Mi pare che l’esperienza della preghiera, insieme a quella dell’unione con Gesù nell’Eucaristia, sia stata quella su cui don Divo ha più insistito, l’esperienza a cui ci ha più insistentemente esortato, sviscerandola direi, per noi, nelle sue meditazioni, offrendocela come cosa “altissima” e al tempo stesso accessibile a tutti.
Si percepisce nelle sue lettere circolari l’ansia di un padre che vuole distribuire fra i figli tutte le sue ricchezze senza però indugiare ad attendere un tempo ultimo, e la preghiera è proprio una di queste ricchezze. Ci ha sempre esortati a farne esperienza quotidiana, non nascondendo anche la sua difficoltà, talvolta, affinché non ci scoraggiassimo nel viverla, dedicandole anzi la pazienza e l’attenzione dovuti alla ricerca della «perla preziosa» di Matteo.
Credo non abbia mai tenuto “corsi di preghiera”; piuttosto, leggendo i suoi diari, si percepisce come la preghiera sia progressivamente divenuta in lui respiro, luogo privilegiato per «l’ incontro con Dio». Si comprende allora perché ne abbia chiesto l’impegno quotidiano a tutti i consacrati in comunità, un impegno per la vita, perché la preghiera possa divenire per noi, progressivamente, un’attitudine ordinaria. Ci ha detto tante volte, infatti, che lo scopo della nostra vita, della vita di tutti, di tutta la storia, è proprio questo incontro.
«La vita cristiana non è raggiungere Dio, ma fargli posto». Questa affermazione di don Divo Barsotti mi pare riassuma l’esperienza di tutta la sua vita, la “ricerca di Dio solo”, e ci richiama ad un fondamento della nostra fede e cioè che «siamo stati creati a Sua immagine e somiglianza». Certo fare posto a Dio, per qualsiasi essere umano, si rivela arduo e sembra non umanamente possibile al pari di raggiungerlo; portare però nella nostra natura la sua impronta indelebile, vuol dire essere naturalmente portati, “vocati” ad entrare, tutti quanti, in un rapporto di conoscenza reciproca e persino di intimità profonda con Lui. Possiamo chiaramente sottrarci dall’approfondire questa relazione, perché anche se somiglianti a Lui siamo stati creati liberi, ma proprio a motivo di questa somiglianza, entrare in rapporto con Dio non solo ci è necessario ma è realmente possibile. Se si sceglie di “cercare Dio”, bisogna decidersi per un cammino spirituale che ci introdurrà sempre più profondamente in questo rapporto e questo cammino prima che comunitario è un cammino personale.
Nei vangeli possiamo vedere che Gesù stesso si apparta per pregare, cerca un momento di incontro profondo col Padre e questo è di esempio per l’uomo di tutti i tempi. I Padri ci insegnano che l’uomo è formato di corpo, anima e spirito, lo spirito però non si “muove”, non agisce se non è visitato dallo Spirito di Dio. Lo spirito dell’uomo non è lo Spirito Santo, l’uomo rimane creatura, ma lo spirito è in lui una componente fondamentale. Perciò senza Dio, senza lo Spirito Santo, che è il principio vitale, quasi la causa formale dello spirito umano, l’uomo resterebbe mutilato, vivrebbe si, ma non in pienezza.
Dal rapporto che si instaura tra lo Spirito Santo e lo spirito dell’uomo, spirito creato proprio come capacità di accoglierLo attraverso le virtù teologali, nasce la preghiera anzi…il rapporto è la preghiera. L’iniziativa è di Dio che si comunica all’uomo nel crearlo, per amore esce dalla sua solitudine, dalla sua trascendenza infinita, la risposta dell’uomo è preghiera, una risposta di amore dunque, un balbettìo se vogliamo all’inizio di un cammino spirituale, ma già principio di una conoscenza reciproca, atto primo in cui l’uomo accoglie Dio e simultaneamente lo conosce.
In numerosi diari don Divo ha condiviso la sua esperienza di Dio nella preghiera, vissuta come un colloquio pressocchè ininterrotto, se ne percepisce la dolcezza profonda ma anche, talvolta, la durezza, l’aridità, senza tuttavia che questo colloquio a ragione dell’aridità venga meno, anzi si fa più incalzante, insistente, fino a sfociare in un chiaro abbandono fiducioso, e in questo abbandono il padre don Divo vive e ci comunica l’esperienza trasformante della preghiera: «infine non chiedi più nulla, solo di poter amare sempre di più».
