 13-21
13Avendo udito questo, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. 14Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati.
15Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». 16Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». 17Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». 18Ed egli disse: «Portatemeli qui». 19E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. 20Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. 21Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.
La liturgia di questa domenica ci invita a riflettere sul tema della generosità di Dio Padre, che ama senza riserve, donando il pane gratuitamente ai suoi amici (cfr. Sal 127).
La prima lettura: fiducia nel Dio che dona con abbondanza
La prima lettura, tratta dal Deuteronomio, contiene il messaggio di speranza del profeta Isaia, che invita ad avere fiducia nel Signore, anche nei momenti difficili, quando sembra che la sorte di ciascuno volga al peggio. Isaia rammenta le promesse di Jahvè, che invita tutti al Suo banchetto, anche coloro che non possono pagare. A tutti i suoi commensali il Signore offre vino e latte, cibi che sono segno del Regno di Dio (Dt 8) poiché sono simboli di abbondanza, di benedizione, di alleanza tra Dio e il Suo popolo. Tuttavia una vita agiata e prospera non deve condurre l’uomo a dimenticare Dio: la ricchezza dona l’illusione di un’esistenza senza pensieri, pienamente realizzata e appagante, ma al di là delle apparenze la realtà è profondamente diversa. Possedere molti oggetti non equivale a possedere se stessi; anzi l’essere umano compie un atto di disumanizzazione quando improntando la sua intera esistenza su uno spasmodico, irrefrenabile e mai pago desiderio di accumulazione perde il vista l’obiettivo fondamentale (cfr. Dt 8,12-14). Dimenticare Dio significa abbandonare la fonte della vita, per seguire i falsi idoli di una società costruita sul denaro, che non riesce ad appagare la nostra fame d’amore e di felicità. “Ricordati invece del Signore tuo Dio perché Egli ti dà la forza”(cfr. Dt 8,18).
Dio non abbandona
Anche la seconda lettura riprende il tema della sicurezza che può scaturire solo accettando senza riserve l’amore che Dio Padre, attraverso il Figlio, può offrire all’uomo. San Paolo fa riferimento a tutte quelle situazioni che potrebbero farci credere che Dio ci abbia abbandonato: tribolazione, angoscia, persecuzione, fame, nudità, pericolo, spada. In tutte queste situazioni – e Paolo l’ha sperimentato durante la sua missione – nulla può separare l’uomo dell’amore che Dio ha per lui.
Pane per gli altri: il donarsi che scardina le regole del possedere
Il vangelo ci mostra l’amore inclusivo di Cristo, che invita tutti e accoglie soprattutto gli ultimi, coloro che per la società sono invisibili: i piccoli, i poveri. Nella pericope di Matteo, l’evangelista collega il banchetto di Erode e la morte violenta di Giovanni Battista, con il banchetto che Gesù imbandisce per sfamare il suo popolo. Gesù è colui che sfama il popolo nel deserto, sebbene non con la manna piovuta dal cielo come Mosè (cfr. Es 16, 3-4), ma con un pane che fa vivere in eterno (cfr. Gv 6,48-51).
Di fronte alla morte violenta del Battista, Gesù si ritira nel silenzio e nella solitudine, affidando il tumulto del suo cuore nelle mani del Padre, attraverso la preghiera; anche la folla si ritira, seguendo il comportamento di Gesù. I discepoli invece vivono questa esperienza con crescente fastidio: vorrebbero poter occuparsi solo di se stessi e dei propri bisogni, Gesù invece, vedendo una grande folla e provandone compassione decide di sfamarla e si prende quindi cura di chi è debole. Sul far della sera, i discepoli si accostano al maestro, per metterlo in guardia; il luogo è deserto, è tardi, è ora di rifocillarsi e riposare: bisogna che Gesù congedi la folla.
Gesù risponde che non occorre che la gente vada via e anzi esorta i discepoli a scuotersi dal loro egoismo e spendersi in prima persona: “«Voi stessi date loro da mangiare»”. Tutti coloro che accolgono Gesù eucaristia devono essere a loro volta capaci di “farsi pane”, di donarsi gli altri. Non si tratta tout court di distribuire il pane alla folla affamata, ma occorre “farsi pane”, dare se stessi: ciò che sazia è il dono gratuito di sé.
I discepoli hanno solo cinque pani e due pesci, sanno di avere poco, ma non hanno ancora compreso che quel poco, donato col cuore, scardina le regole del possedere. Cinque pani e due pesci raggiungono in totale il numero di sette, che nella simbologia ebraica rimanda alla totalità; tuttavia ai discepoli il cibo sembra insufficiente, perché essi non vogliono privarsene per sfamare gli altri; non hanno ancora compreso che solo nella condivisione si crea la vera abbondanza. Gesù chiede allora ai discepoli che gli si portino i pani e i pesci (Egli chiede la nostra partecipazione, per imbandire il banchetto di cui parla anche il profeta Isaia) e ordina quindi alle folle di sdraiarsi a banchettare sull’erba.
L’evangelista descrive gli stessi gesti che Gesù compirà nell’ultima cena: non afferma che Gesù ha moltiplicato i pani e pesci, ma che Egli li ha condivisi. Gesù dà il cibo ai discepoli e questi a loro volta distribuiscono alle folle: il cibo, nella condivisione, sazia dando la vita e ne avanzano addirittura dodici ceste. Dodici è il numero delle 12 tribù ed equivale a dire tutti. “Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini”: si tratta della comunità dei primi cristiani, di cui vi è testimonianza negli Atti degli Apostoli (cfr. At 4). Il numero cinquemila indica che la comunità cristiana non è più vincolata dalla presenza del numero legale di almeno dieci uomini come nella sinagoga ebraica, ma che è una comunità che accoglie tutti, tutti coloro che praticano le beatitudini e che sono disponibili alla condivisione.
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