di Salvino Leone
I cardinali che eleggeranno il Papa chiusi nelle loro “Congregazioni generali” hanno un rigido obbligo del silenzio e probabilmente è giusto così per evitare distorsioni mediatiche. Ma non parlare non significa non ascoltare e, quindi, per quel senso di corresponsabilità ecclesiale che riguarda tutti i battezzati mi sento di potermi idealmente rivolgere a loro per formulare alcuni “punti programmatici” che mi piacerebbe potessero orientare la scelta del futuro Pontefice.
1) De-centralizzazione. Giovanni Paolo II nell’Ut unum sint ha affermato: “Sono convinto di avere a questo riguardo una responsabilità particolare, soprattutto nel constatare l’aspirazione ecumenica della maggior parte delle Comunità cristiane e ascoltando la domanda che mi è rivolta di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova (…) Compito immane, che non possiamo rifiutare e che non posso portare a termine da solo (nn. 95-96). Questo invito ad aiutarlo nel cercare nuove forme del primato petrino è rimasto pressoché inascoltato o subito tacciato come non ortodosso. Almeno finchè Benedetto XVI col suo gesto non ha improvvisamente rimesso tutto in discussione spostando l’accento dal Papa alla Chiesa perché, è bene ricordarlo, in questo momento storico siamo senza Papa, non senza Chiesa. Occorre allora prendere sul serio la collegialità episcopale non guardano sempre e comunque a Roma e a quella finestra, affettivamente cara, ma non unico punto di riferimento. Non bisogna stare in costante ascolto di ciò che dice il papa, di cio che vuole il papa, di ciò che pensa il papa ma di ciò che la Chiesa (con il Papa in testa che “presiede nella carità” come ci ricorda S. Ireneo) è e ci invita ad essere: la chiesa non è una repubblica presidenziale e la sua guida è lo Spirito Santo.
2) De-moralizzazione. Dice il Documento “Bibbia e Morale” della Pontificia Commissione Biblica: “la morale, senza essere secondaria, è seconda. Ciò che è primo e fondante è l’iniziativa di Dio, che noi esprimeremo teologicamente in termini di dono. In prospettiva biblica, la morale si radica nel dono previo della vita, dell’intelligenza e di una volontà libera (creazione) e, soprattutto, nell’offerta totalmente gratuita di una relazione privilegiata, intima, dell’uomo con Dio (alleanza). Essa non è per prima cosa risposta dell’uomo, bensì svelamento del progetto di Dio e dono di Dio. In altri termini, per
3) De-clericalizzazione. “Il ritorno dei chierici” è l’indovinato titolo di un libro del vaticanista Gianfranco Svidercoschi che centra in pieno quella deriva clericale che ormai si è instaurata da anni e che ha portato a nuove forme si sacralizzazione ma, soprattutto a un progressivo ridimensionamento dei laici: nel ruolo di docenti di teologia, nella loro profonda e assoluta dipendenza episcopale quali insegnanti di religione, nel ruolo della donna al progresso degli studi teologici, nella mancata valorizzazione del loro munus docentis o della loro “consultazione in materia di dottrina” come chiedeva Newmann. Anche nelle stesse nomine episcopali il loro ruolo, in contrasto con l’antica tradizione si è progressivamente indebolito. Persino alcune rivendicazioni sul sacerdozio femminile possono leggersi in fondo come un desiderio di clericalizzazione non rendendo giustizia alla donna per quello che è e può essere nella chiesa ma solo in rapporto al ministero sacerdotale.
4) Dialogo con il mondo. A questo punto proporrei tre tipologie di dialogo che andrebbero valorizzate. Innanzitutto il dialogo col mondo intrapreso da Giovanni XXIII e Paolo VI e poi in qualche modo affievolitosi. Il mondo con la bontà del suo ordine temporale, con la bontà dei suoi progressi scientifici, dei tanti uomini e donne “di buona volontà”. Purtroppo l’odierna accezione di mondo è quella del regno delle tenebre da cui ogni male proviene. All’apertura e fiducia conciliare si è sostituito il sospetto e, quindi, inevitabilmente forme di neo-apologetica che rivendicano primati e superiorità. Anche l’insistenza sulle radici cristiane dell’Europa può collocarsi in questa luce perdendo di vista le tante altre componenti storico-culturali che hanno contribuito, a volte dialetticamente e drammaticamente, a creare questo continente.
5) Dialogo con le altre chiese. Indubbiamente l’ecumenismo è in una fase di stallo. Ad alcuni felici momenti comunionali come quelli di comuni impegni per la pace, la giustizia, la salvaguardia del creato ecc. e accanto a obiettivi risultati teologici come il decreto sulla giustificazione firmato dalle chiese luterane e dalla chiesa cattolica, ancora molto rimane da fare. E’ vero non sempre gli ostacoli sono di parte cattolica ma certamente c’è uno spirito che si è profondamente affievolito. Quanti ricordano la settimana per l’Unità dei cristiani? In quante chiese si prega per questo grande obiettivo che è prioritario nel cuore di Dio? Quanti “sentono questo problema”? Soprattutto sul piano dell’evangelizzazione la disunione tra le chiese cristiane costituisce anche un grande ostacolo al diffondersi della fede. E, in ogni caso, comunione con le chiese, significa anche sinodalità, cioè camminare insieme alle altre chiese cristiane, al loro pensiero teologico e morale.
6) Dialogo tra Magistero e fedeli. E’ forse il punto più delicato e quello in cui si gioca ad intra il futuro della Chiesa, molto più dello scandalo della pedofilia e o del Vatileaks. E’ vero i fedeli ormai non ascoltano più il Magistero le cui parole, spesso formulate con linguaggi arcaici e non rispondenti alle realtà contemporanee, non hanno più alcuna presa. Il giusto e doveroso primato della coscienza rischia di diventare la nuova norma universale laddove questa non si riveli in grado di indicare obiettivi percorribili per l’uomo d’oggi. I fedeli non ascoltano il Magistero, è vero, ma al tempo stesso il Magistero non ascolta i fedeli e spesso non si sforza di identificare i “semi del Verbo” che lo Spirito ha diffuso in essi. Il sensus fidelium è oggi totalmente marginalizzato, non avendo più alcun ruolo nella formulazione del dettato magisteriale. La conclusione è quella di un Magistero e di fedeli che camminano su due parallele all’infinito, guardandosi ma senza mai incontrarsi.
Certo vi sono altri problemi che sottoporrei al nuovo Papa e a un organico piano di rinnovamento della Chiesa: il problema delle lotte di potere interne, dello IOR, delle fughe di notizie, di un maggiore trasparenza, di una sobrietà di stili istituzionali, di un contenimento della ricchezza, della risoluzione di annose questioni come quella dei divorziati risposati o del celibato sacerdotale, della necessità di leggere insegnamenti ormai ubiquitariamente disattesi come quelli relativi alla contraccezione, ecc. Questo ed altro ancora metterei nel pacchetto dei desiderata.
Ma, in sintesi e soprattutto, chiederei al Signore (e ai signori Cardinali) che il prossimo papa possa essere realmente servus servorum Dei.
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