Con la consacrazione in Comunità si sceglie dunque di rispondere a Dio dando la nostra disponibilità, nei diversi stati di vita, ad imparare a vivere la nostra vita ordinaria immersi nella preghiera: l’uso quotidiano del breviario dunque ma anche l’allenamento al sentimento della divina presenza, nella tensione di passare progressivamente dal destinare alla preghiera un tempo della nostra giornata al vivere tutto il nostro tempo in Dio. Ci sono raccomandate la semplicità e la continuità, caratteri che indicano anche il contenuto della preghiera.
La semplicità consiste nel trasformare ogni forma di vita e di attività umana in preghiera. Infatti, se la preghiera ci è necessaria per metterci in rapporto con Dio, è valida qualsiasi forma di preghiera, se raggiunge tale scopo: pregare col canto, con la mente, con le parole, con l’attenzione dell’anima, con il lavoro, con la sofferenza, con la gioia del cuore. Secondo l’esortazione di san Paolo: «Sia dunque che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio» (1 Cor. 10,31).
Crediamo d’altronde che con l’incarnazione del Cristo tutto ciò che è umano diviene ora il segno sacramentale della sua presenza e la preghiera coinvolge tutto il nostro essere . Facendo le più svariate cose nell’unico amore, si raggiunge l’unità della nostra vita esteriore ed interiore e si realizza l’unità con Dio. Prima di giungere a questo coinvolgimento di tutte le nostre potenze bisogna però esercitarsi, iniziare dedicando assiduamente un tempo della nostra giornata alla preghiera fino a che questa progressivamente trasfigurerà tutta la nostra giornata. La semplicità dunque implica la continuità, cioè la coscienza che «in ogni istante noi possiamo ricevere Dio». Il tempo non esiste in Dio, possiamo però con la preghiera partecipare dell’eternità. Il nostro tempo acquista un valore altissimo se ogni minuto mi può donare Dio e in ogni minuto io posso vivere l’eternità proprio a ragione del rapporto che realizzo con Dio nella preghiera. In comunità siamo esortati a distinguere lo spirito di preghiera dagli esercizi di pietà. Non sono richieste devozioni particolari perché ritenute mezzi utili a seconda della maturità spirituale di chi le usa. Ci sono raccomandate invece tutte le forme di preghiera attuale che la Chiesa conosce, il tempo da dedicarvi varia ovviamente in ordine al temperamento, alla vocazione specifica, alla maturità spirituale raggiunta.
Nelle meditazioni del padre troviamo anche una esortazione a non confondere la vera preghiera con l’esperienza psicologica. All’inizio della nostra vita spirituale c’è sempre un evento, un’esperienza che coinvolge la nostra sensibilità e suscita l’attenzione a Lui; possiamo ritenere che Egli stesso susciti così in noi il desiderio, la fame di Lui. Si tratta di quelle consolazioni interiori che i maestri di spirito consigliano di non rifiutare, ma da considerare mezzi e perciò da superare e abbandonare senza rammarico. Sono doni che Dio concede all’anima ma se ci si attacca a questi si corre il rischio di farne il nostro fine. Non è possibile dire con esattezza in cosa consista la vera preghiera: è al di là degli affetti, del pensiero, degli istinti, lo spirito rimane come sospeso in una purissima attenzione alla realtà di Dio. D’altra parte sul piano pratico la nostra vita spirituale è sempre mescolata all’esperienza psicologica, per tale ragione siamo sollecitati a vivere la preghiera attuale: ci assicura il giusto orientamento dello spirito e possiamo confidare sull’azione dello Spirito Santo in noi. Se poi la nostra anima avverte il desiderio di Dio, talvolta il timore di averlo perduto, possiamo ritenere di averne fatto esperienza.
Leggiamo nel vangelo di Giovanni: «I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità…Dio è spirito…» (4,23-24). La preghiera dello spirito è possibile in noi come preghiera virtuale, continua, anche se siamo impegnati in altre cose e ne abbiamo soltanto una coscienza riflessa. Certamente Gesù conosceva la nostra incapacità di vivere uno stato di concentrazione continua ma intendeva raccomandare un “orientamento” dello spirito che invece può essere continuo.
Per questa ragione nel cammino in Comunità siamo richiamati alla fedeltà alla preghiera stessa della Chiesa: partecipazione alla Messa, Ufficio divino, lettura biblica. Questi atti possono realizzare al massimo la vitalità dell’anima e costituire una vera ascesi per noi, completata però dall’ascesi dell’intelligenza, della volontà, dei sensi interni (fantasia, affetti) perché tutto sia rivolto, “convertito” a Dio.
