10Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». 11Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto».12Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». 13Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».14Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
15Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, 16Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. 17Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
18Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.
Cambiare vita, per prepararsi all’incontro con Cristo
Giovanni Battista, ultimo dei profeti
La Parola di questa Domenica ci pone davanti all’immensa figura di Giovanni il Battista, l’uomo chiamato a preparare la strada a Cristo, il più grande tra i nati di donna (Lc 7,28). Egli è l’ultimo dei profeti nel senso veterotestamentario: quei personaggi aspri, ruvidi, perché chiamati a parlare di ciò che il Signore comanda nel proprio tempo e “contro” il proprio tempo, indirizzati a una vita spesso solitaria e di rigorosa rinuncia. Il tema della preparazione, che permea il tempo d’Avvento, trova in Giovanni, insieme alla Santa Vergine, dei luminosi simboli.
“Che cosa dobbiamo fare?”
La domanda del Vangelo odierno è l’interrogativo umano di fronte all’esistenza, di fronte ad un annuncio: che cosa dobbiamo fare? Coloro che ascoltano giungere dal deserto questa parola nuova, questo invito alla conversione, subito si interrogano su cosa deve cambiare nelle loro vite. Anche dopo la prima catechesi di Pietro, a Pentecoste, gli astanti porranno questa stessa domanda (At 2,37). C’è un dinamismo tra l’ascolto e l’azione, che è costante nella storia della salvezza.
Le azioni che salvano dall’indurimento del cuore
L’invito di Giovanni, come quello del tempo di Avvento per noi, è a preparare il cuore. Sarà proprio il cuore ad accogliere il Nuovo, il Veniente: per questo il Battista non comanda sacrifici ed olocausti ma una vita rinnovata dopo l’immersione nel fiume Giordano, un cuore nuovo (Ez 36,26). Il profeta esorta all’azione moralmente buona verso i fratelli, a rispetto, cura, condivisione e amore. A interrogarlo sono le folle, con le quali il profeta sottolinea la condivisione dei beni, ma anche pubblicani e soldati, ai quali non è ordinato di abbandonare il loro lavoro ma di non sfruttare, maltrattare ed estorcere. Tutti noi, nelle nostre diverse posizioni, poniamo questa domanda e per ognuno c’è una risposta adatta e personale: tutte convergono, però, in azioni che purificano dall’egoismo, dall’indurimento dei cuori, dall’odio verso gli altri, da ciò che ci allontana dalla vita di relazione. Perché ciò deve avvenire, in attesa del Cristo? Ci sono dei passaggi che i discepoli di Giovanni, poi discepoli di Gesù, avranno vissuto e che noi siamo chiamati a vivere in questo tempo di grazia.
Ascolto e azione
In primo luogo l’ascolto del precursore, delle parole “di uno che grida nel deserto” (Gv 1,23) e della sua stessa vita all’insegna della sobrietà. Solo dopo aver sentito un annuncio nuovo può nascere nel cuore la domanda su come cambiare vita: senza questa disponibilità all’ascolto rimaniamo nel flusso della quotidianità che non attende niente, che non vive nessun bisogno di salvezza. Il cambiamento di rotta, la metanoia, prepara ad una rinnovata disponibilità all’ascolto verso colui che battezzerà con Spirito Santo e fuoco, e nuovamente alle azioni che promanano da questo incontro. In questo senso si realizza un dinamismo tra ascolto e azione: l’ascolto si traduce in azione, l’azione rende disponibili all’ascolto. Giovanni prepara la venuta di Cristo denunciando i comportamenti ingiusti ed esortando la azioni che avvicinano a Dio: ciò sarà terreno fertile perché, all’incontro con il rabbì di Nazareth, possa avvenire la conversione.
Una vita predisposta all’incontro
Tutto conduce a lui. L’azione buona non solo scaturisce dall’incontro con Gesù, ma anche lo prepara, lo rende possibile; se così non fosse sarebbe bastata la predicazione di Giovanni perché il popolo si convertisse. Invece è l’incontro e l’ascolto di Cristo il centro, non (solo) l’agire morale. C’è un grande mistero di fronte al dono dell’incontro con Gesù perché si tratta, appunto, di un dono, quindi non sottoposto al nostro volere; il Vangelo di oggi, però, ci annuncia che possiamo lavorare, attraverso le azioni di amore verso il prossimo, per rendere la nostra vita terreno fertile per l’incontro con Cristo che ci viene incontro. La conversione può nascere, beninteso, anche nella folgorazione dell’uomo sulla via dell’errore, come avverrà per Paolo, ma ai discepoli di Giovanni, già disposti all’ascolto della verità, è questa la strada indicata.
Il pensiero che la nostra vita debba realmente cambiare è forse il più disturbante di questo tempo di Avvento e di sempre. Ma è questa la via, ognuno nel suo stato, per poter accogliere l’Eterno che abita il Tempo, che ci viene incontro per tutta la nostra vita.
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