Tutti gli atti possono essere vissuti in unione con Dio, sempre in rapporto con Lui nella fede più viva, di modo che non ci non ci sia più distinzione fra sacro e profano: tutto riconsacrato dalla preghiera. La preghiera è domanda, è intercessione, sempre nelle Scritture riceviamo testimonianza che la preghiera è onnipotente sul cuore di Dio, perciò la nostra spiritualità monastica pone l’orazione al di sopra di ogni forma di apostolato. La nostra azione, se trova in Dio il suo fondamento, può essere veramente efficace. Non abbiamo una efficacia diretta sugli altri; ma l’abbiamo sul piano soprannaturale, su Dio, se chiediamo nel nome di Cristo. Porre davanti a Lui tutte le necessità in un fiducioso abbandono è il nostro apostolato.
Durante le tempora di Pentecoste del 1975 don Divo ci scrive: «…nella Chiesa vi possono essere famiglie di anime più particolarmente impegnate a vivere la preghiera come loro particolare missione di amore. Fra queste famiglie una vuol essere la nostra Comunità. La preghiera dovrebbe essere il nostro respiro: è certo, comunque, che è almeno il nostro impegno più alto e vero. Che cosa saremmo se non fossimo una famiglia di oranti? A questo ci chiama prima di tutto l’adozione filiale: figli di Dio noi dobbiamo partecipare al colloquio che unisce eternamente il Padre e il Figlio nello Spirito Santo. È la lode divina che nasce da una conoscenza di Dio, dal riconoscimento delle sue perfezioni, dalla visione della sua divina Bellezza.
Ma se siamo figli di Dio in Cristo Gesù, siamo anche, in Cristo, partecipi della sua missione di salvezza per tutti i fratelli: di qui la necessità di una preghiera di intercessione che abbia presenti tutti i bisogni del mondo, che ci faccia solidali coi poveri, coi malati, cogli umili della terra, coi peccatori. La preghiera dovrà realizzare la nostra unione con Dio nella gioia di una intimità di amore […] ogni giorno più grande, […] realizzare la nostra unità con tutti i fratelli in una pietà e in una pena che dovrebbe farci sempre più partecipi delle loro umiliazioni, dei loro dolori. […] È sincera davvero la nostra preghiera? È costante? Eppure mai come oggi la necessità di una risposta alla nostra vocazione s’è imposta di più. Dove va il mondo? Non si vuol negare che un cammino verso l’unità sia irreversibile e la storia del mondo debba segnare il processo di una unificazione dei popoli, delle razze, delle culture. Ma tutto rimane ambiguo se non è l’azione dello Spirito Santo che agisce nel cuore del mondo. […] Lo Spirito Santo non vive forse nei nostri cuori? Non vive in noi Uno più grande del mondo? Segno della vittoria del male è prima di tutto la nostra paura. Non è lecito alcuno sgomento. Dio farà pari i suoi figli alla missione che affida loro.
Ricordiamoci tuttavia, che l’arma più potente che Egli ci ha dato è la nostra preghiera: una preghiera umile, fiduciosa, costante […]».
A proposito del contenuto della preghiera durante l’omelia del 1° maggio 1976 don Divo ci dice: «Ecco la prima cosa che si chiede ad un’anima consacrata: vivere la vita divina, vivere la vita di fede luminosa che, naturalmente, ci fa vivere anche la preghiera. Se Dio si fa presente, diviene naturale l’aprirsi nel bisogno che ha la nostra anima di vivere una comunione di amore, nel bisogno che ha di ricevere da Lui continuamente l’alimento alla nostra vita spirituale. Che la preghiera sia un dialogo vivo! Non si tratta di imparare a memoria, si tratta di vivere nella presenza di Dio quello che questa presenza suscita in te: l’amore, la gratitudine, la lode. È la sua presenza che dona il contenuto alla tua preghiera, perché nella presenza di Dio avverti di più il tuo peccato e trovi il perdono, tu ne conosci la bellezza e lo lodi, tu ne avverti l’amore e lo ringrazi e lo ami. È la presenza stessa che tiene il contenuto della preghiera; tante volte non sappiamo come pregare, tante volte non sappiamo che cosa dire, perché Lui è lontano, perché Lui è come se non ci fosse; ma apri gli occhi e guardalo! Apri gli occhi, apri gli orecchi e ascoltalo; apriti a questa presenza di Dio che ti investe da ogni parte e la tua vita si arricchirà immensamente, avrà un contenuto di amore che nessuna vita umana potrebbe mai conoscere.
Chi non conosce la vita cristiana, vedendola di lontano si allontana, anzi fugge… una vita così noiosa, così pesante, gli esercizi delle virtù… Ma per chi la conosce, non c’è vita più bella, vita più grande; chi veramente conosce Dio non può più che desiderare di vivere questa comunione di amore. La nostra vita deve essere essenzialmente questo. Ecco la prima cosa che dovevo dirvi per una vita consacrata. Non vi sarà mai né una vita cristiana né, tanto meno, una vita consacrata, che non trovi nella preghiera la sua espressione più autentica e vera, più necessaria».
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